L’Arena di Verona senza spettacoli metterà in crisi il bilancio della
Fondazione?
No, perché gli incassi da biglietteria e sponsorizzazioni
coprono solo una parte dei costi. Il resto arriva dallo Stato. Senza
esibizioni si abbassano i costi di produzione. E, con i lavoratori in
cassa integrazione potrebbe arrivare perfino a migliorare i suoi
bilanci.
Lo stesso accade alla Fenice, al Rossetti, alla Biennale e in
tutte le altre realtà che godono dei finanziamenti statali. A
rimetterci, di certo, saranno invece i “non garantiti”: artisti,
stagionali, allestitori e tecnici
In questi mesi di emergenza sanitaria il mondo dello spettacolo si è unito in un unico grido di dolore:
teatri chiusi, spettacoli cancellati, concerti annullati, festival
rimandati a data da destinarsi. Pesantissimo è l’impatto sull’indotto
economico generato da questi eventi, che normalmente muovono persone e
consumi. E drammatica è la ricaduta su enti teatrali e fondazioni
culturali…o almeno, è quello che sembra, leggendo o ascoltando le
numerose interviste rilasciate dai vertici di queste realtà nelle ultime
difficili settimane.
“Le norme per il distanziamento uccideranno i
teatri”, “Non sappiamo quando potremo ricominciare a respirare”, “Gli
stanziamenti previsti dal governo non sono assolutamente sufficienti per
tamponare l’emergenza”, “Siamo stati costretti a mettere tutto il
personale in cassa integrazione”: queste sono solo alcune delle
dichiarazioni che sono state ripetute in quotidiani e telegiornali. Ma
siamo davvero sicuri che le cose stiano effettivamente così?
Guardiamo a l’Arena di Verona. È di un paio di settimane fa la notizia che, causa Coronavirus, il festival operistico dovrà essere rinviato al 2021.
E anche se Federico Sboarina, sindaco di Verona, e Cecilia Gasdia,
sovrintendente della Fondazione Arena, hanno annunciato che, indicazioni
del governo permettendo, si terranno “una decina” di concerti lirici
sinfonici nei fine settimana di agosto 2020, collocando l’orchestra al
centro di quella che normalmente è la platea, distanziando gli
strumentisti e prevedendo per ogni evento “un massimo di 3mila persone”,
verranno comunque meno gli incassi del festival lirico, che, stando al bilancio 2018, sono stati poco più di 23 milioni di euro,
e delle relative sponsorizzazioni, pari a circa 5 milioni. Numeri
neanche minimamente avvicinabili da quelli che potranno produrre i
concerti agostani, nel caso potessero essere realizzati.
Situazione drammatica, dunque, per le compatibilità economiche della Fondazione? No, anzi. Se guardiamo la situazione nel complesso, ci accorgiamo che, non mettendo in moto la macchina del festival lirico, verranno meno anche tutti i costi per gli allestimenti e per i servizi esterni,
calcolati in circa 18 milioni. E iniziano a essere consistenti i costi
non sostenuti a causa dello stop se poi consideriamo anche la voce dei costi per gli stipendi del personale,
pari a 21 milioni, che si dividono in due tipologie: il personale
stagionale, che all’Arena è davvero consistente, e dipendenti stabili
della Fondazione.
E’ evidente che il costo per gli stagionali scompare
del tutto, mentre per quanto riguarda i dipendenti stabili, posti come
sono in cassa integrazione da metà marzo, il risparmio dovrebbe essere
sufficiente a coprire buona parte dei mancati introiti derivanti da
biglietteria e sponsorizzazioni. Il ricorso agli ammortizzatori sociali,
peraltro, è stato duramente contestato dai sindacati, secondo i quali
“il Bilancio della Fondazione, oggi, non ha sofferenze particolari tali
da giustificare il blocco degli stipendi e conseguente cassa
integrazione”. Tesi assai singolare considerato che, nel settore
privato, chi non svolge attività in cassa integrazione ci va (purtroppo)
senza discutere molto e augurandosi di salvare il suo posto di lavoro.
Che all’Arena sembra invece garantito.
I bilanci di una Fondazione come l’Arena sono certamente
complessi e una lettura per sommi capi come quella che abbiamo formulato
non tiene conto di tanti altri elementi che andrebbero valutati. Ma,
sommando i mancati costi per allestimenti e servizi esterni con i
mancati costi per il personale, e al contributo pubblico che nel 2018
era di 18 milioni, possiamo affermate che una situazione di pareggio
non sembra così lontana dalla realtà. Insomma, da questo si può desumere
che il blocco imposto dall’emergenza potrà non avere un impatto così
negativo sul bilancio dell’ente coem qualcuno potrebbe immaginare.
E quella dell’Arena non è una situazione isolata.
Andando a controllare i ricavi e i costi dei principali enti culturali,
ci accorgiamo, come raccontiamo negli altri servizi giornalistici di
questo numero di Cult, che lo schema è sostanzialmente identico per
tutte le realtà che accedono al Fus e ad altri fondi statali o
regionali.
“Posso parlare in via confidenziale?” ci ha detto un operatore. “È evidente che la situazione sia così. Tutto questo mondo è costruito in modo tale che se si resta chiusi ci si rimette meno.
Per cui tanti piagnistei che sentiamo in questo periodo servono
soltanto per cercare di farsi dare dal governo più soldi, mentre il
problema è che a rimetterci sono solo due categorie: l’indotto che
queste manifestazioni generano in termini turistici, e gli operatori non
garantiti, come tecnici audio e video, allestitori e artisti”.
Forse, allora, quegli artisti e tecnici che sostengono la
tesi che i Fondi del Fus, stanziati quest’anno a prescindere dal fatto
che gli spettacoli siano realizzati o meno, dovrebbero finire in parte
anche a loro, non hanno tutti i torti. Anzi. L’etica imporrebbe
che, di fronte ad una crisi del genere, i sacrifici siano ripartiti in
maniera eguale. Ma siamo in Italia, il Paese che con il Covid ha
scoperto di essere spaccato a metà: tra garantiti e non garantiti.
fonte: Filiberto Zovico www.veneziepost.it
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