venerdì 31 marzo 2023

Cinema > Stranizza d’amuri: perché il film di Beppe Fiorello è ancora necessario e tutti dovrebbero vederlo

Stranizza d’amuri: perché il film di Beppe Fiorello è ancora necessario e tutti dovrebbero vederlo 

Doloroso e poetico, potente e delicato: Stranizza d'amuri, la pellicola che segna l'esordio alla regia di Giuseppe Fiorello, è un film da vedere assolutamente. Ed è, purtroppo, un film ancora drammaticamente attuale e necessario.  

Non so se esistano parole all’altezza di Stranizza d’amuri, il film che segna l’esordio alla regia di Giuseppe Fiorello. So per certo, però, che si tratti di un film necessario. Purtroppo, aggiungo, perché quello che racconta – seppur lontano nel tempo – non è poi così distante da noi. E il pregio, il merito di quest’opera è quello di rappresentare, per lo spettatore, un’esperienza totalizzante, segnante, cruda. Un tuffo in un mare di dolore, di rabbia, ma anche di tenerezza, di purezza.

Un tuffo dove l’acqua è alta, fredda e la riva è lontana. Ma l’occhio di Fiorello non è rivolto alla distanza che c’è dalla salvezza, guarda dall’altra parte, verso l’orizzonte in cui cielo e mare si confondono. Per questo, Stranizza d’amuri non è solo spietato, ma soprattutto poetico. Non è doloroso per sensazionalismo, ma per necessità. Non è romantico per coinvolgere, ma per restituire al pubblico una storia che è innanzitutto d’amore, e solo poi di dolore.

Stranizza d’amuri, che è un film (ancora) necessario

Stranizza d’amuri è un film potente e delicato. Utilizzo quest’ossimoro perché non è innocuo, ma nemmeno (soltanto) doloroso. È un film che con intelligenza, garbo e poesia racconta un amore tenero, pulito, travolgente. E con altrettanta lucidità e feroce sincerità rivela lo sfondo culturale e sociale in cui quest’amore nasce e tenta faticosamente di esistere. È un’altalena, una strada piena di curve, volare e cadere si somigliano a tal punto da confondersi e lo spettatore prova sensazioni di rabbia e tenerezza. Ma certamente mai sensazioni tiepide.

Al centro c’è l’amore di Gianni e Nino (interpretati rispettivamente da Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro), tutt’intorno la Sicilia dei primi anni Ottanta: una cittadina piccola, impreparata alla relazione tra due uomini, per questo incattivita, giudicante e violenta, e poi due famiglie, due radici marce, annodate alla paura del giudizio. Quella di Stranizza d’amuri è una storia in cui ogni personaggio, ad eccezione dei due protagonisti, si guarda attraverso gli occhi degli altri, si determina attraverso il (pre)giudizio degli altri, si conosce attraverso i limiti degli altri. Il risultato è una società ostile, gretta, in cui nessuno è libero: i due protagonisti non lo sono in quanto omosessuali, gli altri in quanto vittime di sé, dell’incapacità di rivendicare la propria intima e sofferta unicità.

Per questo è un film necessario: la storia di Gianni e Nino, ma soprattutto il loro coraggio, è una spiegazione ante litteram di cosa significhi autodeterminarsi: i due protagonisti di Stranizza d’amuri, sfidando ciò che è considerato da tutti normale e inviolabile, non si accontentano di essere quello che gli altri vorrebbero, ma sfidano l’ottusità, l’arretratezza e la crudeltà della gente per essere se stessi. E alla fine, nonostante tutto, ci riescono.

Stranizza d’amuri è un faro in quel mare di rabbia e dolore di cui parlavo e mette in luce un fatto che non è (ancora) ovvio: la libertà è una conquista che inizia dalla conoscenza, consapevolezza e accoglienza di sé. Non è mai fuori di sé, è sempre dentro, barricata sotto strati di preconcetti, costrutti sociali, dogmi. La libertà non è da scoprire, ma da riscoprire. E va allenata. Gianni e Nino l’hanno fatto, senza sapere quanto la loro storia sarebbe stata importante, se non indispensabile, per chi è venuto dopo di loro.

Stranizza d’amuri: la storia vera di Giorgio e Antonio

Stranizza d’amuri racconta una storia vera: si tratta del tristemente noto delitto di Giarre, avvenuto il 31 ottobre 1980 a Giarre, appunto, un comune in provincia di Catania. Le vittime sono state Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola: i due giovani venivano chiamati “i ziti”, vale a dire “i fidanzati”. Giorgio, soprannominato in modo dispregiativo “puppu ‘cco bullu” (“omosessuale patentato”), era stato sorpreso, in passato, in atteggiamenti intimi con un altro giovane uomo e, per tale motivo, denunciato ai carabinieri. Era dunque dichiaratamente gay.

Dopo una scomparsa di due settimane, Giorgio e Antonio sono stati trovati morti, mano nella mano, dopo essere stati raggiunti da un colpo di pistola. A seguito delle indagini, si è scoperto che il colpevole del duplice omicidio era Francesco Messina, nipote tredicenne di Antonio. In un primo momento, il ragazzino ha detto che erano stati i due giovani innamorati a chiedergli di essere uccisi, costringendolo così a sparare, dal momento che non avrebbero mai potuto vivere la loro relazione sentimentale. Ma non è finita qui: Francesco Messina ha affermato anche di essersi dichiarato colpevole dopo aver ricevuto forti pressioni dai carabinieri.

Dopo la morte di Giorgio e Antonio, comunque, è nato il primo circolo Arcigay ed è stato costituito il primo collettivo del FUORI (acronimo di Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) nella Sicilia orientale. L’Arcigay è nato da un’idea di Marco Bisceglia, sacerdote apertamente omosessuale, in collaborazione con Nichi Vendola, insieme a Gino Campanella e Massimo Milani.

fonte: di Basilio Petruzza   www.greenme.it

lunedì 27 marzo 2023

Books: "YVES SAINT LAURENT AT HOME. Life with Yves and Pierre" by Marianne Haas

Yves Saint Laurent and Pierre Bergé were worldbuilders of an unparalleled caliber; true tastemakers who approached each interior project with imagination and rigeur, crafting grand spaces infused with personality and provenance. 

Connoisseurs in every sense of the word with a deep knowledge and appreciation for art and interior design, the two built and lived among a spectacular and carefully-considered collection. In close collaboration with world-class designer Jacques Grange, they crafted private spaces full of wonder and enchantment.

Readers are invited to discover the couple’s savoir-faire through the most exquisite photographs of the interiors and gardens of Yves’s Château Gabriel, the dacha in Deauville; the Villa Majorelle in Marrakech; the apartment on rue de Babylone and his maison de couture on avenue Marceau. 

With photographs by Marianne Haas, and texts and special contributions from Jacques Grange, Catherine Deneuve, Betty Catroux, Laurence Benaïm, Louis Benech and other members of Yves’ tribe, the creative couple’s legacy lives on.

"Yves and Pierre are true collectors—the kind of humanists who have survived into the present—who collect with a concern for literary and historical knowledge. Their homes seem to be haunted by countless storybook characters."
Jacques Grange

Jacques Grange is an interior designer and decorator and a graduate of the École Boulle and the École Camondo in Paris. He began his career in the 1970s working alongside Henri Samuel, Didier Aaron and Alain Demachy. His interior design projects have included many private residences in Europe and the United States, including those of H.R.H. Princess Caroline of Hanover, Jean and Terry de Gunzburg, Israel Englander, Robert Agostinelli, Pauline Karpidas, Paloma Picasso, Daniela Memmo d’Amelio, Jérôme and Sophie Seydoux, François Pinault and Ronald Lauder; several hotels, including the Mark Hotel in New York, the Hotel Cappuccino in Palma de Mallorca, Francis Ford Coppola’s Palazzo Margherita in Bernalda in Italy, the Villa Maïa in Lyon and the Cheval Blanc St-Barth; and yachts such as the Pacha III and Pamela V.

Over the course of his long-standing friendship and collaboration with Yves Saint Laurent and Pierre Bergé, Jacques Grange oversaw the interior design of their homes in Paris, the Villa Majorelle in Marrakech, the Villa Mabrouka in Tangier, the Château Gabriel in Benerville as well as the décor of Yves Saint Laurent’s haute couture house in Paris. He has also staged several exhibits for Yves Saint Laurent around the world. Jacques Grange approaches each project with the same enthusiasm, be it a palace, a hotel or cabanas in Portugal.

Photographer Marianne Haas was born in Sursee, Switzerland, and is based between Paris and Zurich. She specializes in portraits of artists and designers, and interiors and gardens.Her work has appeared in Elle Décor, Elle Decoration, Elle, Vogue, Paris Match, Madame Figaro and Architectural Digest. She studied photography in Paris, working for photographer Jean-Marie Périer, before directing the short film “Point le Chat,” which was shown at Cannes Film Festival, the Montreal Film Festival and New York Film Festival, where it received the bronze medal. Her work has been shown at Pierre Passebon’s Galerie du Passage, Gallery Tino Zervudachi and Gallery Pierre-Alain Challier, among others.

Laurence Benaïm is a journalist, writer, publisher, fashion curator and expert who is based in Paris. She has written a number of books and biographies, on Yves Saint Laurent, Marie Laure de Noailles and Jean-Michel Frank, among other subjects. She has written a number of books for Assouline, including Orientalism Style, Yves Saint Laurent: The Impossible Collection, Dior by Yves Saint Laurent and other titles.

source:  https://eu.assouline.com

Roma: in occasione del Transgender Day of Visibility (TdOV) il film “C’è un soffio di vita soltanto” in memoria di Lucy Salani

In occasione del Transgender Day of Visibility (TdOV), venerdì 31 Marzo ore 20:30 al cinema Giulio Cesare per la proiezione speciale di “C’è un soffio di vita soltanto” in memoria di Lucy Salani.  Un evento di Arcigay Roma e Azione Trans con Circuito Cinema. 

Dopo la proiezione Q&A con gli autori Matteo Botrugno e Daniele Coluccini e con Vladimir Luxuria, modera Pietro Turano

Biglietti a prezzo speciale: https://bit.ly/40H2Z3h

 "C’e’ un soffio di vita soltanto"

Trama:

Lucy è una nonna di novantacinque anni.
Nella sua casa, le foto ingiallite dal tempo raccontano l’adolescenza di un ragazzo, che all’epoca si chiamava Luciano, e stava per vivere il periodo più terribile della sua vita.Lucy è la donna transessuale più anziana d’Italia. È una dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Dachau ancora in vita.Lucy, tramite la sua vita, racconta la storia del Novecento.
Gli eventi della sua turbolenta esistenza diventano la metafora di un’umanità che non si arrende e che fa tesoro del più grande dono della Storia, la memoria, come unico ed imprescindibile punto di partenza.

NOTE DI REGIA:

Abbiamo visto Lucy per la prima volta in un’intervista su YouTube. Si presentava come una persona fuori dagli schemi e la sua storia era assolutamente unica.
È stata uomo e donna, figlio e madre, prigioniero nel campo di concentramento di Dachau, amica, amante, prostituta. La sua vita è stata un saliscendi di eventi, ora tragici, ora più sereni. L’abbiamo scovata nella sua casa popolare nella periferia bolognese, l’abbiamo conosciuta e abbiamo ascoltato per ore la storia della sua vita, decidendo così di realizzare un film su di lei, sulla sua umanità, sul suo coraggio e sul suo indistruttibile attaccamento alla vita.

Per un anno ci siamo immersi nella sua quotidianità fatta di ricordi, incontri e momenti di solitudine. Ci siamo interrogati spesso su come mettere mano su un materiale umano così delicato e prezioso e siamo giunti alla conclusione che la regia dovesse essere messa al servizio della storia e, soprattutto, di Lucy. Siamo rimasti attaccati a lei per far sì che anche lo spettatore potesse vivere quest’esperienza esattamente come l’abbiamo vissuta noi. Anche la scelta delle immagini di repertorio riflette questo approccio. Nessuna immagine di Dachau, né di guerra, né filmati di archivio del periodo nazi-fascista: il repertorio è diventato un modo per tuffarsi nella fantasia di Lucy, nei suoi sogni, nei suoi incubi. 

C’è un soffio di vita soltanto è la storia di un’identità che resiste e sopravvive, malgrado tutto, in un XXI secolo in cui il senso della Memoria sembra affievolirsi di fronte al lento incedere dei fantasmi del passato.

fonte: https://arcigayroma.it  www.azionetrans.org   www.circuitocinema.com

27 marzo Giornata Mondiale del Teatro 2023. Il messaggio di Samiha Ayoub

In occasione della giornata mondiale del Teatro 2023, AGIS si unisce al messaggio della celebre attrice egiziana Samiha Ayoub nel quale ricorda i valori fondativi del teatro e il suo importante ruolo nella comunità. L’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo si riconosce nella riflessione di Samiha Ayoub e per queste ragioni ne diffonde il messaggio fatto proprio anche dal Centro Italiano dell’International Theatre Institute-UNESCO.

Samiha Ayoub è un’attrice egiziana, nata nel quartiere Shubra del Cairo. Si è diplomata all’Istituto superiore di arti drammatiche nel 1953, dove ha seguito l’insegnamento del drammaturgo Zaki Tulaimat. Nel corso della sua carriera artistica ha recitato in circa 170 opere teatrali, tra cui Raba’a Al-Adawiya, Sekkat Al-Salamah, Blood on the Curtains of the Kaaba, Agha Memnon, Il Cerchio di Gesso del Caucaso. Sebbene abbia lavorato soprattutto nel mondo del teatro, ha interpretato molti ruoli anche nel cinema e in televisione. Nel cinema si è distinta per diversi film, tra cui The Land of Hypocrisy, The Dawn of Islam, With Happiness, Among the Ruins. E in televisione ha presentato molte opere importanti, tra cui Stray Light, Time for Rose, Amira ad Abdeen, Al-Masrawiya. Ha ricevuto molte onorificenze da diversi presidenti, tra cui Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat.

«A tutti i miei amici artisti di teatro di tutto il mondo,
Vi scrivo questo messaggio in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, e per quanto mi senta estremamente felice di rivolgermi a voi, ogni fibra del mio essere trema sotto il peso di ciò che tutti noi stiamo soffrendo – artisti di teatro e non- a causa delle pressioni schiaccianti e dei sentimenti contrastanti che suscita la condizione attuale del mondo. L’instabilità è il risultato diretto di ciò che il nostro mondo sta attraversando oggi in termini di conflitti, guerre e disastri naturali che hanno avuto effetti devastanti non solo sul nostro mondo materiale, ma anche sul nostro mondo spirituale e sulla nostra pace psicologica. Vi parlo oggi mentre ho la sensazione che tutto il mondo sia diventato come isole disperse, o come navi che fuggono in un orizzonte denso di nebbia, ciascuna spiegando le vele e navigando senza guida, senza riuscire a vedere nulla dell’orizzonte che dovrebbe guidarle e, nonostante ciò, continuando a navigare, sperando di raggiungere un porto sicuro che la accolga dopo le lunghe peregrinazioni in mezzo a un mare furioso.

Il nostro mondo non è mai stato così strettamente connesso come lo è oggi, ma allo stesso tempo non è mai stato più dissonante e non siamo mai stati così lontani gli uni dagli altri come lo siamo oggi. Qui sta il paradosso drammatico che ci impone la nostra contemporaneità. Nonostante ciò a cui assistiamo rispetto alla convergenza nella circolazione delle notizie e delle comunicazioni che ha portato ad infrangere tutte le barriere dei confini geografici, i conflitti e le tensioni a cui il mondo sta assistendo hanno superato i limiti della percezione logica, creando, in mezzo a questa apparente convergenza, una divergenza fondamentale che ci allontana dalla vera essenza dell’umanità nella sua forma più semplice.

Il teatro nella sua essenza originaria, è un atto puramente umano basato sulla vera essenza dell’umanità, che è la vita. Come diceva il grande pioniere Konstantin Stanislavskij: “Non entrate mai a teatro con il fango ai piedi. Lasciate la polvere e lo sporco fuori. Lasciate le vostre piccole preoccupazioni, i litigi, le piccole difficoltà alla porta assieme ai vostri indumenti esterni- tutte quelle cose che vi rovinano la vita e distolgono la vostra attenzione dalla vostra arte.” Quando saliamo sul palco, saliamo con la sola vita di un essere umano in noi, ma questa vita ha una grande capacità di scindersi e di riprodursi per trasformarsi in tante vite che diffondiamo in questo mondo affinché esso prenda vita, fiorisca e diffonda i suoi profumi.

Quello che facciamo nel mondo del teatro, come drammaturghi, registi, attori, scenografi, poeti, musicisti, coreografi e tecnici -tutti noi nessuno escluso- è un atto di creazione della vita che non esisteva prima di salire sul palcoscenico. Questa vita merita una mano premurosa che la tenga, un petto amorevole che la accolga, un cuore gentile che provi empatia per essa ed una mente sobria che le fornisca ragioni per continuare e sopravvivere.

Non esagero quando dico che quello che facciamo sul palco è l’atto stesso della vita, generata dal nulla, come una brace ardente che brilla nell’oscurità, illuminando le tenebre della notte e riscaldando la sua freddezza. Siamo noi che diamo alla vita il suo splendore. Siamo noi che la incarniamo. Siamo noi che la rendiamo vibrante e significativa. E siamo noi a fornire le ragioni per capirla. Siamo noi che usiamo la luce dell’arte per affrontare l’oscurità dell’ignoranza e dell’estremismo. Siamo noi che abbracciamo la dottrina della vita, affinché la vita si possa diffondere in questo mondo. Per questo mettiamo tutto il nostro impegno, tempo, sudore, lacrime, sangue e nervi, per raggiungere questo alto messaggio, per difendere i valori della verità, della bontà e della bellezza, nel convincimento che la vita meriti veramente di essere vissuta.

Vi parlo oggi, non così per parlare, e nemmeno per celebrare il padre di tutte le arti, il “teatro”, nella sua giornata mondiale. Vi invito piuttosto a stare insieme, tutti noi, mano nella mano, spalla a spalla, per gridare a squarciagola, come siamo abituati a fare sui palcoscenici dei nostri teatri, per far uscire le nostre parole, per risvegliare la coscienza del mondo, per cercare dentro di noi l’essenza perduta dell’umanità. L’essere umano libero, tollerante, amorevole, comprensivo, gentile ed accogliente, che rigetta questa vile immagine di brutalità, razzismo, di conflitti sanguinosi, di un pensiero unilaterale ed estremista. Gli esseri umani hanno
camminato su questa terra e sotto questo cielo per migliaia di anni e continueranno a camminare. Pertanto togliete i piedi dal fango delle guerre e dei conflitti sanguinosi e lasciate questi ultimi all’entrata del palcoscenico.

Forse allora la nostra umanità, che si è offuscata nel dubbio, diventerà di nuovo una certezza che ci renderà tutti orgogliosi di essere umani e di essere fratelli e sorelle nell’umanità.
È la nostra missione, di noi drammaturghi, portatori della fiaccola della luce, sin dalla prima apparizione del primo attore sul primo palcoscenico, di essere in prima linea nell’affrontare tutto ciò che è brutto, sanguinario e disumano, mettendolo a confronto con tutto ciò che è bello, puro e umano. Noi, e nessun altro, abbiamo la capacità di diffondere la vita. Diffondiamola insieme per il bene di un unico mondo e di un’unica umanità». 

fonte: www.teatrostabiletorino.it