L'attrice statunitense di origini israeliane rievoca la magia
del suo soggiorno toscano in una lettera pubblicata nell'ultimo numero
di Vanity Fair
“Nell’estate del 2014, la nostra giovane famiglia trascorse
un mese in Toscana. Era la nostra prima estate in Europa, diciamo che
avevamo un mese intero senza lavoro e scuola. Ci eravamo trasferiti di
recente a Parigi per via degli impegni di mio marito e mio figlio aveva
finito il primo anno di asilo in francese, ed era eccitante pensare di
avere quattro settimane davanti a noi senza nulla da fare se non stare
insieme".
Comincia così la lunga lettera pubblicata da Vanity Fair
dell'attrice Natalie Portman, la star holliwoodiana vincitrice di due
Golden Globe ('Closer' e 'Il Cigno Nero'). Una lettera che è un vero e
proprio inno d'amore alla Toscana. E a Firenze, visitata l'ultima volta
un'estate di pochi anni fa.
Di Firenze, Portman scrive: "Prendemmo un volo breve per Firenze e
guidammo fino alla casa che mio marito aveva affittato per noi. (...) A
24 ero già stata per un viaggio di vero studio con amici in Italia,
visitando, nelle nostre ricerche, Roma, Firenze e Venezia e notando
l’arte e i sapori differenti tra le città. Mangiammo carciofi fritti a
Roma, gelato a Firenze, pasta speziata a Venezia".
"Vedemmo la statua del David, Raffaello, Michelangelo, Beato
Angelico, Tiziano, Botticelli, Piero della Francesca. Monasteri con
affreschi in tutte le stanze dei monaci (Le celle dei savonaroliani
affrescate dall'Orcagna nel Convento di San Marco, ndr). Accendemmo le
candele Chanukkah con i rabbini Lubavitch nel ghetto di Venezia, e,
ubriachi, saltammo sui canali nella notte appena fresca, perdendoci nel
labirinto della città sull’acqua".
Ma nonostante tutte quelle esperienze - racconta la protagonista di
Beautiful Girls, Mars Attacks!, La mia adorabile nemica, Guerre Stellari
- nulla mi aveva preparato a un intero mese in Toscana.
"Quando arrivammo alla casa, a Firenze, la prima cosa che mi colpì fu
il caldo: l’umido, la luce diretta del sole, bianca, accecante. Le
strade erano vuote. 'Guarda, persino gli italiani se ne vanno in questo
periodo dell’anno, che cosa avevi nella testa?', sgridai mio marito".
"Trascorsi il primo giorno nascosta nella camera da letto con i muri
d’argilla, a leggere Elena Ferrante, fermandomi solo per rimproverare di
nuovo mio marito per non aver affittato una casa con l’aria
condizionata. 'È l’Italia - mi diceva - non hai bisogno dell’aria
condizionata perché è il posto più bello del mondo'.
"Lessi, giocai con i cubi, all’ombra, con nostro figlio di 4 anni, e
m’immersi nell’acqua ghiacciata della piscina, un quadrato grande e
funzionale fuori dalla finestra della camera da letto. Sobbollivo, forse
per il caldo, forse per la violenza coinvolgente della prosa della
Ferrante, forse per la mia incapacità di assorbire la bellezza del
posto".
La sera, poi, regala altre magie all'attrice: "Ma dopo che il giorno
finì di cuocere, scoprimmo il dono della notte. Viaggiammo in macchina,
noi tre, lungo la Val d’Orcia, al tramonto. La luce e la foschia, e il
colore dell’incandescenza del giorno che si disperdeva, ci preparò per
il viaggio nel tempo che stavamo per fare".
La Portman, da Firenze, s'instrada verso il Senese. "Guidammo fino a
Pienza, passeggiammo lentamente lungo i vicoli attraversati dai fili
della biancheria messa a stendere, spostandoci di lato per far spazio,
lungo la stradina, a una nonna con i suoi nipotini, i bambini in
bicicletta, come se fossero usciti da un film di De Sica".
"Arrivammo presto nella piazza, uno spazio grande a forma di trapezio
con una bella chiesa su un lato, e un piccolo bar sull’altro. Era piena
di gente. Gli italiani non se n’erano andati dal paese, riemergevano
alla sera. I bambini giocavano a calcio nella piazza, ridendo e urlando
in quella lingua bellissima".
"Nostro figlio si unì all’istante, grazie al linguaggio universale
dell’infanzia: il calcio. Bevemmo vino al bar sul lato della piazza. Il
proprietario ci fece entrare per mostrarci i suoi tesori del posto, e
nostro figlio era libero di giocare, al sicuro da ogni pericolo. Il
cielo era illuminato da cerchi luminosi e roteanti che un commerciante
vendeva all’angolo della piazza e che i bambini lanciavano in alto verso
le stelle".
"Il tempo si era ugualmente fermato e dilatato. Ci sentimmo come
trasportati in un’altra epoca, dove le famiglie ancora vivevano nello
spazio degli stessi quattro isolati, i ragazzini potevano giocare liberi
nelle strade, e la nonna era le persona più amata della famiglia,
insieme ai bambini".
"Sconosciuti facevano buffetti sulla guancia di nostro figlio,
giocavano a palla con lui, così che noi potevamo cenare seduti, e ci
dicevano in italiano parole che, sono quasi certa, significavano: vostro
figlio è il bambino più bello, intelligente, divertente che abbiamo mai
conosciuto. Ma non parlo italiano, per cui è solo una stima ragionata".
"Mi rendo conto adesso che gli italiani hanno imparato a dominare il
tempo - spiega l'attrice - la nostra più grande risorsa e anche il
nemico più minaccioso.
Quelle serate sembrava che durassero un’eternità,
e mi sentivo come se ci trovassimo nel 1952. La magia del posto mi
ammorbidì, e presto cominciai ad abbracciare mio marito piuttosto che
rimproverarlo, ammirando il vulcano che aveva imparato a fare per
preparare gli gnocchi, una montagnetta di patate con un uovo al posto
della lava".
"Nostro figlio imparò a indossare la maglietta della squadra
giusta per andare in piazza alla sera (un indizio: non quella della
Juventus) e diventò amico di bambini con i quali non scambiò mai una
parola, grazie solo al linguaggio dei piedi. E quel mese sembrò una vita
intera. E non avrei mai voluto tornare a casa. Anche se avevamo l’aria
condizionata”.
fonte: www.firenzetoday.it
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