lunedì 22 settembre 2025

Teatro alla Scala. Manuale minimo di sopravvivenza scaligera

Dress code, applausi intempestivi, telefonini accesi e cravatte preannodate: tutto ciò che avreste sempre voluto sapere su una serata alla Scala ma non avete mai osato chiedere.

Dovrebbe, come sempre, prevalere il buonsenso. Common sense, do you know? Siccome però trattasi di merce rara, rarissima, anzi quasi introvabile, ha un senso aiutare la gente ad avere buonsenso e dare delle regole, in tono magari non ultimativo, perché in fin dei conti è un teatro, non una caserma, ma cogenti e costringenti. Va bene che la sanzione può essere soltanto morale, ma fare la figura dei babbei (altrimenti detti, in quella che dovrebbe essere la lingua ufficiale dell’amato Teatro, il milanese, dei pirla) è una condanna più che sufficiente.

Si parla, ovviamente, di una quaestio assai vexata, che periodicamente riemerge, riesplode, rinviene come i peperoni: il dress code per la Scala (per gli spettatori, s’intende: i professori dell’Orchestra hanno già il loro frac, le maschere – le più eleganti del mondo, per inciso – idem, gli artisti del Coro e del Corpo di ballo i costumi di scena). Escludiamo fin da subito il 7 dicembre. Il Sant’Ambroeus è l’eccezione che non fa la regola, lo smoking per i maschietti è una regola non scritta e di conseguenza osservatissima, la tenuta da gran soirée per le femminucce anche, benché siamo pur sempre a Milano, quindi una sobrietà armaniana o lellacurielesca è preferita alle ostentazioni sberluccicanti delle altre serate di gala che infestano il Paese del melodramma. Un tempo l’eleganza era anche maggiore, tanto più che le prime di parata annuali erano due: oltre l’inaugurazione di stagione, anche quella della Fiera campionaria. Le vette maggiori si toccarono probabilmente nei favolosi Sixties, quando i vaporosissimi abiti da sera delle signore erano così ampi da causare ingorghi e grovigli nei corridoi dei palchi. Quanto all’ultimo frac visto alla Scala, intendo in platea e non sul palco o in buca, le fonti sono discordanti, ma più o meno dovrebbe risalire alla stessa epoca (e anche qui, con molti distinguo: l’ultimo uomo con le code arrivò anche con il cilindro? C’è chi garantisce di sì).

Ma prendiamo una recita normale. Un tempo non lontano, i diversamente giovani lo ricorderanno, sui biglietti c’era un invito alquanto perentorio a presentarsi in giacca e cravatta in platea e palchi, e con l’abito scuro in occasione delle prime rappresentazioni: prime di ogni titolo, non stagionali. Poi venne l’Expo, con la conseguente alluvione turistica: e vuoi che, fra un Albero della vita e una coda al padiglione giapponese, non si facesse una scappata alla Scala? Pretendere la giacca e la cravatta, oltretutto d’estate e in pieno riscaldamento globale, sarebbe stato utopistico, o forse sadico. E così il diktat “sparve”, per dirla in librettese, per essere sostituito da un elegante avviso ben incorniciato in biglietteria che si limitava a vietare canottiere, braghe corte e infradito. Il minino comun denominatore del buonsenso, appunto, con l’aggiunta che il biglietto non sarebbe stato rimborsato allo smutandato rimbalzato davanti alle porte del Tempio. Questo ha comportato, parole di Paolo Besana, Direttore della Comunicazione del Teatro, “un po’ di lavoro in più per le maschere, qualche scenata sporadica e qualche incasso di più per i negozi di abbigliamento della zona che hanno fornito pantaloni lunghi a tempo di record a turisti trafelati, e nel complesso ha posto un argine allo stile Scala-camping o Scala-rave”.

Ma si sa che in Italia le regole non vengono abolite, sostituite o emendate. Semplicemente, svaporano. Col tempo, è capitato anche a questa. Così la Scala ha deciso che repetita iuvant e le maschere sono state invitate a far rispettare, con la solita inflessibile cortesia, le norme già a disposizione di tutti sul sito: “La Direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del Teatro, nel rispetto del Teatro stesso e degli altri spettatori”. Seguono i divieti per canottiere e bermuda (ma non per le ciabatte, forse nel frattempo sdoganate dalla moda?), con relativa negazione di rimborso. E questa attualmente è la regola. Il glossatore è però tenuto a commentarla. Ora, adeguare l’abbigliamento all’occasione dovrebbe essere un riflesso condizionato. Prendere esempio dal principe di Salina che, dovendo chiedere la mano di Angelica per il nipote Tancredi a quel villano rifatto di don Calogero, scarta l’abituale redingote nera per una di un lillà scuro, giudicata più conveniente all’occasione presunta festosa. Come diceva Arbasino, non si può pretendere che tutti abbiano lo chic naturale dell’avvocato Agnelli o di Pio XII. Ed è appunto qui che subentra l’etichetta: fornire delle regole di comportamento a chi non sa bene come comportarsi. È un consiglio, non un’imposizione; un aiuto, non un obbligo. E allora pare ovvio mettersi un po’ più eleganti per le prime che per le repliche e per le recite serali che per quelle pomeridiane, men che meno se si accompagnano alla Scala i pupi per quelle per i bambini. Infilarsi una giacca e annodarsi una cravatta, alla fine, non sono cimenti particolarmente impegnativi, e neanche dolorosi.

In nessun teatro del mondo esistono dress code obbligatori. Anzi, nel resto del globo, e in particolare nelle metropoli, prevale il casual. Però, per dire, è estremamente difficile che qualcuno si presenti a Glyndebourne senza smoking (meglio se con un vecchio panama in testa), tanto che a un amico che arrivò con un pur impeccabile abito blu una vecchia bigliettaia svaporata ma ficcante lì dai tempi del primo Christie chiese: “Will you attend the performance?”. Ci si metterà in abito da sera a Bayreuth o a Salisburgo (qui possibilmente “Trachten” come gli indigeni), a una “royal performance” al Covent Garden, alle prime dell’Opéra di Montecarlo indipendentemente dalla presenza di un Grimaldi. Sono tradizioni, non imposizioni. E non hanno nulla di ridicolo, a differenza di una turista in lamé lungo a una matinée alla Scala, impegnata a spararsi selfie con in mano la flûte di champagne per fare l’effetto “sette dicembre”. Essere overdressed è imbarazzante quanto, e forse più, che essere underdressed. Tuttavia, come insegnava Paolo Grassi che di teatro un po’ si intendeva, andarci è un rito che comprende anche la vestizione e che inizia non in platea, ma davanti allo specchio di casa. Infatti, è molto interessante il comportamento delle giovani generazioni che, a differenza del luogo comune, a teatro in generale e alla Scala in particolare ci vanno. E ci vanno eleganti, perché sanno che la Scala è qualcosa di diverso, non dico necessariamente di migliore: di diverso, da un concerto rock o da una discoteca o da un rave. Perfino gli Under 30 che affollano la “primina” del 4 dicembre facendo sdilinquire le croniste dei quotidiani che ogni anno li riscoprono, “che carìììììììììni!”, si presentano con l’abito buono e il papillon (a proposito, miei cari ragazzi, una lezione di vita: preannodato, mai).

Prevalga il buonsenso, allora. E magari anche nel modo di stare a teatro, che alla fine è più importante di come vestircisi. Quindi niente cellulari e no, nemmeno silenziati: devono stare proprio spenti, perché nulla disturba come la luce dello schermo del vicino di poltrona che manda compulsivamente messaggi mentre Tosca accoltella Scarpia (come vorremmo fare noi, ma a lui). Niente chiacchiericcio ad alta voce, ma nemmeno, a ben pensarci, a bassa; niente scartocciamenti di caramelle; niente ansimi né tossi croniche; niente gioielli tintinnanti di signore che trasformano ogni Mozart nella musica per archi, percussione e celesta di Bartók; niente cappelli ingombranti in testa, già vietati a suo tempo da Toscanini; niente cincischiar di carte; niente ravanamenti nelle borsette e, aggiungerei, basta con questa usanza volgarissima di alzarsi in piedi per la standing ovation, tollerabile in rarissime ed eccezionali occasioni, ma ormai diventata abituale togliendole ogni significato. A un’americana che era scattata in piedi davanti a me per acclamare qualcuno che, fra l’altro, non lo meritava affatto, ho dovuto ricordare: “Ma’am, this is not a baseball stadium” (cara bigliettaia di Glynde, il monopolio della stronzaggine non è tuo). E, a proposito di applausi, quando applaudire? La cosa migliore per chi non lo sa è comportarsi come alle cene molto placé, di fronte alla selva oscura delle posate: scegliere un commensale che sa quali usare, e seguirlo. Il tabù di non applaudire se non alla fine della sinfonia si può forse discutere e in ogni caso è del tutto anti-filologico. Ma se succede come a una Paukenmesse natalizia di qualche anno fa, con una platea tutta di turisti che applaude dopo ogni brano, allora diventa sostanzialmente impossibile seguire il concerto e scattano subito le rappresaglie, in quell’occasione, ahimè, solo verbali. Viene voglia di seguire il saggio consiglio di un amico di lungo corso teatrale, irritato per questo intempestivo, invadente, insopportabile battere di mani: “Se le tagliassero”.

Alberto Mattioli 

fonte: www.teatroallascala.org/it 

Regione Lombardia > La danza torna protagonista, al via MILANoLTRE Festival. Oltre 50 appuntamenti tra cui 16 prime

La danza torna protagonista con MILANoLTRE Festival 2024, in scena dal 24 settembre al 17 ottobre con più di 50 appuntamenti tra cui 16 prime nazionali, distribuiti tra Teatro Elfo Puccini, Pac Padiglione di Arte Contemporanea e altri luoghi della città. 

Il programma si apre all'Elfo Puccini, con l'ultimo lavoro di Roberto Zappalà (Artista Associato) co-prodotto anche dal Festival, L'après midi d'un Faune, Boléro, Le Sacre du Printemps (trilogia dell'estasi).

Una nuova sfida per il coreografo catanese che per ritrarre l'inquietudine del presente parte dalle suggestioni del film cult 'Eyes wide shut' di Kubrick e le trasfigura nel suo immaginario visivo e coreografico con un allestimento per 14 danzatori della sua Compagnia e 10 comparse. 

Il 26 settembre la Compagnia mk, in collaborazione con il corso di teatro danza della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, torna al Festival in prima nazionale con Meteorologia Reloaded, mentre il 28 settembre la performer Sati Veyrunes uscirà da un'auto fuori dal teatro lanciandosi tra il pubblico e gridando "Entrate!" mentre scapperà in sala per iniziare Hope Hunt and the Ascension into Lazarus, il pluripremiato spettacolo di Oona Doherty, coreografa irlandese Leone d'argento alla Biennale Danza 2021. 

Tre serate in prima nazionale permetteranno poi di entrare nella poetica della compagnia svizzera/tedesca CocoonDance guidata da Rafaële Giovanola, che fa del superamento di ogni limite la propria cifra stilistica: in Hybridity l'estetica classica del balletto incontra l'arte marziale del Thai Boxing, Standard è una nuova riflessione sulla costruzione sociale del genere, mentre Chora è un'opera in movimento che crea una comunione collettiva laica tra performer e spettatori.     

Spazio poi alla danza contemporanea italiana con MM Contemporary Dance Company, Salvo Lombardo, il giovane milanese Vittorio Pagani, Francesca Santamaria e Manfredi Perego, con il trittico in prima nazionale White Pages.

Dedica al tempo + Dedica al Dinamismo + Dedica al silenzio, che indaga le potenzialità appartenenti alle diverse età della vita.     

Dal Québec, in prima nazionale, Le Sacre de Lila di Ismaël Mouaraki e la sua compagnia Destins Croisés, ispirato dalle cerimonie Lila, celebrazioni mistiche e musicali tradizionali del Marocco. 

fonte: di Redazione ANSA   www.ansa.it  RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati     

Mostre: a Firenze "Toulouse-Lautrec, un viaggio nella Parigi della Belle Époque" Al Museo degli Innocenti, dal 27 settembre 2025 al 22 febbraio 2026

Il Museo degli Innocenti ospita una nuova mostra temporanea approfondendo la figura di uno degli artisti più emblematici della Belle Époque: Henri de Toulouse-Lautrec.

Parigi, fine Ottocento. È l’epoca della spensieratezza e del progresso, dell’arte che invade i boulevard, dei caffè frequentati da pittori, scrittori e ballerine, delle prime luci elettriche e della nascita della società di massa. In questo fermento culturale nasce e si afferma Henri de Toulouse-Lautrec (1864–1901), figura unica nel panorama artistico europeo. Pittore, illustratore e innovatore grafico, Lautrec ha saputo catturare con sguardo ironico e profondo la vita notturna e lo spirito bohémien della Parigi di Montmartre.

Frequentatore assiduo di locali come il Moulin Rouge, Lautrec seppe trasformare il mondo della notte – fatto di spettacoli, teatri, café-concert e figure marginali come prostitute, ballerine e chansonnier – in arte. I suoi manifesti pubblicitari, realizzati con una tecnica litografica innovativa, non solo hanno rivoluzionato il concetto di grafica promozionale, ma sono divenuti vere e proprie icone visive della Belle Époque.

Dal 27 settembre 2025 tutto questo sarà il mondo di “Toulouse-Lautrec. Un viaggio nella Parigi della Belle Époque”, la grande mostra al Museo degli Innocenti di Firenze.
Tra le opere più celebri esposte – prestito eccezionale della Collezione Wolfgang Krohn di Amburgo– si potranno ammirare litografie a colori (come Jane Avril, 1893), manifesti pubblicitari (come Troupe de Mademoiselle Églantine del 1896 e Aristide Bruant nel suo cabaret del 1893), disegni a matita e a penna, grafiche promozionali e illustrazioni per giornali (come in La Revue blanche del 1895) diventati emblema di un’epoca indissolubilmente legata alle immagini dell’aristocratico visconte Henri de Toulouse-Lautrec, alcune di queste provenienti dal Museo Toulouse-Lautrec di Alby.

A rendere l’esperienza ancora più coinvolgente, la mostra presenta anche lavori di altri grandi protagonisti della Belle Époque e dell’Art Nouveau. Un vero e proprio viaggio visivo tra eleganza e innovazione, dove spiccano le seducenti figure femminili di Alphonse Mucha, i manifesti vivaci e coloratissimi di Jules Chéret – considerato il pioniere della pubblicità moderna – e le suggestive atmosfere di Georges de Feure. Completano il percorso le raffinate opere di Frédéric-Auguste Cazals, Paul Berthon e altri straordinari artisti che hanno saputo trasformare la grafica in arte. Un’occasione unica per immergersi nello spirito vibrante di un’epoca che ha fatto dello stile e della creatività la sua firma più riconoscibile.

A completare l’allestimento, un ricco apparato di fotografie, video, costumi e arredi d’epoca, che trasportano il visitatore in un viaggio multisensoriale nella Parigi tra il 1880 e il 1900. Un’epoca in cui arte, tecnologia, libertà espressiva e nuove forme di intrattenimento gettarono le basi del mondo moderno.

Una finestra sulla Belle Époque

La mostra non è solo un omaggio a Toulouse-Lautrec, ma anche un’occasione per esplorare la Belle Époque in tutte le sue sfaccettature: un’epoca di contrasti, di sogni e di rivoluzioni culturali. Mentre l’Europa viveva un periodo di relativa pace e progresso, Parigi diventava la capitale del piacere e dell’avanguardia, dove architettura, pittura, arredamento, scultura e musica erano invasi da rimandi alla natura, al mondo vegetale e a un'immagine nuova della figura femminile. Considerata come una corrente internazionale, essa si fonda sulla rottura con l'eclettismo e lo storicismo ottocenteschi e rappresenta la risposta moderna a una società sempre più industrializzata.

Concepita come arte totale, il Modern Style diventa Tiffany negli Stati Uniti, Jugendstil in Germania, Sezession in Austria, Nieuwe Kunst nei Paesi Bassi, Liberty in Italia, Modernismo in Spagna e s’impone rapidamente in Inghilterra, patria dei maggiori teorici del movimento, e passa sotto il nome di Art Nouveau in Francia. Le sale della mostra raccontano questo clima unico, intrecciando arte, società e cultura visiva.

Con Henri de Toulouse-Lautrec e la Belle Époque, Firenze celebra non solo un artista straordinario, ma anche un momento storico irripetibile, che ancora oggi continua a influenzare la nostra immaginazione estetica.

Con il patrocinio del Comune di Firenze, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia ancora una volta al fianco del Museo degli Innocenti, in collaborazione con Cristoforo, l’Ernst Barlach Museumsgesellschaft Hamburg e BridgeconsultingPro ed è curata dal Dr. Jurgen Dopplestein con Gabriele Accornero, project manager della Collezione.
La mostra vede come special partner Ricola, partner Mercato Centrale Firenze, Unicoop Firenze e La Rinascente, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale, media partner CityNews, educational partner LABA. Il catalogo è edito da Moebius.

Tutte le altre Info > QUI 

Scarica la locandina della mostra 

fonte: www.museodeglinnocenti.it 

Libri: "Scene da una domesticazione" di Camila Sosa Villada

Dopo il best seller internazionale Le cattive, il nuovo folgorante romanzo di Camila Sosa Villada: una famiglia atipica (quale non lo è?) alle prese con un fine settimana di tensione e passione, in cui ognuno dovrà fare i conti con il peso dei propri desideri.

«Un romanzo nuovissimo che affronta temi eterni: l’amore, la gelosia, il risentimento, la quotidianità che uccide la coppia, il sesso. Una storia senza filtri, da una star delle lettere latinoamericane.» - Vanity Fair

«Una scrittrice saggia, insolita, ammaliante.» - Esquire

«Con imprevedibili paralleli, illuminanti similitudini, Sosa Villada sconquassa la realtà.» - Teresa Ciabatti, La Lettura


Lei è un’attrice, lui un avvocato. Lei è l’attrice trans più apprezzata e famosa al mondo, una carriera che si è costruita da sola, col sudore della fronte; lui è un avvocato di successo, attraente, di buona famiglia e corteggiato da uomini e donne. Lei, che potrebbe interpretare tutti i ruoli, calcare tutte le scene, in teatro come nella vita ha sempre fatto di testa sua. Così sul palco decide di portare "La voce umana" di Jean Cocteau – mettendo anima e corpo in un progetto considerato troppo rischioso –, mentre nel privato sceglie lui, e contro ogni buon senso con lui decide di mettere su famiglia. Lei, che potrebbe avere tutto, sceglie quello che tutti all’apparenza hanno. Ed è allora che comincia la domesticazione. Vulnerabili e pieni di tenerezza, i personaggi di Camila Sosa Villada cercano rifugio in una vita borghese e pacifica, senza sapere che proprio lì troveranno il loro inferno. Un romanzo elegante, erotico, cinematografico, profondamente universale, che mina le fondamenta stesse della famiglia tradizionale, e racconta mille e uno modi di desiderare, provocare, amare. 

fonte: www.lafeltrinelli.it 

Cinemoda Club, la prima rassegna di film a tema cinema e moda di Vogue Italia e Kering

Dal 25 al 27 settembre 2025, 3  sale storiche di Milano – Arlecchino, Mexico e Palestrina – ospitano Cinemoda Club, rassegna Gian Luca Farinelli, critico e direttore della Cineteca di Bologna, insieme all’attrice e regista Valeria Golino, madrina dell’iniziativa. In programma oltre 36 film, da Vacanze romane a In the Mood for Love, da Tacchi a spillo a Il diavolo veste Prada, fino a rarità come Rapsodia Satanica. Una celebrazione del dialogo  tra moda e cinema, specchio dei desideri e delle metamorfosi collettive.

Il sipario si apre a Milano, capitale del design e del sogno sartoriale. Dal 25 al 27 settembre, mentre la Fashion Week invade le strade con passerelle e flash, tre storiche sale si trasformano in atelier dell’immaginario. 

Cinemoda Club – voluto da Vogue Italia e Kering, con il patrocinio di Camera Nazionale della Moda Italiana e Comune di Milano – è molto più di una rassegna: è un dialogo sensuale tra due linguaggi che hanno lo stesso lessico, fatto di metamorfosi, desiderio, illusioni di luce.

Valeria Golino, madrina dell’iniziativa, confessa: «Il cinema e la moda parlano lo stesso linguaggio: quello dell’immaginazione, della trasformazione, del desiderio». E in fondo non esiste tappeto rosso senza abito, né costume senza storia.

Il programma: icone, stilisti e mondi possibili

Il cartellone curato da Gian Luca Farinelli è una macchina del tempo che porta lo spettatore dalle dive del muto alle icone pop. Qui segnaliamo solo alcuni titoli, un assaggio del ricco palinsesto:

  • Giovedì 25 settembre si parte con Vacanze romane di William Wyler e Moulin Rouge di John Huston, ma anche con rarità come Rapsodia Satanica di Nino Oxilia e le preziose Mode de Paris, piccoli scrigni colorati a pochoir. La sera, spazio ad Almodóvar con Tacchi a spillo e al documentario Franca: Chaos and Creation.

  • Venerdì 26 settembre brilla In the Mood for Love di Wong Kar-wai, i tailleur di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, gli sguardi di Agnès Varda in Cléo dalle 5 alle 7, fino a Do the Right Thing di Spike Lee. In serata, la vertigine felliniana di 8 ½.

  • Sabato 27 settembre è il giorno delle contaminazioni: Funny Face di Stanley Donen, Piccole donne di Greta Gerwig, il biopic Yves Saint Laurent, Marie Antoinette di Sofia Coppola e, a mezzanotte, l’irriverente rito collettivo di The Rocky Horror Picture Show.

L’elenco completo delle proiezioni, con orari e sale, è disponibile > QUI

Le sale come templi

Cineteca Milano Arlecchino, Cinema Mexico e Cinema Palestrina non sono solo spazi, ma scrigni della memoria collettiva. Qui lo spettatore può vivere la moda come un racconto in pellicola: Audrey Hepburn che scende la scalinata dell’Opéra Garnier in Givenchy, Greta Garbo che ride in Ninotchka, Tony Manero che danza in Saturday Night Fever, fino al corsetto pop di Sofia Coppola. Ogni abito è una battaglia identitaria, ogni costume un manifesto politico.

Moda come resistenza, cinema come specchio

Il percorso di Cinemoda Club non si limita a celebrare la bellezza: racconta anche le cicatrici. Dallo streetwear di Spike Lee alla ribellione queer del Rocky Horror, dagli abiti borghesi che imprigionano Cléo ai qipao di Maggie Cheung che trasformano l’amore in sospensione metafisica. Sono vestiti che graffiano, che liberano, che raccontano una società in continua mutazione.

Per Farinelli, «Cinemoda Club è un racconto della magica relazione che da 130 anni nutre cinema e moda». Una storia di fascinazioni e di infedeltà creative, che continua a reinventarsi.

Biglietti e informazioni

Le proiezioni saranno in lingua originale con sottotitoli. I biglietti costano 5 euro, disponibili in cassa (e online per il Cinema Arlecchino). Il 25 settembre, alle ore 17, l’inaugurazione con la conversazione tra Golino e Farinelli aprirà ufficialmente la rassegna.

Un brindisi finale

Se il cinema è l’arte di vestire il tempo, la moda è il modo in cui lo stesso tempo si lascia indossare. Insieme creano un abito senza cuciture, che scivola tra epoche e desideri. Cinemoda Club è il cocktail perfetto: un Negroni con un tocco di velluto, un Boulevardier illuminato dai flash, un Martini servito in celluloide. A Milano, per tre giorni, moda e cinema si specchiano l’uno nell’altra e ci ricordano che siamo anche ciò che abbiamo sognato di indossare.

fonte: https://tg24.sky.it