lunedì 28 aprile 2025

Alla Scala l'opera potente Il nome della rosa. Firmata da Filidei con la regia forte di Michieletto

Scala: Il nome della rosa ora è un 'opera, oggi la prima mondiale - RIPRODUZIONE RISERVATA
(di Bianca Maria Manfredi) Un medioevo visionario, un bestiario colorato e contemporaneo, un continuo susseguirsi di immagini visive e uditive sorprendenti, una abbazia ottagonale di organza e luce che svetta sulla scena, un portale romanico che prende vita fino a sgretolarsi sono l'ambiente in cui si alternano i 21 personaggi principali de Il nome della rosa, opera di Francesco Filidei, che ha debuttato in prima assoluta alla Scala di Milano in una gigantesca coproduzione con l'Opéra di Parigi, dove andrà in scena nella versione francese, e il Carlo Felice di Genova.

Un avvenimento che ha attirato in teatro questa sera non politici e personaggi dello spettacolo come spesso avviene per l'inaugurazione della stagione il 7 dicembre ma uno stuolo di compositori (da Fabio Vacchi a Salvatore Sciarrino, da Silvia Colasanti a Luca Francesconi) e soprattutto rappresentanti di teatri dall'Opèra de Lyon, alla Wiener Staatsoper, dall'ensemble Intercontemporain, all'Opera nazionale dei Paesi Bassi, al festival di Aix-en-Provence a Fabrizio Zappi di RAI Cultura, che trasmetterà lo spettacolo in autunno, a dimostrazione dell'importanza di questo nuovo lavoro.

Un po' come era successo all'ultima prima dall'eco mondiale della Scala Fin de partie di Gyorgy Kurtag del 15 novembre 2018, quando in teatro arrivò anche Viktor Orban ad omaggiare il più grande compositore ungherese vivente. Questa sera non poteva mancare l'ex sovrintendente scaligero Dominique Meyer, che ha ideato il progetto, oltre ovviamente al padrone di casa Fortunato Ortombina. 

Una cosa era certa fin dall'annuncio della nuova produzione: che l'opera tratta dal più famoso romanzo di Umberto Eco (presente oggi anche la famiglia con la vedova Renate e i due figli Carlotta e Stefano) non sarebbe stata scontata, anche grazie alla regia di Damiano Michieletto che aiutato dalle scene di Paolo Fantin, dai costumi di Carla Teti e le luci di Fabio Barettin, ha dato forma vivente e vivace, fin truculenta, al racconto dei sette omicidi avvenuti in sette giorni, un mistero risolto da Guglielmo da Baskerville (il baritono Lucas Meachem) accompagnato dal giovane Adso da Melk (il mezzosoprano Kate Lindsey). Come il romanzo di Eco ha molti livelli di lettura, riferimenti alti e bassi (da libro giallo con echi della coppia Sherlock Holmes/Watson alla teologia medievale) e linguaggi diversi, così anche quest'opera presenta nella composizione elementi diversi: arie in cui i protagonisti sono supportati solo da un paio di strumenti a impegni massivi per l'orchestra con echi da Messiaen, al canto gregoriano (coro e coro di voci bianche hanno un impegno intenso, sul palco, fuori e anche su una struttura rialzata, nel ruolo di Adso anziano che ricorda gli avvenimenti) a conferma dell'impegno richiesto anche al direttore Ingo Metzmacher. Non solo quella di Adso è una parte 'en travesti' ma pure quella dell'inquisitore Bernardo Gui interpretato da Daniela Barcellona, mentre Gianluca Buratto (che stasera canta nonostante qualche indisposizione annunciata prima dello spettacolo) è Jorge De Burgos. Una cosa è certa. Si tratta di uno spettacolo che non si dimentica.  

fonte: di Bianca Maria Manfredi   www.ansa.it  RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati    

Libri: "Nobili contraddizioni. Vizi e virtù dell'aristocrazia inglese del Settecento" di Francesca Sgorbati Bosi

Le guerre tra Francia e Inghilterra che coprirono tutto l'arco del XVIII secolo non furono combattute solo sui campi di battaglia. Uno dei conflitti più profondi tra le due nazioni andò in scena nei salotti, nei club e sulle pagine dei giornali. In un tempo in cui il massimo esempio di eleganza era costituito dall'etichetta francese, l'aristocrazia inglese ritenne di doversi emancipare dall'influenza culturale di quella nazione cattolica, assolutista e sconvenientemente sottomessa alle donne.
 
Così costruì un proprio modello di comportamento che valorizzasse le naturali virtù britanniche. Intellettuali, filosofi e moralisti diedero vita a un nuovo galateo, la politeness, un insieme di regole concepito per plasmare la classe dirigente inglese, per formare i gentlemen e le ladies che avrebbero guidato l'Inghilterra verso il compimento di un destino glorioso che la Storia aveva promesso loro. Questo «galateo per una nazione di eroi» rimodellò e disciplinò la quotidianità della nobiltà inglese, sebbene non si riuscì ad evitare che le regole venissero frequentemente contraddette.
 
Dalla frequentazione dei club per soli uomini e di circoli improbabili al gioco d'azzardo patologico, dall'abbigliamento da adottare nelle diverse occasioni al modo di conversare (o, per le donne, di rimanere in silenzio), dall'arredamento della casa di Londra secondo l'ultima moda agli sport da seguire e praticare. E in quest'ottica vanno lette anche l'educazione violenta dei giovani gentlemen per renderli padroni di sé, le soffocanti regole che relegavano le donne alla sudditanza, dalle quali alcune tentarono di liberarsi attraverso arte e cultura, come le celebri Bluestockings.
 
E, ancora, l'esperienza pedagogica del Grand Tour, dal quale però i giovani tornavano con più pregiudizi di quanti ne avessero prima della partenza, rafforzati nella convinzione della superiorità del proprio popolo. Aneddoti e curiosità, abitudini scandalose e comportamenti divertenti, queste pagine trascinanti, arricchite da 12 immagini a colori, rivelano le contraddizioni, le ipocrisie, i pregiudizi e le virtù della nobiltà britannica e di un popolo che sin dal Settecento ha fatto dell'etichetta una forza politica e sociale.

fonte: www.mondadoristore.it

Libri: "Storie di cinema (e d'altro)" di Suso Cecchi D'Amico

Suso Cecchi d’Amico è stata tra i maggiori sceneggiatori della storia del cinema italiano, assumendo nel tempo rilievo internazionale. Collaboratrice, amica e confidente di artisti e intellettuali come Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Anna Magnani, Nino Rota, Mario Monicelli, Ennio Flaiano e Roberto Rossellini, firmò le sceneggiature di alcune fra le più importanti pellicole italiane di tutti i tempi “quando agli autori venivano chieste delle storie e dei testi, e non qualche suggerimento per utilizzare gli attori”. 

Il gattopardo, Ladri di biciclette, I soliti ignoti, Salvatore Giuliano, Rocco e i suoi fratelli, Senso, Bellissima sono solo alcuni esempi. Ma Suso si trovò anche al centro di una eccezionale costellazione familiare che, oltre ai Cecchi e ai d’Amico, si estende fino ai Croce e ai Pirandello. In questo dialogo ricco di aneddoti con la nipote Margherita sfilano dunque i protagonisti della vita culturale italiana di quei decenni – scrittori, giornalisti, attori, ma anche un giovane Cuccia ai tempi del fascismo. 

 Suso Cecchi D'Amico

Pseudonimo di Giovanna Cecchi d’Amico (Roma, 1914-2010), nella sua lunga vita professionale ha ricevuto numerosi premi, dal Leone d’Oro alla carriera conferitole alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1994 ai molti Nastri d’Argento e David di Donatello. Nel 2008 vinse il premio Jean Renoir dedicato dalla Writers Guild of America West alla carriera di uno sceneggiatore non americano.
 

Libri: "Didattica della danza classico-accademica. Linee metodologiche e testo programmatico per il I, II e III Corso" di Lia Calizza e Gerardo Porcelluzzi


Lia Calizza e Gerardo Porcelluzzi, due figure di riferimento nell'insegnamento coreutico, offrono un contributo fondamentale per la formazione dei giovani danzatori nei primi tre anni di studio. 

Con un metodo didattico basato su rigore scientifico, gradualità e funzionalità, guidano insegnanti e allievi nella costruzione di un percorso efficace per lo sviluppo tecnico ed espressivo. 

Il manuale analizza ogni movimento e passo nei minimi dettagli, favorendo un apprendimento solido e consapevole. 

Risultato di oltre otto anni di lavoro, Didattica della danza classico-accademica è destinato a diventare un riferimento imprescindibile per chi aspira a una carriera professionale, per chi coltiva la danza con passione e per chi desidera perfezionarsi.

fonte: www.lafeltrinelli.it