venerdì 31 dicembre 2010

Auguro un Buon 2011 a tutti i miei amici e lettori, e che sia un'anno con meno violenze e più amore...

Danza: Capodanno al Teatro alla Scala con "Il lago dei Cigni" oggi 31 Dicembre alle ore 18

Teatro alla Scala "Il lago dei Cigni" oggi alle ore 18 Biglietti: da 19,20 a 138 euro, via Filodrammatici 2 Info e prenotazioni: 02.88791; www.teatroallascala.org Per gli amanti della danza classica, la Scala di Milano resta aperta anche l’ultimo dell’anno. 

 In scena Il lago dei cigni, celebre balletto che fonde le coreografie di Rudolf Nureyev con le musiche di Čajkovskij. La prima volta che approdò nell’edificio del Piermarini era il 1990, con Nureyev nel doppio ruolo del precettore Wolfgang e del mago Rothbart. 

 Protagonisti della storia sono, però, il romantico principe Siegfried e l’amata Odette, che nello speciale allestimento del 31 dicembre saranno interpretati dai ballerini Marta Romagna ed Eris Nezha, sotto la guida del coreografo Charles Jude. Dirige l’orchestra Julien Salemkour. Info e prenotazioni: 02.88791; www.teatroallascala.org 

fonte www.vanityfair.it

Lgbt "La mia ex è lesbica": il giudice le affida comunque i figli


E' successo in provincia di Enna, in Sicilia, dove durante la separazione un uomo ha chiesto al giudice di non affidare i figli alla moglie perché lesbica.

"La relazione omosessuale di una madre, laddove non comporti pregiudizio per la prole, non costituisce ostacolo all'affidamento condiviso dei figli, che possono abitare con lei".

A stabilirlo non è il volantino di un'associazione lgbt, ma la sentenza di un giudice di un tribunale della provincia dell'hinterland siciliano.

A scrivere queste parole, infatti, è stato il giudice Alessandro Dagnino, del tribunale di Nicosia, in provincia di Enna, il quale ha respinto il ricorso di un uomo che si sta separando dalla moglie e che aveva chiesto l'affidamento esclusivo dei figli, accusando l'ex consorte di avere una relazione omosessuale, cosa che avrebbe compromesso la sua capacità di svolgere il ruolo di amdre.

Nella causa di separazione, stando a quanto scrive il Giornale di Sicilia, il giudice ha accolto le tesi difensive dell'avvocato Salvatore Timpanaro, legale della giovane madre che vive nel paese dell'entroterra siciliano.

Il tribunale, però, ha anche stabilito che l'atteggiamento dell'uomo non può essere considerato discriminatorio nei confronti della ex moglie: "è umanamente comprensibile, scrive Dagnino, soltanto in questa prima fase, per il disagio conseguente al fallimento dell'unione matrimoniale e tenuto conto del contesto sociale di un piccolo centro".

"Il rapporto con la madre, specialmente in caso di bambini piccoli, come quelli di Nicosia, non deve mai essere interrotto e dunque ha fatto bene il tribunale a respingere il ricorso del padre che voleva l'affidamento esclusivo dei figli solo perché la moglie avrebbe una relazione omosessuale, ha commentato Melita Cavallo, presidente del tribunale per i minori di Roma.

I bambini non hanno pregiudizi, sono innocenti, guardano il mondo con gli occhi dell'affetto e quello nei confronti della madre è particolarmente intenso a quell'età. Anzi, è bene che il padre non sottolinei aspetti della realtà che i bimbi non colgono". "Altro sarà, aggiunge Melita Cavallo, quando i figli cresceranno e la relazione omosessuale della madre potrà causare loro pregiudizio.

Penso al fatto che, in una situazione come quella di un piccolo centro, possano essere derisi a scuola. Solo allora la decisione del tribunale, se necessario, potrà essere rivista".

Ma è per evitare situazioni di questo genere che in alcune città, come sta succedendo in alcune scuole romane, che le insegnanti seguono corsi di formazione per imaprare a rapportarsi con i figli di coppie gay, in modo che non solo il loro comportamento non risulti discriminatorio, ma che sappiano far fronte ad aventuali comportamenti poco idonei da parte di altri bambini e ragazzi.

In sostanza, non sono le madri lesbiche a provocare dei problemi ai figli, come dimostrano decine di studi sociologici, ma la scarsa tolleranza degli ambienti circostanti.

Secondo l'Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, l'11% delle separazioni giudiziali è causato dai relazioni extraconiugali omosessuali intrattenute dall'altro partner.

L'associazione, poi, si è detta "soddisfatta" del provvedimento del Tribunale di Nicosia dove il giudice ha "ribadito il principio, per la verità già consolidato, secondo cui l'omosessualità non è sinonimo di inadeguatezza genitoriale o ragione per non applicare la regola dell'affidamento condiviso dei figli".

"Il dato più importante - dice il presidente nazionale Ami avv. Gian Ettore Gassani, è che sia stato proprio un Tribunale del sud ad imporre una battaglia contro l'omofobia: soprattutto in certe aree del nostro Paese e specie nei piccoli centri di provincia, l'omosessualità è vista ancora, infatti, come una malattia da curare.

Con rammarico notiamo, racchiusi nella letteratura giudiziaria italiana, molti provvedimenti giurisdizionali che, almeno fino alla fine degli anni '90, hanno dimostrato una sorta di discriminazione nei confronti dei padri e delle madri omosessuali".

Secondo Gassani, "ancora oggi in molti Tribunali, tuttavia, vengono disposte perizie psicologiche per verificare le capacità genitoriali di madri e padri omosessuali, quasi che la lotta al pregiudizio sia subordinata al punto di vista del consulente del giudice e alle garanzie morali che quest'ultimo sente il bisogno di ricevere prima dell'emissione di un provvedimento.

Anche parte dell'avvocatura del diritto familiare e minorile continua a sostenere strategie difensive sulla base di principi incostituzionali che tendono a discriminare l'omosessualità".

Il centro studi dell'Ami ha calcolato che il 7% di separazioni nasce proprio da tradimenti a sfondo omosessuale da parte del marito, mentre si parla del 4/% nel caso delle mogli: "il fenomeno dell'omosessualità dei genitori pertanto è molto più radicato di quanto si possa anche lontanamente immaginare e tantissime coppie tendono a nascondere queste vicende optando per la separazione consensuale".

"Molti padri e molte madri omosessuali assolvono al meglio al loro ruolo genitoriale, ancor più di quanto facciano i genitori eterosessuali", conclude Gassani.

Per concludere, uno studio dell'università La Trobe di Melbourne, pubblicato dall'Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, dimostra che le coppie di genitori gay risultano essere più egalitarie nella spartizione dei compiti tra i due genitori, sia per quanto riguarda le faccende domestiche che la cura dei figli.

Mamme e papà gay, inoltre, danno una priorità maggiore al tempo trascorso con i figli rispetto ai genitori eterosessuali.
fonte www.gay.it di Caterina Coppola

Lgbt cronaca, Gay insultato e ferito a Roma: sembra che uno dei tre aggressori sia stato arrestato


Un ragazzo di 22 anni è stato insultato e aggredito da tre teppisti perché omosessuale.

Per fortuna sembra che uno dei tre sia stato arrestato, mentre Marrazzo di Gay Help Line ricorda come "ques'anno si sono verificati molti casi di discriminazione e violenza".

"Quest'anno, durante il quale si sono verificati molti casi di discriminazione e violenza, si conclude nel peggiore dei modi", aveva dichiarato il presidente di Arcigay Roma Fabrizio Marrazzo, responsabile di Gay Help Line, in seguito all'aggressione avvenuta il 28 dicembre scorso a Trastevere (Roma) nei confronti di un 22enne gay.

Per fortuna, sembra che la squadra mobile di Roma abbia individuato l'esecutore materiale che quella sera colpì il ragazzo all'orecchio con un coccio di un bicchiere che riportò "una ferita che avrebbe anche potuto costargli la vita, se il colpo fosse stato inferto pochi centimetri più in basso, all'arteria" spiegava sempre Marrazzo.

Il 28 dicembre, infatti, il ragazzo 22enne, in compagnia di due sue amiche, è stato prima oggetto di battute e insulti omofobi da tre persone per poi essere rincorso e aggredito.

Stando a quanto sta ricostruendo la polizia, sembra inoltre che il gestore di un locale del quartire storico di Roma dove è avvenuta l'aggressione, abbia addirittura incitato i tre teppisti a scappare per nascondersi dalle autorità.
fonte www.mainfatti.it di Tommaso Cicconi

mercoledì 29 dicembre 2010

"RITRATTO D'ARTISTA" PER LISADELGRECO_COREOGRAFI: MARIO PIAZZA, IL 3 GENNAIO A ROMA CON IL SUO "SCHIACCIANOCI" CONTEMPORANEO


Lo “Schiaccianoci” contemporaneo firmato da Mario Piazza
In scena a gennaio, all’Auditorium Conciliazione a Roma, il suo Schiaccianoci post-moderno di grande suggestione con atmosfere contaminate da videogame, installazioni e toni noir alla Hitchcock.

«La danza contemporanea è contaminazione, cultura e tecnica»

Un grande artista per uno spettacolo-evento che, da quattro anni, registra un notevole riscontro di critica e di pubblico.

Lui è Mario Piazza,
coreografo e regista de “Lo Schiaccianoci” che apre il 2011, nel magnifico spazio dell’Auditorium Conciliazione a Roma dove, dal 3 al 6 gennaio, vanno in scena ben quattro repliche con protagonisti gli splendidi danzatori del Balletto di Roma.

Nel giro di pochi anni, lo spettacolo è diventato un vero e proprio ‘cult’ regolarmente riproposto e riapplaudito con entusiasmo dagli spettatori.

Una pièce di grande suggestione con atmosfere contaminate da videogame, installazioni e toni noir alla Hitchcock.
E ancora una rivisitazione in chiave contemporanea di un grande classico della coreografia, uno Schiaccianoci nuovo per il Balletto di Roma, sul nuovo libretto di Riccardo Reim.

Mario Piazza, come nasce il suo “Schiaccianoci” post-moderno che ha debuttato nel 2006? Quale idea ha cercato di sviluppare?

«Ho lavorato sul romanzo di E.T.A. Hoffman e sulla partitura musicale di Peter Ilic Cajkosvkij, per costruire uno spettacolo di grande intensità in cui s’intrecciano sogno, realtà e mondo virtuale.

Senza tradire la tradizione dell’incantata atmosfera natalizia popolata da bambini e giocattoli, gatti e topi, Fata Confetto e Principe Azzurro, ho voluto proporre un’interessante lettura contemporanea della malinconica fiaba: monitor emblemi dell’inganno del virtuale che entra nel quotidiano, simboli di un pericolo che diventa incubo, di una realtà disorganica più che attuale nella nostra società.

Il balletto diventa specchio fedele delle generazioni odierne, precocemente private dell’infanzia e ingannate da falsi miti proposti da abili ingannatori che vendono sogni e modelli virtuali».

Il suo finale lascia ben sperare…?

«Malgrado le angosce di questo annullamento di confini tra reale e virtuale, alla fine prevalgono i toni fiabeschi e il classico happy end.
Sarà un racconto a lieto a fine, specchio fedele di una generazione che si nutre di violenze quotidiane, di una tv che ha spettacolarizzato la morte, la guerra.

Si osserva tutto con incomprensibile indolenza percorsi da un mal di vivere così tipico della fanciullezza».

Lei è considerato uno dei maggiori talenti creativi della danza contemporanea, tanto che la critica internazionale lo ha persino definito il “Roberto Benigni della danza” per l’esemplare balletto “Ghetto”, su musiche Klezmer e di Goran Bregovic, che parla del destino degli ebrei, offrendo una rilettura dell’argomento come nel film “La vita è bella” (ndr, spettacolo ricompensato dalla European Association for Jewish Culture di Londra con un premio per le Performing Arts).

Il 2010 è stata un anno prolifico e ricco di successi, iniziato con il debutto con l’Opera da Tre Soldi di Bertolt Brecht al Teatro Filarmonico di Verona. Cosa ha significato per lei trascrivere e interpretare in danza quest’opera?

«Ho cercato di ritrovare l’integrità dello scritto, tradotto in linguaggio coreografico e rappresentarlo al fine di esprimerne l’intensità con l’ausilio del genio musicale di Kurt Weill.

L’Opera da Tre Soldi è stata creata, con piglio ironico e polemico, negli anni del declino della repubblica di Weimar, quando la radicalizzazione di classe era spinta a tali estremi che le sovrastrutture crollavano e i congegni, motori della società, si mostravano in tutta la loro efferatezza.

Il testo di Brecht mi ha stimolato a trovare l’essenziale di quest’opera. Come un pittore stabilisce i punti di forza sulla tela, ho voluto con un segno coreografico contemporaneo cogliere tutta la drammaticità ma anche l’ironia espresse dall’autore».

In marzo, al teatro Nazionale di Roma, è stata la volta di “Tango Viola – La Sera”, una nuova coreografia per il corpo di ballo del Teatro dell’Opera che ha reso omaggio agli enfants terribles del secolo scorso con lo spettacolo “The bad boys of piano”, con le musiche al pianoforte di Daniele Lombardi. Qual è stato il suo sforzo maggiore?

«Quello di produrre una perfetta fusione di musica, movimento, contenuti e interpretazioni in una scena resa particolarmente dinamica e innovativa anche dal gioco di luci, colori e video.

Ho creato una coinvolgente coreografia, densa di chiaroscuri e di intense letture “in movimento” del magnifico testo dannunziano, con intrecci drammaturgici dal segno danzato. Il punto di forza di questa coreografia è l’ideale prolungamento del corpo, in cui ogni più piccola parte, dalle ossa ai tendini, dai muscoli ai nervi, cerca di assecondare e allinearsi con la musica di Casavola e la prosa di D’Annunzio.

Sul trapezio invisibile delle umane emozioni ho cercato di inventare nuovi acrobatismi e nuove letture di quel magnifico testo che mi ha ispirato».

Lei ha saputo imporsi con il suo stile forte e particolare, una miscela esplosiva in cui confluiscono la danza, il teatro, il cinema, il canto e le arti figurative. La danza contemporanea per lei è…?

«È contaminazione, è cultura, è tecnica. Durante il mio percorso artistico ho cercato di sviluppare uno stile forte, combinando le teorie della contemporary dance apprese negli Stati Uniti con la tradizione europea.

Il risultato finale è un lavoro particolare che, forse, è apprezzato proprio per questo. È un modo nuovo di fare danza contemporanea che non ha nulla a che fare con ciò che era già stato fatto, perché va oltre: è già una rinascita.

Definisco la mia danza “New Rinascimento”, perché è una fusione della gestualità dei popoli latini che diventa così una sorta di “mudra”, ossia movimento danzante».

D. Facciamo un salto indietro, sino alla sua formazione oltreoceano. Come ha iniziato?

«Sono nato a Montreal (Canada), nel 1959, da immigrati italiani. Mio padre era ebreo e per dimenticare le brutture della seconda guerra mondiale decise di emigrare nel 1956. Sin da piccolo sono stato educato all’amore per le arti, grazie a mia madre che era cantante e a mio padre, un grande collezionista e mercante d’arte.

Mi sono formato studiando canto, pittura e ginnastica artistica finché, all’età di diciannove anni, mi sono avvicinato alla danza classica sotto la guida di Susanna Egri e Perti Virtanen. Mi è piaciuta e, così, ho iniziato a girare il mondo per specializzarmi in danza contemporanea: a New York, sono entrato alla Alvin Ailey e Martha Graham School, mentre a Parigi, ho preso lezioni da Peter Goos e Carolyn Carlson.

Poi, ho danzato in compagnie italiane e internazionali, fra cui quelle di E. Cosimi, Momix di Moses Pendleton e la Lindsay Kemp Company. Ho avuto l’opportunità anche di essere danzatore ospite in coreografie di M. Van Hoecke, F. Strachon, L. Kemp».

Da ballerino a coreografo. Quando ha esordito?

«Nel 1987, creando “Tempus fugit” e l’anno successivo, con “Traviata, une adventure dans le mal” insieme a Evgheni Polyakov. In seguito, ho allestito “A Selene”, “Baby doll” e “Batmos”. Sin dagli esordi ho ricevuto vari riconoscimenti, ben dieci, fra cui il Prix Volinine, concorso coreografico internazionale di Parigi, il premio per le “Performing Arts” dell’European Association for Jewish Culture di Londra, il premio G. Tani per la danza contemporanea al Teatro dell’Opera di Roma e il premio “Buona Fortuna” della Rai».

Cosa l’ha spinta poi, a ricercare la collaborazione di altri danzatori importanti?

«La necessità di confrontarmi e di ricevere nuovi preziosi stimoli per approfondire ed elaborare un mio stile. Nel 1993, insieme a Ludovic Party, ho fondato la compagnia Mario Piazza, presentando delicati lavori di teatrodanza come “Claustrum”, “Beatitudinis” (1993), “Kaffe-kantate” (1994) e “Charlie danza Charlot” (1995).

Negli spettacoli, creati e presentati nei principali appuntamenti italiani, vengono superati i confini tra le tecniche moderne della danza e le teorie che ruotano attorno al teatrodanza, o forse sarebbe meglio dire danzateatro, proponendo un linguaggio legato alle miracolose alchimie tra cinema, teatro, danza, canto e arti figurative.

Dopo vari anni e tanti lavori, ho chiuso la compagnia perché non riuscivo più a conciliare l’essere coreografo con l’essere direttore. Sono molto affezionato allo spettacolo “Ghetto”, realizzato per il Teatro Opera di Belgrado, con musica di Klezmer».

Nel 1995 è diventato membro della giuria del Prix Volinine di Parigi e, contemporaneamente, è stato invitato a una conferenza dell’Unesco. Dopo tante creazioni per enti lirici, compagnie italiane e straniere, televisioni, è infine approdato al cinema…

«Sì, era il mio sogno di sempre… Nel 2004, ho curato le coreografie dei film di Diego Ronsisvalle, “Le grandi dame di casa d’Este” e “Il potere sottile”, presentato alla Biennale Cinema di Venezia con protagonisti Ludovic Party e altri trenta danzatori.

Poi è stata la volta di “Eleonora d’Aragona”, di “Isabella Morra” e di “Matilde di Canossa” dell’Istituto Luce - Cinecittà».
fonte ufficio stampa Mario piazza

SHE HE: TAZZE E CAPPELLINI PER IL MONDO LBGT, È ITALIANO IL PRIMO SHOP ONLINE


La SHe+SHe things, azienda con sede a Perugia, ha inaugurato lunedì la messa online del primo negozio virtuale
(www.sheshe.it / www.hehe.it)
di articoli per la casa e capi di abbigliamento, interamente dedicato al mondo LGBT.

Il successo dell'idea è comprensibilmente attuale nell'ottica delle coppie omosessuali che al momento della loro unione formale (da contrarre ancora solo all'estero), manca loro la possibilità di formulare una lista nozze per arredare la propria casa, anche con articoli che arricchirebbero la loro unione: ecco quindi le tazze SHe+SHe o He+He sopra a tovagliette della stessa linea, più tanti altri oggetti in fase di produzione e imminente uscita.

Senza contare che indossare t-shirt, cappellini o pashmine con un design pulito e indistinguibile, sdogana con allegria una condizione a volte ancora difficile da vivere, rendendo il “coming out” fluido in tutti gli aspetti della propria vita, unitamente a una questione di stile.

E' per questo che tutti, non solo gay o gay friendly, potrebbero ad ogni modo indossare le t-shirt o l'underwear SHe+SHe e He+He.

La SHe+SHe things ha inventato i marchi SHe+SHe e He+He che svelano nella propria cifra il significato di questo progetto.

Niente gadgets dunque, ma veri e propri strumenti per la vita quotidiana risolti con un design originale e realizzati con l'aiuto di aziende locali Made in Italy per “fare sempre PRIDE e sorridere con chi si diverte con noi”, come recita uno slogan all'interno del sito.
fonte digayproject.org

Lgbt sport: Il rugbista Gareth Thomas: “Voglio che il mio film aiuti gli altri gay”


Si concretizza sempre di più il film su Gareth Thomas, il primo rugbista dichiaratamente gay della storia. È lo stesso sportivo a parlare del lungometraggio che lo riguarderà, svelando alcuni retroscena del progetto cinematografico:

Mickey Rourke ama il rugby e ammira i rugbisti. Ha sempre voluto fare un film basato sul rugby, ma aveva bisogno di una persona o un personaggio di cui parlare. Ha letto la mia storia e mi ha contattato.

Il protagonista della pellicola sarà proprio Mickey Rourke, il quale si è interessato in prima persona a trovare i fondi necessari a portare sul grande schermo la vicenda di Thomas.

A proposito del film, il rugbista si augura che possa essere il più fedele possibile alla realtà del suo vissuto, oltre ad augurarsi che possa essere anche d’aiuto ai tanti gay in difficoltà:

Se la mia vita è stata d’aiuto alle persone che l’hanno letta sui giornali, chissà quante altre potrebbero essere aiutate ulteriormente con un film.
fonte gayprider.com

martedì 28 dicembre 2010

Libri Lgbt: "Les condamnés" i gay perseguitati nel mondo, presentato a Verona da Sportello Migranti lgbt e Arcigay, Arcilesbica e Circolo Pink


Il libro-documento, firmato dal giornalista e fotografo francese Philippe Castetbon, denuncia le più dure discriminazioni e condanne subite dagli omosessuali nei vari Paesi.

Un volume di informazione e di denuncia in tema di diritti umani negati.

A Verona, presso la libreria Gheduzzi, è stato presentato il libro “Les condamnés” (in francese), del giornalista e fotografo francese Philippe Castetbon, che contiene 51 testimonianze di gay che vivono in Stati dove l’omosessualità è un reato.

In 78 Paesi del mondo, questo orientamento sessuale è ancora considerato un crimine e in 7 è punito con la pena di morte (Mauritania, Yemen, Sudan, Arabia Saudita, Iran e alcune regioni della Nigeria e della Somalia).

L’incontro è stato organizzato dallo Sportello Migranti Lgbt di Verona, servizio sorto più di un anno fa e promosso da un cartello di associazioni gay veronesi (Arcigay, Arcilesbica e Circolo Pink) e dall’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione).

“Questo libro è un importante strumento per riflettere sulla condizione degli omosessuali nel mondo”, ha detto Lorenzo Bernini, volontario dello Sportello, ricordando che l’Italia offre asilo, secondo accordi internazionali, alle persone che possono essere perseguitate nel loro Paese d’origine a causa di condizioni personali come l’omosessualità.

“Il nostro è un lavoro di assistenza, seguiamo questi migranti nelle procedure di richiesta di protezione internazionale”, ha spiegato Bernini evidenziando: “Le persone migranti Lgbt sono in condizione di particolare debolezza e fragilità”.

“Penso che la maggior parte della gente non sappia che tutti questi Paesi condannano l’omosessualità e la puniscono con leggi così dure, perciò ho realizzato il libro, prima di tutto, per informare”, ha dichiarato Philippe Castetbon che è riuscito ad ottenere le 51 testimonianze dopo aver contattato nell’arco di un anno, tramite siti web d’incontri, più di 650 uomini gay nel mondo.

Il giornalista si è fatto inviare da questi omosessuali, che rischiano il carcere o il patibolo, una loro foto a volto coperto (“per la loro sicurezza”), una testimonianza personale e la frase “Nel mio Paese la mia sessualità è un crimine” scritta nella loro lingua. Poi, le ha pubblicate assieme alle leggi discriminatorie del loro Paese.

“Per convincerli è stato difficile, avevano molta paura, ho dovuto rassicurarli e conquistare la loro fiducia”, ha affermato Castetbon. All’inizio, infatti, ha incontrato diffidenza perché in alcuni Paesi la polizia contatta i gay via internet, li fa cadere in trappola e li arresta.

“Per questo” ha detto l’autore di Les condamnés “mi chiedevano di vedermi attraverso la webcam”. “Il primo che mi ha risposto, dopo una settimana, è stato un uomo dello Yemen e ciò mi ha motivato perché se lo aveva fatto una persona dallo Yemen, dove per l’omosessualità c’è la lapidazione, allora ho pensato che anche altri mi avrebbero risposto”, ha riferito Castetbon.

Da alcuni Paesi non è arrivata nessuna testimonianza perché le persone “avevano troppa paura”.

Castetbon ha raccontato che è stato molto difficile, per esempio, ottenere una foto dalle Maldive: “Da qui un uomo mi ha mandato quattro diverse foto, continuava a sostituirle perché temeva di essere riconosciuto da qualche dettaglio”.

Molte fotografie contenute nel libro sono state scattate col telefono cellulare.

L’ultimo Stato dal quale il giornalista francese ha ricevuto una testimonianza è la Guyana, “l’unico Paese a condannare l’omosessualità in Sudamerica: la pena è la prigione a vita”.

In Iran ogni anno vi sono esecuzioni capitali di omosessuali e attualmente, nel silenzio generale, “c’è un ragazzo di 18 anni in attesa di esecuzione”, ha ricordato Philippe Castetbon che ha proseguito: “In Iran, nel caso migliore, vengono impiccati altrimenti sono spinti, con un sacco sulla testa, su di una collina e muoiono per lapidazione”.

Secondo il giornalista, ora il Paese più pericoloso per i gay è l’Iraq: nel 2009 sono avvenuti 300 omicidi (non esecuzioni) a loro danno, e ciò significa che vi è un sentimento diffuso di condanna tra la popolazione.

“I capi religiosi” ha spiegato Castetbon “istigano all’omicidio gli abitanti stessi dell’Iraq nei confronti degli omosessuali”. “I Paesi musulmani” ha poi continuato Castetbon “hanno delle leggi molto dure ma non sono i peggiori perché, sia nelle leggi che nella realtà, i Paesi cristiani sono altrettanto terribili soprattutto in Africa: i gruppi evangelici americani fanno una propaganda molto forte per colpire gli omosessuali avendo fallito nel proprio Paese; in Uganda, ad esempio, dove adesso la pena è l’ergastolo, fanno pressioni perché la sanzione sia trasformata in pena di morte”.

Giorgio Dell’Amico, responsabile del progetto Arcigay IO (Immigrazioni e Omosessualità), ha dichiarato: “Les condamnés è un libro dei nostri tempi, realizzato utilizzando Internet, che permette di denunciare situazioni”.

Dopo l'uscita del volume, intanto, India e Isole Fiji hanno depenalizzato l'omosessualità.
fonte www.agoravox.it di Marco Scipolo

Lgbt Arte: Leonardo da Vinci, negli occhi della Gioconda, una lettera (svelata) risolve l'enigma dell'identità


La scoperta: stesso grafema ritrovato nei documenti dell'artista
Nella pupilla destra di Monna Lisa si legge una S che "rinvia agli Sforza": si restringe così il campo intorno al nome delle presunta modella ritratta da Leonardo. Silvano Vinceti: "A gennaio diremo chi è"


La sigla negli occhi della Gioconda non è più un mistero. ''La lettera emersa nell'occhio destro ha raggiunto la chiarezza necessaria: si tratta di una S''.

E' quanto afferma Silvano Vinceti, presidente del Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei Beni Storici Culturali e Ambientali, spiegando all'ADNKRONOS lo sviluppo delle analisi effettuate sul dipinto di Leonardo dopo un primo indizio da parte di un iscritto al Comitato, studioso del celebre pittore fiorentino.

Non solo. ''Cosa più importante - aggiunge Vinceti, un'analisi comparativa con la scrittura di Leonardo ha evidenziato la corrispondenza fra la S trovata e la S che l'artista trascriveva in alcuni suoi documenti.

Anche nell'occhio sinistro, pur se sussistono alcune difficoltà di chiarezza comprensibili dopo 500 anni e la inevitabile azione corrosiva degli agenti atmosferici e umani, emerge maggiormente rimarcata la lettera L come Leonardo''.

Una risposta concreta a ''tutti gli scettici - sottolinea il presidente del comitato secondo i quali avremmo proiettato noi, dentro gli occhi della Gioconda, le nostre percezioni e aspettative. Dovrebbero invece, tener conto di quanto Leonardo sosteneva nel Codice Atlantico in cui ribadisce come il sapere ha il fondamento nell'esperienza. Quello che oggi siamo in grado di affermare è visibile e non confondibile''.

Con questo risultato inoltre, secondo Vinceti, sarebbero risolti i dubbi sull'autore della Gioconda e sulla identità della modella scelta da Leonardo per il dipinto. ''La S rinvia agli Sforza e muta l'ambito e il tipo di ricerca sulla presunta modella che avrebbe ispirato la Gioconda, ribadisce.

Viene confermato quanto affermato nei giorni scorsi e cioè che la Gioconda dovrebbe essere stata iniziata nel periodo di presenza di Leonardo a Milano (1482-1499) o, anche se meno probabile, nel successivo periodo della sua presenza presso la corte degli Sforza (1506-1507) e ritorna a Milano per un breve soggiorno nel Dicembre nel 1515''.

Intanto, alcuni membri dello staff del Comitato sono da più di due mesi impegnati in una approfondita ricerca storico-documentaria e biografica al fine di accertare quale potrebbe essere la modella ispiratrice della Gioconda.

Tra le ipotesi Bianca Giovanna Sforza, figlia illegittima di Ludovico il Moro, morta a 14 anni avvelenata; Bianca Sforza e Beatrice d'Este d'Aragona, moglie di Ludovico il Moro morta a 22 anni, frequentava Leonardo mentre finiva 'L'ultima Cena'.

''A gennaio renderemo noti i risultati della ricerca - sostiene Vinceti che chiarisce - questa scoperta indebolisce ma non esclude l'altra ipotesi che attribuisce alla Gioconda il volto di Lisa Gherardini''.

Intanto, lo storico non manca di rispondere al critico d'arte Vittorio Sgarbi che si è definito scettico nei confronti di questa nuova 'scoperta': ''Conoscendo il mio amico Sgarbi non sono rimasto molto stupito dalle sue affermazioni però, prima di gettare parole al vento avrebbe dovuto fare una verifica.

Per Natale gli regalerò una confezione di fotografie sulla Gioconda, i segni da noi visti e verificati''.
fonte www.adnkronos.com

lunedì 27 dicembre 2010

Lgbt politica: Hillary Clinton “L’abolizione del DADT? Un passo in avanti per tutti gli americani”


Il Segretario di Stato, Hillary Clinton, è al settimo cielo per l’abrogazione del Don’t Ask, Don’t Tell, la legge che vietava ai militari gay e bisessuali di servire apertamente la propria Patria:

Questo è un passo in avanti storico per tutti gli americani, un passo verso un’unione perfetta e una riflessione concreta sui valori fondamentali della nostra nazione.

Ha, poi, aggiunto:

"Come il presidente Obama ha più volte detto, ci siamo impegnati a standard universali all’estero in materia di parità sessuale tra i cittadini. I nostri progressi in questo delicatissimo ambito rafforzano la difesa della dignità umana in ogni settore della società."
fonte gayprider.com

Serial Lgbt "Anyone But Me" ovvero una web series di lesbiche a New York


Ve lo ricordate The L Word? Ecco. Susan Miller, una delle più note sceneggiatrici dietro il successo della serie lesbo per eccellenza, ha deciso di mettersi in proprio chiamando con sé l’amica-regista Tina Cesa-Ward e di passare dalla TV al web.

Creata nel 2008, Anyone But Me è una web series che segue le dinamiche personali di Vivian, sedicenne newyorkese che deve abbandonare The Big Apple per trasferirsi nel sobborgo Westchester insieme a suo padre.

Se da un lato Westchester è il luogo ideale per ricominciare da zero dopo l’11 settembre, dall’altro significa che Vivian vivrà lontana dalla ribelle ma innamoratissima fidanzata Aster.

Lo schema è classico: il coming out, da fare e rifare, amicizie che si ritrovano ed altre che entrano in crisi, gelosie e tradimenti, il tutto nel ritmo di un ottimo teen drama che continua a raccogliere consensi dalla critica e più di 4,5 milioni di visualizzazioni nella sola seconda stagione.

Chicca della serie è lo special guest di Liza Weil, l’indimenticabile bad-girl Paris Geller di Una mamma per amica che ritroviamo cresciuta e nei panni di terapista.
E vi assicuriamo che vi sorprenderà puntata dopo puntata.

Insomma se siete dei nostalgici di The L Word e siete curiosi di scoprire come sono gli adolescenti che non sono cresciuti a pane e Dawson’s Creek, allora Anyone But Me è decisamente la web series che fa per voi.

La terza stagione andrà in onda nella primavera 2011, insomma avete un pò di tempo per mettervi a pari! fonte www.bonsai.tv

Titolo:
Anyone But Me

Regista ed autore:
Susan Miller
Tina Cesa Ward

Protagonisti:
Rachael Hip-Flores interpreta Vivian
Nicole Pacent interpreta Aster
Jessy Hodges interpreta Sophie
Joshua Holland interpreta Archibald
Liza Weil interpreta Dr. Glass
Alexis Slade interpreta Elisabeth
Mitchell S. Adams interpreta Johnatan
Barbara Pitts interpreta Jodie
Dan Via interpreta Gabe

Lingua:
Inglese

Il sito:
Anyone But Me official site
Anyone But Me su Facebook
Anyone But Me su Twitter
Anyone But Me Fans su Twitter

Susan Miller su Twitter
Tina Cesa-Ward su Twitter
Rachael Hip-Flores su Twitter
Nicole Pacent su Twitter

Canale YouTube: http://www.youtube.com/user/AnyoneButMeWebSeries
fonte www.bonsai.tv

Lgbt: Mondiali di calcio in Qatar, le scuse di Blatter


Come di certo ricorderete, nelle scorse settimane si è deciso che i mondiali di calcio del 2022 si terranno in Qatar, una delle zone del mondo più ostili alla comunità lgbt, e seguiranno quelle del 2018 che invece si terranno in Russia, un altro posticino non esattamente paradisiaco per la comunità Lgbt, nonostante poche settimane orsono Putin aveva cercato di dipingere un quadro più roseo.

Tutti siamo al corrente del modo in cui vengono gestite delle manifestazioni di orgoglio gay come i Gay pride in Russia, vero?

Ad ogni modo, la polemica in merito alla scelta di queste mete per i mondiali di calcio futuri era assolutamente inevitabile, tanto che le associazioni Lgbt inglesi avevano fatto notare che i tifosi omosessuali non saranno mai accettati e rispettati.

In risposta a queste lamentele, il presidente della Fifa Blatter aveva affermato che i gay dovrebbero semplicemente cercare di limitare le manifestazioni di affetto in pubblico per non correre rischi. In sostanza i gay devono fingersi eterosessuali per essere al sicuro! Scandaloso…!

Com’è ovvio, l’indignazione della comunità gay non ha tardato a farsi sentire, e Blatter è immediatamente tornato sui suoi passi, chiedendo scusa alle persone che si sono sentite offese: «Nei giorni scorsi una mia affermazione sugli omosessuali a proposito del Mondiale 2022 e’ stata fraintesa e censurata.

Non era mia intenzione far alcun tipo di discriminazione e se ho offeso involontariamente qualcuno, sono pronto a fare un passo indietro e a chiedere scusa».
fonte gaywave

domenica 26 dicembre 2010

Lgbt Sport: Renée Richards, la transessuale che ha fatto storia nel tennis


Richard Raskind nacque a New York il 19 Agosto del 1934. Capitano della squadra di tennis del suo liceo, l’ Horace Main School, a 15 anni vinse il torneo di singolare del campionato interscolastico tra istituti privati della East-Coast.

All’università di Yale fu ancora capitano del team di tennis e si laureò poi alla Medical School di Rochester, divenendo un chirurgo oculista; servì nella marina americana come tenente capitano e nel 1972 vinse i campionati americani over 35.

Perché stiamo parlando di Richard Raskind? Bè, in parte perché è quasi Natale e di tennis giocato non ce n’è.

Ma il motivo principale è che siamo recentemente incappati in un film TV sulla sua storia, intitolato "Second Serve", preso dalla sua prima autobiografia - interpretato nientemeno che da Vanessa Redgrave.

Altre due domande dovrebbero ora seguire: per quale motivo è stato girato un film su un oculista / tennista (semi)amatoriale degli anni ‘60? E, soprattutto, per quale ragione è stata scelta una donna, e che donna! per interpretare il suo ruolo?

Tutti i tasselli del puzzle dovrebbero essere al loro posto e, a questo punto, ormai qualsiasi stupore smorzato nel dirvi che nel 1975 Richard Raskind, dopo essersi sposato, essere divenuto padre ed avere divorziato, divenne legalmente e fisicamente Renée Richards, la prima atleta transessuale della storia del nostro sport.

Tutto qui? Neanche per sogno! Dopo aver trapiantato la sua vita e l’attività di chirurgo sulla West-Coast, Renée, già quarantenne, iniziò a giocare diversi tornei femminili, sino a quando la stampa non scoprì il suo passato e la accusò di essere un uomo mascherato da donna.

La USTA le negò la possibilità di giocare lo US Open, sostenendo che l’operazione di riassegnamento sessuale non poteva cambiare una persona dal punto di vista genetico, e che la Richards non avrebbe passato il test cromosomico adottato dal Comitato Olimpico.

Le autorità del tennis giustificarono la loro decisione con quella che Renée ribattezzo “the floodgate theory” (“flood” significa flusso e “gate” cancello), a dire che se fosse stato permesso a lei di giocare, orde di uomini avrebbero invaso il circuito femminile e fatto a pezzi le varie Chris Evert ed Evonne Goolagong.

“Quanto devi desiderare di diventare un campione di tennis se sei disposto a farti tagliare il pene per farcela?” fece notare ironicamente la Richards.

Renée divenne in quegli anni un baluardo delle minoranze, dagli hippy agli omosessuali, passando attraverso carcerati, neri, ispanici e naturalmente transessuali, che la convinsero a trascinare la USTA in giudizio

“Sembrava che tutto il mondo volesse che diventassi la loro Giovanna d’Arco” sino alla sentenza della Corte Suprema di New York che nel 1977 le permise di prendere parte allo US Open 17 anni dopo la sua ultima partecipazione al torneo maschile, nel quale tuttavia la nostra eroina fu sconfitta al primo turno da Virginia Wade.

“Dopo che vinse la causa le altre giocatrici stavano uscendo di testa,” ricordò Billie Jean King, sua frequente compagna di doppio di quegli anni, in occasione dell’uscita della seconda biografia di Renée, No Way Renée: The Second Half of My Notorious Life.

“Io dissi: ragazze, è una donna, quindi giocherà. Fatevene una ragione!”

Ma in molte faticarono a mandar giù la faccenda, tanto che, ad esempio, ben 25 su 32 si ritirarono dal Tennis Week Open tenutosi a South Orange, New Jersey, come documenta questo interessante articolo del tempo di Sports Illustrated.

“Lo fai per i soldi?” le chiese Caroline Stoll, quindicenne appena sconfitta 6-1 al terzo al primo turno di quel torneo.

“È assurdo, Caroline,” tentò di farla riflettere Renée. “Guadagno centomila dollari l’anno facendo l’oculista. Tu cambieresti sesso per un milione?”

“Non è giusto,” disse però la Stroll in conferenza stampa. “Avete fatto caso alle sue braccia? È da quelle che ottiene tutto quello spin e la potenza al servizio.”

“Avete mai visto una donna tirare un colpo del genere?” le fece eco Linda Thomas dopo aver assistito a un suo rovescio vincente. “Ogni giorno fa qualcosa di diverso. Sicuramente non ci ha ancora mostrato tutto ciò di cui è capace…”

Più diplomatica la diciassettenne Linda Antopolis che, grazie anche al sole cocente del pomeriggio e ai 25 anni di vantaggio sulla sua avversaria, sconfisse Richards in semifinale.

“Sarà difficile avere a che fare con lei, perché ha un vantaggio fisico. Ma ne ha ogni diritto: tutti i grandi atleti hanno una qualche superiorità fisica, è questo che distingue i campioni,” commentò.

Sarcastico e tagliente come sempre, Ilie Nastase, con il quale Renée raggiunse la semifinale nel doppio misto allo US Open del 1979, disse invece:
“Se indossa un completino da donna, perché non permetterle di giocare? Questa è la dimostrazione di quanto siano forti le tenniste: potrebbe essere loro madre, eppure si lamentano… Hanno paura!”

La carriera professionistica di Renée durò appena dal 1977 all’81, quando la Richards si ritirò, all’età di 47 anni, senza avere mai vinto un titolo sul circuito WTA ma avendo raggiunto il 20° posto nella classifica di singolare e la finale del doppio allo US Open del 1977 (in coppia con Betty-Ann Stuart, persero da Martina Navratilova e Betty Stove), oltre ad aver sconfitto giocatrici quali Hana Mandlikova, Pam Shriver, Silvia Hanika e Virginia Ruzici.

Successivamente si dilettò nel fare l’allenatrice, seguì Martina Navratilova tra il 1981 e l’83, prima di tornare alla medicina, professione che ancora oggi esercita quale primario di oculistica al Manhattan Eye, Ear and Throat Hospital di New York.

“Mi infastidisce,” ha dichiarato amareggiata in recenti interviste: “Quando morirò il mio necrologio dirà: tennista transessuale Dottor Renée Richards, e io non posso farci niente.

All’inizio, dopo essermi trasferita in California, ho avuto delle storie d’amore, ma dopo che hanno scoperto il mio passato… È necessaria molta forza per avere una relazione con una donna che un tempo è stata un uomo, specie se tutti lo sanno.

Ho dei rimpianti riguardo a come sono andate le cose; sarei potuta tornare al mio ufficio e decidere di avere una vita normale, ma ho preso la fatale decisione di combattere una battaglia legale per poter giocare a tennis da donna.

A volte immagino come sarebbe potuta essere la mia vita se avessi scelto diversamente… ”

A seguito dell’evoluzione della società civile e degli sviluppi della legislazione sportiva in tema di transessualità, le posizioni della Richards suonano oggi controverse per un’atleta che è stata a suo tempo un baluardo probabilmente involontario dei diritti civili.

“Il CIO ha deciso che gli atleti transessuali possono competere alle Olimpiadi se sono passati 2 anni dal cambio di sesso (è inoltre richiesto che vi sia stato il riconoscimento legale nel paese di appartenenza dell’atleta e che questo sia stato sottoposto alle adeguate cure ormonali per un congruo lasso di tempo, ndr)? Bè, peggio per loro.

Io chiesi di giocare lo US Open, ma avevo 40 anni. Chris Evert e Tracy Austin ne avevano 20 di meno, non avevo alcuna chance contro di loro…”

Nel 1999 Tennis Magazine pubblicò su Renée un articolo dal titolo "Regrets, She's Had a Few," implicando i suoi rimpianti e il pentimento della Richards in relazione al suo cambio di sesso.

“Avrei preferito non vivere l’esperienza di trascorrere metà della mia vita da uomo e l’altra metà da donna,” ha commentato lei: “Avrei preferito non nascere o diventare transessuale, ma una vita da uomo sarebbe stata per me impossibile.

Per molti è così! Ricevo molte lettere di uomini sulla quarantina che vogliono affrontare il cambio del sesso, ma io li dissuado. Va bene se hai 20 anni, ma non se sei sposato e hai dei figli… ”

Resterebbe da chiarire la questione se le atlete transessuali abbiano un effettivo vantaggio rispetto alla competizione (è evidente che la questione non si ponga per gli atleti nati donna e successivamente divenuti uomini).

Ebbene, alcune teorie sostengono addirittura il contrario, che le atlete transessuali, a seguito delle terapie ormonali e, per esse, a fronte di una muscolatura divenuta simile (a parità di peso) e una equivalente distribuzione e percentuale di massa grassa rispetto alle loro colleghe, conservano comunque la struttura ossea (più pesante) di quando erano uomini, e quindi hanno maggiore difficoltà negli spostamenti.

Ad oggi, e a seguito della decisione del CIO risalente al 2003, praticamente tutte le federazioni internazionali e nazionali di ogni disciplina sportiva hanno aperto i cancelli ad atleti ed atlete transessuali.

Fa ancora eccezione l’LPGA tour di Golf, ancorato al proprio regolamento che vuole i suoi membri “nati donna”, ma che probabilmente sarà presto costretto a cambiare idea dalla causa che un ex poliziotto californiano, oggi la cinquantasettenne Lana Lawless, letteralmente, senza legge, gli ha intentato quando si è vista negare l’iscrizione al campionato del mondo per il drive più lungo, che la signora già aveva vinto nel 2008.

Va detto che altri circuiti professionistici di golf, tra i quali quello Australiano ed Europeo, hanno invece cambiato il loro regolamento per permettere alla danese Mianne Berger di partecipare regolarmente ai tornei da loro organizzati.

Dopo Renée, una sola altra tennista transessuale ha calcato i campi del circuito professionistico: la trentasettenne cilena Andrea Paredes, sconfitta 6-0, 6-0 in 25 minuti dalla scozzese Nicola Slater al torneo di Buenos Aires del 2009. Anche in questo caso, per le donne-nate-donne il pericolo è stato scampato.

fonte www.digayproject.org di Roberto Paterlini

Teatro Lgbt "Very Christmas Superstar" una storia d'amore e denuncia, contro l'omofobia e la transfobia


Very Christmas Superstar è l’originale divertissement scenico che il Teatro Civico 14 di Caserta proporrà al proprio pubblico da lunedì 27 a mercoledì 29 dicembre alle ore 21.

Per la regia di Claudio Finelli e Miryan Lattanzio lo spettacolo in scena vedrà Nicola Vorelli muoversi all’interno di un micro-musical queer ironico e militante che coniuga agilmente leggerezza e impegno.

Un musical in "sedicesimi" in cui una grande voce come quella di Vorelli interpreta, ibridandoli in maniera geniale, brani pop natalizi riletti alla luce della cultura camp, cioè in una maniera del tutto nuova che non può essere ricondotta ad alcuna determinazione di genere e di modello se non al gusto per l’eccesso, per il trasformismo e per la sorpresa, gusto che è tradizionalmente legato alla cultura lgbt.

Very Christmas Superstar è inoltre una storia d'amore e denuncia. D'amore oltraggiato e ferito, di denuncia contro l'omofobia, la trans fobia e la politica opportunistica e retriva di questi anni, anni di illusoria e fasulla libertà, anni di opprimente e sostanziale inautenticità.

Così, se il discorso più attuale relativo alla cultura lgbt è il discorso inerente al riconoscimento dei diritti e delle identità, Very Christmas Superstar sembra suggerirci che è possibile riutilizzare perfino il repertorio di immagini e suoni più tradizionale e più apparentemente destituito di qualsiasi valore eversivo per affermare l'innegabile urgenza di una matura e consapevole rivendicazione politica e sociale, una rivendicazione fatta di laicismo e di libera autodeterminazione affettiva e sessuale.

“Very Christmas Superstar, afferma Claudio Finelli, regista dello spettacolo, è un altro modo di raccontare il Natale. D'altronde, ognuno ha il suo natale. un natale privato, fatto di immagini che si accavallano e si contaminano, desideri, aspettative, doni mai donati ed altri mai ricevuti
fonte cinquew.it

Nicola Vorelli in Very Christmas Superstar
al Teatro Civico 14
Lunedì 27, martedì 28 e mercoledì 29 Dicembre alle ore 21.00
Very Christmas Superstar
di Claudio Finelli
Con Nicola Vorelli e Claudio Reale
Progetto grafico, scenografie e video: Luciano Correale
Costumi: Giacomo Alvino
Filmati: Giuseppe Bucci
Regia Myriam Lattanzio

“Very Christmas Superstar” è un altro modo di raccontare il Natale, un originale divertissement scenico, un micro-musical queer ironico e militante che coniuga agilmente leggerezza e impegno, un musical in "sedicesimi".

Una grande voce come quella di Nicola Vorelli interpreta, ibridandoli in maniera geniale, brani pop natalizi riletti alla luce della cultura camp, cioè in una maniera del tutto nuova che non può essere ricondotta ad alcuna determinazione di genere e di modello se non al gusto per l’eccesso, per il trasformismo e per la sorpresa, gusto che è tradizionalmente legato alla cultura LGBT.

”Very Christmas Superstar” è inoltre una storia d'amore e denuncia, d'amore oltraggiato e ferito, di denuncia contro l'omofobia, la transfobia e la politica opportunistica e retriva di questi anni, anni di illusoria e fasulla libertà, anni di opprimente e sostanziale inautenticità.

Dedicato a tutti gli angeli a cui gli esseri umani hanno strappato le ali.

Teatro Civico 14 - Vicolo Francesco Della Ratta, 14, Caserta
info:
3494784545
fonte culturacampania.it