Il Victoria & Albert Museum mette in scena il genio di Alexander McQueen, con duecento abiti e accessori che raccontano la carriera del geniale stilista, interpretati dai manichini Bonaveri.
La mostra “Savage Beauty” si terrà a Londra dal 14 marzo al 2 agosto 2015 ed è un omaggio al genio creativo dello stilista inglese, riedizione di quella vista al Metropolitan Museum di New York nel 2011, subito dopo la sua scomparsa nel febbraio 2010.
L’esposizione è curata da Claire Wilcox, e porta anche una traccia della capacità del made in italy di dare sostegno alle visioni più estrose della contemporaneità. Bonaveri ha collaborato con il V&A per sviluppare una serie di manichini con soluzioni ad hoc, capaci di esaltare le opere in mostra. Bonaveri del resto aveva collaborato anche per la prima esposizione al Metropolitan di NY.
Alexander Mc Queen: The Savage Beauty è destinata ad essere una delle mostre che passeranno alla storia con oltre 70mila biglietti già venduti in prevendita: presenta oltre 200 tra costumi e accessori realizzati dal 1999 al 2010. 30 dei quali prestati da privati e collezionisti come Katy England e Annabelle Neilson, nonché pezzi della collezione Isabella Blow e della Maison Givenchy. Si tratta perlopiù di capi rari del primo periodo di McQueen.
Un vero viaggio nella mente del visionario designer britannico, nelle sue suggestioni, ossessioni, ispirazioni.
fonte http://www.sfilate.it
Questo blog è un aggregatore di notizie, nasce per info e news dall'Italia e dal mondo, per la Danza, Teatro, Cinema, Fashion, Tecnologia, Musica, Fotografia, Libri, Eventi d'Arte, Sport, Diritti civili e molto altro. Ogni articolo riporterà SEMPRE la fonte delle news nel rispetto degli autori e del copyright. Le rubriche "Ritratto d'artista" e "Recensioni" sono scritte e curate da ©Lisa Del Greco Sorrentino, autrice di questo blog
mercoledì 25 marzo 2015
Lgbt: “Non chiedere. Non dire” Poliziotti diversamente uniformi di Gabriele Ametrano
Donne che amano donne. Uomini che amano uomini. In divisa è ancora difficile dirsi omosessuali. Molti pensano sia meglio tacere ma qualcuno ha cominciato a raccontare la propria storia...
L’ascensore sale al terzo piano della questura. L’ufficio è vicino alla dirigenza della Squadra Mobile. L’appuntamento lo abbiamo preso qui, nella stanza in cui lavora quotidianamente tra i fascicoli e la burocrazia che tratta. Il calendario della Polizia appeso al muro, alcune carte sulla scrivania, un portapenne, un computer, un telefono. Siamo in uno dei tanti luoghi della questura, l’ufficio di un assistente della Polizia di Stato, una donna che da più di dodici anni è in servizio. La chiameremo Elena perché sebbene non ci siano segreti della sua vita preferisce non essere messa in vetrina. Elena è una donna di 36 anni che lavora con passione, che ha i suoi interessi fuori dal servizio, che si diverte e vive le sue giornate come chiunque.
Elena è anche una donna che ama un’altra donna. Da quasi otto anni convive con la sua compagna, Francesca, operaia di una ditta di calzature nella provincia di Pistoia.
“Non ho nessun problema a parlare della mia storia” dice, “ma certamente non ne faccio un argomento pubblico”.
Nel 2013 l’omosessualità nella Polizia di Stato non è più un tabù: sdoganato, l’oggetto sessualità diversa non fa saltare più nessuno sulla sedia sebbene qualcosa di strano ancora avviene. “Don’t ask don’t tell” era il motto nell’Esercito americano fino a quando essere accettati come omosessuali non è diventata una norma. In Italia, nella Polizia di Stato, sembra vigere questo tacito accordo. “Non chiedere, non dire”.
Essere omosessuali non è facile in un’Amministrazione la cui identità - sebbene sempre più paritaria è comunque ordinata secondo regole e concetti di origine militare e con sensibilità che richiamano la mascolinità e, a volte, il machismo. “I tempi sono sicuramente cambiati in questi anni: oggi non c’è più lo sguardo inquisitore dei colleghi, le risatine in corridoio o quelle voci da cui era difficile difendersi”. Oggi lei è più serena rispetto a quando è entrata dodici anni fa. “Forse sono più matura io ma sicuramente la mia sessualità non è più fonte di parole da bar”.
Negli ultimi mesi l’assistente Elena ha vissuto un periodo di grande preoccupazione. Alla sua compagna era stato diagnosticato un tumore al seno e negli ultimi tempi i dottori hanno provveduto alle cure prima di arrivare all’operazione per l’asportazione del male. Oggi Francesca è fuori pericolo ma il periodo non è stato dei più facili, soprattutto perché la possibilità di essere tutelati e agevolati nelle cure sembrava non esistere.
La chemioterapia rendeva Francesca fragile, spossata, stanca ed Elena voleva starle vicino, come era giusto che fosse. “Ho dovuto utilizzare tutte le mie ferie per starle accanto. Fortunatamente il mio dirigente ha avuto comprensione della situazione e mi ha permesso di starle vicino il più possibile, ma senza il suo consenso sarebbe stato impossibile”. L’ordinamento e regolamento della Polizia di Stato non prende in considerazione casi di coppie non riconosciute dalla legge. Così, come nella società, anche nella Polizia di Stato manca una legislazione che possa mettere sullo stesso piano i diritti di chi si ama, convive e vive la quotidianità e coloro che invece hanno potuto dichiararsi per legge uniti.
“I colleghi mi sono stati vicini: molti chiedevano senza mai essere invadenti, altri hanno offerto il loro aiuto”. Durante il momento di necessità “il gruppo” si stringe e non esistono differenze.
Ma prima com’era? Appena entrata in Polizia?
“Diciamo che non ne parlavo. Preferivo tenere separate la sfera lavorativa e quella privata. Naturalmente continuo a farlo sebbene ci siano, dopo tanti anni di lavoro nella stessa questura, persone che sanno della mia sessualità. Ora non ne faccio un segreto ma sono anche una persona discreta. All’inizio era difficile non incontrare il sorrisino: in alcuni momenti ho dovuto tenere duro per non esplodere. Comprendi subito lo sguardo di chi ti vede diversa, di chi se potesse ti metterebbe alla porta solo perché tu hai un amore dello stesso sesso del tuo.
Oggi quelle stesse persone non mi guardano più nello stessa maniera: il rispetto si guadagna mostrandosi con convinzione del proprio essere e con la serietà sul lavoro”. E siamo sicuri che tutto ciò non è sicuramente facile. Oggi Francesca sta bene: l’intervento è andato bene e con Elena è riuscita anche a fare qualche giorno di vacanza. È una coppia che va avanti come tante altre, che hanno dovuto vivere e combattere il male del secolo ma fortunatamente ce l’hanno fatta. Oggi Elena ce lo racconta col sorriso. Come una donna dopo la tempesta.
Emanuele lo incontriamo a Torre del Lago sebbene avremmo potuto incontrarlo un po’ ovunque nelle sue abituali trasferte fuori sede. Anche Emanuele non vuole rivelare la sua identità.
“Certo un po’ di pubblicità mi ci vorrebbe ma preferisco evitare altri problemi con i miei funzionari”.
Non è un ragazzo, ha già superato la quarantina, ma diciamo che i suoi anni li porta bene. Originario della Campania, è oggi in servizio in una piccola questura dopo essere stato per anni in una città Toscana. Lo potremmo incontrare in uno dei corpi di guardia della città: la divisa ci farebbe capire che è un appartenente della Polizia di Stato non le sue parole però, né tantomeno i suoi atteggiamenti. Qui a Torre del Lago, in una delle tante serate estive del “Mamamia” lo potremmo benissimo confondere con i tanti ragazzi che sono qui per divertirsi. Emanuele ama divertirsi, ama giocare con gli sguardi degli altri ragazzi, capisce quando questi posso essere interessati e parte alla ricerca di un momento di felicità.
Non ha una storia e nemmeno l’ha mai cercata. Ama gli uomini ma nelle sue parole cerca sempre di non ammetterlo chiaramente. Purtroppo, però, basta un poco di simpatia e leggerezza che allunga la sua mano sull’avambraccio. “Mmmm, non sai che idee che ho!” dice senza imbarazzo. Alziamo l’indice e ordiniamo un altro drink. Lui sorride e ricominciamo a parlare.
Come vivi la tua sessualità in Polizia?
“Ora che sono qui non ho problemi: in questura ci sono tanti colleghi omosessuali. Dov’ero prima, invece, ho avuto diverse questioni con la dirigenza”. Non diciamo dov’era perché le “questioni” di cui parla Emanuele sono di natura disciplinare e ci sono dei processi in corso. “Mi avevano preso di mira, soprattutto un dirigente, e sono riusciti a farmi trasferire”.
I processi diranno cosa è accaduto realmente, noi in questo articolo riportiamo solo ciò che al tavolo è stato accennato. “Non accettavano il mio modo di fare, le mie amicizie fuori dal servizio, i locali che frequentavo. Non sono mai andato contro i regolamenti della Polizia ma certamente esistono delle regole che non sono più al passo coi tempi. Se pensiamo che per ordinamento dovremmo darci tutti del Lei fa capire come qualcosa dovrebbe essere rivisto”.
Nell’altra città si sentiva oppresso, deriso, a volte insultato. “Alcuni colleghi non mi salutavano neanche, altri mi evitavano. Naturalmente alcuni mi offendevano ma ho sempre cercato di non farmene un problema”.
Ma secondo te perché? Magari i tuoi atteggiamenti erano troppo invadenti?
“Io sono una persona che ama il contatto fisico, anche se stiamo parlando di astronomia. Probabilmente ad alcuni colleghi non piace questo modo di fare ma sempre meglio di alcune cafonate che nelle Squadre dei Reparti avvengono”. Emanuele è laureato in Giurisprudenza, potrebbe essere uno dei tanti funzionari che oggi dirigono gli uffici di Polizia ma dopo aver provato una volta il concorso ha desistito ed è invece riuscito ad entrare nel ruolo Agenti ed Assistenti vincendo il concorso. Non è una persona impreparata. Ha un linguaggio forbito, si veste con eleganza. Ha solo dei modi più gentili degli altri e una soglia di imbarazzo molto bassa.
Oggi invece come vivi il tuo lavoro?
“Io amo il mio lavoro e sebbene non sia un poliziotto operativo, svolgo con perizia il mio servizio. Faccio corpi di guardia, alcune volte sono impegnato in pratiche d’ufficio e spesso sono in servizio fuori sede quando sono previste aggregazioni. Mi piace girare l’Italia e la Polizia ti permette questa possibilità. Qui mi trovo bene, mi sento a mio agio sebbene la città sia piccola. Durante il lavoro non parlo mai della mia vita privata ma con alcuni colleghi i segreti esistono. A volte, senza neanche darci appuntamento, ci ritroviamo negli stessi locali e così capisci che anche l’agente della porta affianco si diverte come te. Durante il servizio taci ma poi ridi al solo pensiero che stai custodendo una verità che nell’ambiente lavorativo dev’essere tenuta sotto chiave”.
Così i colleghi diventano amici?
“No, anzi. Alcuni ti evitano appositamente. L’apparenza in Polizia è tutto: solo uno come me se ne disinteressa, naturalmente sempre nelle regole imposte. Vedere che scambiano qualche parola con me diventa pericoloso per la loro immagine.
Ci sono tante persone interessanti in Polizia ma il collega medio deve mantenere uno status ben preciso: deve essere il miglior amante della terra, avere tante donne, sapere tutto di calcio e motori e, soprattutto, conoscere perfettamente i luoghi dove si mangia di più e a meno costo. Finiti questi argomenti sei considerato un marziano. Quindi più ti omologhi a queste argomentazioni più diventi invisibile e hai possibilità di vivere il lavoro con serenità e farti la tua vita in grande privacy. Figurati se non nascondi la voglia di divertirti come faccio io”.
Divertirti con altri uomini?
“No, divertirti in generale. Prendiamo un altro bicchiere?”
Emanuele lo lasciamo al “Mamamia”: la serata sta per cominciare e noi non vogliamo distogliere la sua attenzione da un bel ragazzo fermo al bancone. Naturalmente lo conoscerà, ci ballerà ma la notte è ancora lunga per sapere quale sarà il suo vero divertimento.
Potremmo incontrare tanti altri appartenenti alla Polizia di Stato che, omosessuali, lavorano al servizio del cittadino e vivono la propria vita nella maniera più serena possibile. Naturalmente il ruolo ricoperto necessita di accortezze negli atteggiamenti e nella deontologia professionale, che va sempre e in ogni momento seguito.
Le problematiche nel vivere la propria sessualità sia dentro che fuori l’Amministrazione pubblica sono quelle che le cronache ci riportano e a cui alcuni politici cercano di dar voce durante il proprio mandato, oggi come nel passato: in Italia manca una legislazione adatta ai tempi, che riconosca i diritti delle coppie omosessuali e ne applichi le regole nella vita civile. Sicuramente superato questo scoglio anche nella Polizia potranno esistere possibilità uguali per tutti.
Nel frattempo, dal 2005, alcuni operatori delle Forze di Polizia e dell’ordine hanno deciso di unirsi in un’associazione chiamata “Polis Aperta”, il cui intento è quello di lottare contro tutte le discriminazioni e in special modo quelle sull’orientamento sessuale.
Parte del European Gay Police Network (Egpa), rete europea di associazioni Lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transgender), “Polis Aperta” mantiene vigile la sua attenzione su quelli che potrebbero essere casi di omofobia all’interno del mondo militare e delle Forze di Polizia, collaborando attivamente con l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro tutti gli atti discriminatori istituito per permettere alle minoranze la possibilità di godere a pieno dei propri diritti di uguaglianza dinanzi alla legge.
Al motto di “diversamente uniformi” questa associazione è attiva sul territorio nazionale con riunioni e viaggi che mettono in luce la possibilità di vedere la Polizia con altri occhi. Ultima azione è stata la partecipazione al Gay Pride 2013 di Palermo, con una delegazione di iscritti che ha portato la propria esperienza alla manifestazione ma anche in momenti di riflessione internazionale come la conferenza biennale dell’Egpa in Montenegro del 2012, nella quale Simonetta Moro, presidente di “Polis Aperta”, è stata chiamata a partecipare come relatrice. Un’associazione attiva, quindi, che cerca di essere al fianco di chi porta la divisa in ogni sua possibile difficoltà ad essere riconosciuto anche per la sua integrità di donna e di uomo. Non è facile essere omosessuali nella Polizia di Stato.
Ciò che ci hanno raccontato Elena ed Emanuele ha sicuramente un taglio netto con la diffidenza e le discriminazioni che un tempo erano connotazione di una società meno pronta culturalmente ad accettare una simile sessualità. Ma ancor oggi devono essere fatti passi importanti per l’uguaglianza civile.
Sicuramente finché la politica non si accorderà in un progetto di legge le coppie omosessuali non potranno vivere con serenità la loro unione, all’interno della Polizia di Stato così come in ogni altro ambito lavorativo. Dovrà essere superato, come lo fu negli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Obama nel 2011, anche il famigerato “Don’t ask, don’t tell” che in Italia e nella Polizia sembra una regola di cui è necessaria l’osservazione per poter essere rispettati nel proprio lavoro.
“Gli omosessuali non vogliono il silenzio” era uno slogan che circolava in un Pride di alcuni anni fa. Ecco, forse oggi, per comprendere pienamente cosa vuol dire non avere pieni diritti dovremmo imparare a chiedere ma soprattutto ascoltare.
Articolo scritto da Gabriele Ametrano
Fonte: http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=articolo&idArticolo=3137
L’ascensore sale al terzo piano della questura. L’ufficio è vicino alla dirigenza della Squadra Mobile. L’appuntamento lo abbiamo preso qui, nella stanza in cui lavora quotidianamente tra i fascicoli e la burocrazia che tratta. Il calendario della Polizia appeso al muro, alcune carte sulla scrivania, un portapenne, un computer, un telefono. Siamo in uno dei tanti luoghi della questura, l’ufficio di un assistente della Polizia di Stato, una donna che da più di dodici anni è in servizio. La chiameremo Elena perché sebbene non ci siano segreti della sua vita preferisce non essere messa in vetrina. Elena è una donna di 36 anni che lavora con passione, che ha i suoi interessi fuori dal servizio, che si diverte e vive le sue giornate come chiunque.
Elena è anche una donna che ama un’altra donna. Da quasi otto anni convive con la sua compagna, Francesca, operaia di una ditta di calzature nella provincia di Pistoia.
“Non ho nessun problema a parlare della mia storia” dice, “ma certamente non ne faccio un argomento pubblico”.
Nel 2013 l’omosessualità nella Polizia di Stato non è più un tabù: sdoganato, l’oggetto sessualità diversa non fa saltare più nessuno sulla sedia sebbene qualcosa di strano ancora avviene. “Don’t ask don’t tell” era il motto nell’Esercito americano fino a quando essere accettati come omosessuali non è diventata una norma. In Italia, nella Polizia di Stato, sembra vigere questo tacito accordo. “Non chiedere, non dire”.
Essere omosessuali non è facile in un’Amministrazione la cui identità - sebbene sempre più paritaria è comunque ordinata secondo regole e concetti di origine militare e con sensibilità che richiamano la mascolinità e, a volte, il machismo. “I tempi sono sicuramente cambiati in questi anni: oggi non c’è più lo sguardo inquisitore dei colleghi, le risatine in corridoio o quelle voci da cui era difficile difendersi”. Oggi lei è più serena rispetto a quando è entrata dodici anni fa. “Forse sono più matura io ma sicuramente la mia sessualità non è più fonte di parole da bar”.
Negli ultimi mesi l’assistente Elena ha vissuto un periodo di grande preoccupazione. Alla sua compagna era stato diagnosticato un tumore al seno e negli ultimi tempi i dottori hanno provveduto alle cure prima di arrivare all’operazione per l’asportazione del male. Oggi Francesca è fuori pericolo ma il periodo non è stato dei più facili, soprattutto perché la possibilità di essere tutelati e agevolati nelle cure sembrava non esistere.
La chemioterapia rendeva Francesca fragile, spossata, stanca ed Elena voleva starle vicino, come era giusto che fosse. “Ho dovuto utilizzare tutte le mie ferie per starle accanto. Fortunatamente il mio dirigente ha avuto comprensione della situazione e mi ha permesso di starle vicino il più possibile, ma senza il suo consenso sarebbe stato impossibile”. L’ordinamento e regolamento della Polizia di Stato non prende in considerazione casi di coppie non riconosciute dalla legge. Così, come nella società, anche nella Polizia di Stato manca una legislazione che possa mettere sullo stesso piano i diritti di chi si ama, convive e vive la quotidianità e coloro che invece hanno potuto dichiararsi per legge uniti.
“I colleghi mi sono stati vicini: molti chiedevano senza mai essere invadenti, altri hanno offerto il loro aiuto”. Durante il momento di necessità “il gruppo” si stringe e non esistono differenze.
Ma prima com’era? Appena entrata in Polizia?
“Diciamo che non ne parlavo. Preferivo tenere separate la sfera lavorativa e quella privata. Naturalmente continuo a farlo sebbene ci siano, dopo tanti anni di lavoro nella stessa questura, persone che sanno della mia sessualità. Ora non ne faccio un segreto ma sono anche una persona discreta. All’inizio era difficile non incontrare il sorrisino: in alcuni momenti ho dovuto tenere duro per non esplodere. Comprendi subito lo sguardo di chi ti vede diversa, di chi se potesse ti metterebbe alla porta solo perché tu hai un amore dello stesso sesso del tuo.
Oggi quelle stesse persone non mi guardano più nello stessa maniera: il rispetto si guadagna mostrandosi con convinzione del proprio essere e con la serietà sul lavoro”. E siamo sicuri che tutto ciò non è sicuramente facile. Oggi Francesca sta bene: l’intervento è andato bene e con Elena è riuscita anche a fare qualche giorno di vacanza. È una coppia che va avanti come tante altre, che hanno dovuto vivere e combattere il male del secolo ma fortunatamente ce l’hanno fatta. Oggi Elena ce lo racconta col sorriso. Come una donna dopo la tempesta.
Emanuele lo incontriamo a Torre del Lago sebbene avremmo potuto incontrarlo un po’ ovunque nelle sue abituali trasferte fuori sede. Anche Emanuele non vuole rivelare la sua identità.
“Certo un po’ di pubblicità mi ci vorrebbe ma preferisco evitare altri problemi con i miei funzionari”.
Non è un ragazzo, ha già superato la quarantina, ma diciamo che i suoi anni li porta bene. Originario della Campania, è oggi in servizio in una piccola questura dopo essere stato per anni in una città Toscana. Lo potremmo incontrare in uno dei corpi di guardia della città: la divisa ci farebbe capire che è un appartenente della Polizia di Stato non le sue parole però, né tantomeno i suoi atteggiamenti. Qui a Torre del Lago, in una delle tante serate estive del “Mamamia” lo potremmo benissimo confondere con i tanti ragazzi che sono qui per divertirsi. Emanuele ama divertirsi, ama giocare con gli sguardi degli altri ragazzi, capisce quando questi posso essere interessati e parte alla ricerca di un momento di felicità.
Non ha una storia e nemmeno l’ha mai cercata. Ama gli uomini ma nelle sue parole cerca sempre di non ammetterlo chiaramente. Purtroppo, però, basta un poco di simpatia e leggerezza che allunga la sua mano sull’avambraccio. “Mmmm, non sai che idee che ho!” dice senza imbarazzo. Alziamo l’indice e ordiniamo un altro drink. Lui sorride e ricominciamo a parlare.
Come vivi la tua sessualità in Polizia?
“Ora che sono qui non ho problemi: in questura ci sono tanti colleghi omosessuali. Dov’ero prima, invece, ho avuto diverse questioni con la dirigenza”. Non diciamo dov’era perché le “questioni” di cui parla Emanuele sono di natura disciplinare e ci sono dei processi in corso. “Mi avevano preso di mira, soprattutto un dirigente, e sono riusciti a farmi trasferire”.
I processi diranno cosa è accaduto realmente, noi in questo articolo riportiamo solo ciò che al tavolo è stato accennato. “Non accettavano il mio modo di fare, le mie amicizie fuori dal servizio, i locali che frequentavo. Non sono mai andato contro i regolamenti della Polizia ma certamente esistono delle regole che non sono più al passo coi tempi. Se pensiamo che per ordinamento dovremmo darci tutti del Lei fa capire come qualcosa dovrebbe essere rivisto”.
Nell’altra città si sentiva oppresso, deriso, a volte insultato. “Alcuni colleghi non mi salutavano neanche, altri mi evitavano. Naturalmente alcuni mi offendevano ma ho sempre cercato di non farmene un problema”.
Ma secondo te perché? Magari i tuoi atteggiamenti erano troppo invadenti?
“Io sono una persona che ama il contatto fisico, anche se stiamo parlando di astronomia. Probabilmente ad alcuni colleghi non piace questo modo di fare ma sempre meglio di alcune cafonate che nelle Squadre dei Reparti avvengono”. Emanuele è laureato in Giurisprudenza, potrebbe essere uno dei tanti funzionari che oggi dirigono gli uffici di Polizia ma dopo aver provato una volta il concorso ha desistito ed è invece riuscito ad entrare nel ruolo Agenti ed Assistenti vincendo il concorso. Non è una persona impreparata. Ha un linguaggio forbito, si veste con eleganza. Ha solo dei modi più gentili degli altri e una soglia di imbarazzo molto bassa.
Oggi invece come vivi il tuo lavoro?
“Io amo il mio lavoro e sebbene non sia un poliziotto operativo, svolgo con perizia il mio servizio. Faccio corpi di guardia, alcune volte sono impegnato in pratiche d’ufficio e spesso sono in servizio fuori sede quando sono previste aggregazioni. Mi piace girare l’Italia e la Polizia ti permette questa possibilità. Qui mi trovo bene, mi sento a mio agio sebbene la città sia piccola. Durante il lavoro non parlo mai della mia vita privata ma con alcuni colleghi i segreti esistono. A volte, senza neanche darci appuntamento, ci ritroviamo negli stessi locali e così capisci che anche l’agente della porta affianco si diverte come te. Durante il servizio taci ma poi ridi al solo pensiero che stai custodendo una verità che nell’ambiente lavorativo dev’essere tenuta sotto chiave”.
Così i colleghi diventano amici?
“No, anzi. Alcuni ti evitano appositamente. L’apparenza in Polizia è tutto: solo uno come me se ne disinteressa, naturalmente sempre nelle regole imposte. Vedere che scambiano qualche parola con me diventa pericoloso per la loro immagine.
Ci sono tante persone interessanti in Polizia ma il collega medio deve mantenere uno status ben preciso: deve essere il miglior amante della terra, avere tante donne, sapere tutto di calcio e motori e, soprattutto, conoscere perfettamente i luoghi dove si mangia di più e a meno costo. Finiti questi argomenti sei considerato un marziano. Quindi più ti omologhi a queste argomentazioni più diventi invisibile e hai possibilità di vivere il lavoro con serenità e farti la tua vita in grande privacy. Figurati se non nascondi la voglia di divertirti come faccio io”.
Divertirti con altri uomini?
“No, divertirti in generale. Prendiamo un altro bicchiere?”
Emanuele lo lasciamo al “Mamamia”: la serata sta per cominciare e noi non vogliamo distogliere la sua attenzione da un bel ragazzo fermo al bancone. Naturalmente lo conoscerà, ci ballerà ma la notte è ancora lunga per sapere quale sarà il suo vero divertimento.
Potremmo incontrare tanti altri appartenenti alla Polizia di Stato che, omosessuali, lavorano al servizio del cittadino e vivono la propria vita nella maniera più serena possibile. Naturalmente il ruolo ricoperto necessita di accortezze negli atteggiamenti e nella deontologia professionale, che va sempre e in ogni momento seguito.
Le problematiche nel vivere la propria sessualità sia dentro che fuori l’Amministrazione pubblica sono quelle che le cronache ci riportano e a cui alcuni politici cercano di dar voce durante il proprio mandato, oggi come nel passato: in Italia manca una legislazione adatta ai tempi, che riconosca i diritti delle coppie omosessuali e ne applichi le regole nella vita civile. Sicuramente superato questo scoglio anche nella Polizia potranno esistere possibilità uguali per tutti.
Nel frattempo, dal 2005, alcuni operatori delle Forze di Polizia e dell’ordine hanno deciso di unirsi in un’associazione chiamata “Polis Aperta”, il cui intento è quello di lottare contro tutte le discriminazioni e in special modo quelle sull’orientamento sessuale.
Parte del European Gay Police Network (Egpa), rete europea di associazioni Lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transgender), “Polis Aperta” mantiene vigile la sua attenzione su quelli che potrebbero essere casi di omofobia all’interno del mondo militare e delle Forze di Polizia, collaborando attivamente con l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro tutti gli atti discriminatori istituito per permettere alle minoranze la possibilità di godere a pieno dei propri diritti di uguaglianza dinanzi alla legge.
Al motto di “diversamente uniformi” questa associazione è attiva sul territorio nazionale con riunioni e viaggi che mettono in luce la possibilità di vedere la Polizia con altri occhi. Ultima azione è stata la partecipazione al Gay Pride 2013 di Palermo, con una delegazione di iscritti che ha portato la propria esperienza alla manifestazione ma anche in momenti di riflessione internazionale come la conferenza biennale dell’Egpa in Montenegro del 2012, nella quale Simonetta Moro, presidente di “Polis Aperta”, è stata chiamata a partecipare come relatrice. Un’associazione attiva, quindi, che cerca di essere al fianco di chi porta la divisa in ogni sua possibile difficoltà ad essere riconosciuto anche per la sua integrità di donna e di uomo. Non è facile essere omosessuali nella Polizia di Stato.
Ciò che ci hanno raccontato Elena ed Emanuele ha sicuramente un taglio netto con la diffidenza e le discriminazioni che un tempo erano connotazione di una società meno pronta culturalmente ad accettare una simile sessualità. Ma ancor oggi devono essere fatti passi importanti per l’uguaglianza civile.
Sicuramente finché la politica non si accorderà in un progetto di legge le coppie omosessuali non potranno vivere con serenità la loro unione, all’interno della Polizia di Stato così come in ogni altro ambito lavorativo. Dovrà essere superato, come lo fu negli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Obama nel 2011, anche il famigerato “Don’t ask, don’t tell” che in Italia e nella Polizia sembra una regola di cui è necessaria l’osservazione per poter essere rispettati nel proprio lavoro.
“Gli omosessuali non vogliono il silenzio” era uno slogan che circolava in un Pride di alcuni anni fa. Ecco, forse oggi, per comprendere pienamente cosa vuol dire non avere pieni diritti dovremmo imparare a chiedere ma soprattutto ascoltare.
Articolo scritto da Gabriele Ametrano
Fonte: http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=articolo&idArticolo=3137
lunedì 23 marzo 2015
Lgbt Genova: Omofobia: «A teatro non c'è spazio per i pregiudizi» L'intervista a Fiona Dovo
In foto un momento dello spettacolo Urlo libero (2007) © www.teatrodelleformiche.it
L'intervista a Fiona Dovo. Che presenta alla Claque lo spettacolo Per colpa di Nevio.
Il 26 marzo con la presentazione del libro Resto umano, di Lacatena. Con Laura Guglielmi
La rassegna teatrale Occhiali d’Oro, a tematica omosessuale, è stata ideata e organizzata dal comitato territoriale Arcigay Genova Approdo - Ostilia Mulas, in collaborazione con il Teatro della Tosse. Iniziata il 29 gennaio alla Claque, offre spettacoli e presentazione di libri. Terminerà lunedì 13 aprile.
Giovedì 26 marzo si terrà il terzo appuntamento. La serata avrà inizio alle 19 con un aperitivo al bar della Claque. Alle 20, la direttora di mentelocale.it Laura Guglielmi presenterà il libro Resto umano di Anna Paola Lacatena (Ed. Chinaski). Alle 21.15, infine, andrà in scena lo spettacolo Per colpa di Nevio, a cura della Compagnia Teatro delle Formiche, scritto, diretto e interpretato dall'autrice e attrice Fiona Dovo.
Fiona ha studiato presso la Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi di Milano, e ha acquisito notevole formazione ed esperienza. Si occupa con passione anche di teatro per ragazzi, e lavora come cabarettista. Nel 2011, per esempio, la ricordiamo in Colorado Cafè.
Nel 2005, dal suo desiderio di portare a Genova la propria esperienza, è nata la compagnia e associazione culturale Teatro delle Formiche, il cui elemento fondamentale è l’uso della drammaturgia contemporanea.
Parlare di Per colpa di Nevio, diventa occasione di approfondimento insieme a Fiona Dovo. Che ruolo ricopre il teatro nel trattare tematiche LGBT? Ed è vero che, nel suo ambito, l’omofobia sia sconosciuta?
«Sì, è decisamente sconosciuta. Il lungo e continuo lavoro sull'interiorità, sviluppa la sensibilità di ognuno. Sul palco si indossano esperienze e sensazioni di un personaggio, accompagnando il pubblico nell’intimità delle proprie. Questo implica apertura verso se stessi e gli altri. Non c'è spazio, quindi, per esclusioni e pregiudizi».
Fiona usa l'ironia per stimolare riflessioni in profondità: «La sensazione più bella è quando, dopo i miei spettacoli, tante persone mi confidano di avere sia riso che pianto. Vuol dire che, insieme a me, hanno attraversato interamente i loro sentimenti, scoprendone e vivendone gli opposti, senza remore. Ogni volta che si rapisce il cuore altrui attraverso l'emozione, filtrano anche i concetti che fanno paura. Magari più efficacemente di tante parole e spiegazioni, che, spesso, si infrangono su compatti muri difensivi».
Per colpa di Nevio prende spunto da un monologo autobiografico dell'autrice e attrice inglese Claire Dowie, che racconta con coraggio la propria storia. Fiona Dovo, invece, mette in scena una protagonista inventata, Lorenza, ma la colloca in situazioni verosimili. Anche gli altri personaggi risultano plausibili, e i luoghi familiari. Spazi ed espressioni sono talmente vivi e reali che il pubblico pensa sia la vita stessa della nostra attrice.
Un po' di trama, quindi. Lorenza è una trentenne lesbica che vive nella società odierna, fra il lavoro in un supermercato e la sua vita da single. Un giorno la sua esistenza viene sconvolta da una novità: incontra il primo amore, una donna che, nel frattempo è diventata sia mamma che la perfetta mogliettina di un certo Nevio, appunto. L'inevitabile scombussolamento interiore porterà Lorenza a vivere una notte di sesso, un po' imbarazzato per entrambi, con un amico gay. Dopo questa esperienza la donna resterà, a sua volta, incinta.
Il significato dello spettacolo è che la nostra interiorità non è etichettabile. Per capire una persona occorre guardare fra le crepe della sua anima. E osservarla nel modo più ampio possibile, nelle sfumature della vita che affronta, che sceglie. Ognuno di noi, sia donne che uomini, in qualsiasi modo ci percepiamo, non siamo un’essenza sola, ma tante e molteplici, senza percorsi precostituiti. Noi tutte e tutti siamo. Ecco ciò che conta.
Fiona tiene molto a precisare che Per colpa di Nevio nel 2009 è stato selezionato dall'organizzazione del Genova Gay Pride, come unico spettacolo teatrale della manifestazione. «Ma tutto si evolve, e il mio Nevio non fa eccezione. Quella odierna è un’altra versione. Per chi lo ha visto allora, sarà bello verificarne i cambiamenti».
La conclusione è che il teatro si riveli, ancora una volta, imprescindibile. «Smentisce gli stereotipi, non annoia mai, sorprende ogni volta. Con il passare degli anni, poi, mi sono innamorata del lavoro con i ragazzi. Con i più giovani tutto questo viene amplificato. La trovo un'esperienza incredibile. Quando stimoliamo le loro risorse, anche noi adulti diventiamo più consapevoli e rivolti verso una nuova libertà interiore, con cui creare un mondo arricchito da multiculturalità e rispetto per ogni differenza».
fonte: di Geraldina Morlino
http://genova.mentelocale.it/63905-genova-omofobia-teatro-non-c-spazio-pregiudizi/
L'intervista a Fiona Dovo. Che presenta alla Claque lo spettacolo Per colpa di Nevio.
Il 26 marzo con la presentazione del libro Resto umano, di Lacatena. Con Laura Guglielmi
La rassegna teatrale Occhiali d’Oro, a tematica omosessuale, è stata ideata e organizzata dal comitato territoriale Arcigay Genova Approdo - Ostilia Mulas, in collaborazione con il Teatro della Tosse. Iniziata il 29 gennaio alla Claque, offre spettacoli e presentazione di libri. Terminerà lunedì 13 aprile.
Giovedì 26 marzo si terrà il terzo appuntamento. La serata avrà inizio alle 19 con un aperitivo al bar della Claque. Alle 20, la direttora di mentelocale.it Laura Guglielmi presenterà il libro Resto umano di Anna Paola Lacatena (Ed. Chinaski). Alle 21.15, infine, andrà in scena lo spettacolo Per colpa di Nevio, a cura della Compagnia Teatro delle Formiche, scritto, diretto e interpretato dall'autrice e attrice Fiona Dovo.
Fiona ha studiato presso la Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi di Milano, e ha acquisito notevole formazione ed esperienza. Si occupa con passione anche di teatro per ragazzi, e lavora come cabarettista. Nel 2011, per esempio, la ricordiamo in Colorado Cafè.
Nel 2005, dal suo desiderio di portare a Genova la propria esperienza, è nata la compagnia e associazione culturale Teatro delle Formiche, il cui elemento fondamentale è l’uso della drammaturgia contemporanea.
Parlare di Per colpa di Nevio, diventa occasione di approfondimento insieme a Fiona Dovo. Che ruolo ricopre il teatro nel trattare tematiche LGBT? Ed è vero che, nel suo ambito, l’omofobia sia sconosciuta?
«Sì, è decisamente sconosciuta. Il lungo e continuo lavoro sull'interiorità, sviluppa la sensibilità di ognuno. Sul palco si indossano esperienze e sensazioni di un personaggio, accompagnando il pubblico nell’intimità delle proprie. Questo implica apertura verso se stessi e gli altri. Non c'è spazio, quindi, per esclusioni e pregiudizi».
Fiona usa l'ironia per stimolare riflessioni in profondità: «La sensazione più bella è quando, dopo i miei spettacoli, tante persone mi confidano di avere sia riso che pianto. Vuol dire che, insieme a me, hanno attraversato interamente i loro sentimenti, scoprendone e vivendone gli opposti, senza remore. Ogni volta che si rapisce il cuore altrui attraverso l'emozione, filtrano anche i concetti che fanno paura. Magari più efficacemente di tante parole e spiegazioni, che, spesso, si infrangono su compatti muri difensivi».
Per colpa di Nevio prende spunto da un monologo autobiografico dell'autrice e attrice inglese Claire Dowie, che racconta con coraggio la propria storia. Fiona Dovo, invece, mette in scena una protagonista inventata, Lorenza, ma la colloca in situazioni verosimili. Anche gli altri personaggi risultano plausibili, e i luoghi familiari. Spazi ed espressioni sono talmente vivi e reali che il pubblico pensa sia la vita stessa della nostra attrice.
Un po' di trama, quindi. Lorenza è una trentenne lesbica che vive nella società odierna, fra il lavoro in un supermercato e la sua vita da single. Un giorno la sua esistenza viene sconvolta da una novità: incontra il primo amore, una donna che, nel frattempo è diventata sia mamma che la perfetta mogliettina di un certo Nevio, appunto. L'inevitabile scombussolamento interiore porterà Lorenza a vivere una notte di sesso, un po' imbarazzato per entrambi, con un amico gay. Dopo questa esperienza la donna resterà, a sua volta, incinta.
Il significato dello spettacolo è che la nostra interiorità non è etichettabile. Per capire una persona occorre guardare fra le crepe della sua anima. E osservarla nel modo più ampio possibile, nelle sfumature della vita che affronta, che sceglie. Ognuno di noi, sia donne che uomini, in qualsiasi modo ci percepiamo, non siamo un’essenza sola, ma tante e molteplici, senza percorsi precostituiti. Noi tutte e tutti siamo. Ecco ciò che conta.
Fiona tiene molto a precisare che Per colpa di Nevio nel 2009 è stato selezionato dall'organizzazione del Genova Gay Pride, come unico spettacolo teatrale della manifestazione. «Ma tutto si evolve, e il mio Nevio non fa eccezione. Quella odierna è un’altra versione. Per chi lo ha visto allora, sarà bello verificarne i cambiamenti».
La conclusione è che il teatro si riveli, ancora una volta, imprescindibile. «Smentisce gli stereotipi, non annoia mai, sorprende ogni volta. Con il passare degli anni, poi, mi sono innamorata del lavoro con i ragazzi. Con i più giovani tutto questo viene amplificato. La trovo un'esperienza incredibile. Quando stimoliamo le loro risorse, anche noi adulti diventiamo più consapevoli e rivolti verso una nuova libertà interiore, con cui creare un mondo arricchito da multiculturalità e rispetto per ogni differenza».
fonte: di Geraldina Morlino
http://genova.mentelocale.it/63905-genova-omofobia-teatro-non-c-spazio-pregiudizi/
Lgbt: Eros e sensualità, l’arte di Tamara de Lempicka arriva a Torino dal 19 marzo al 30 agosto a Palazzo Chiablese
La carica erotica dell’arte contemporanea trova nei lavori di Tamara de Lempicka una delle testimonianze più espressive e appaganti.
Le sue opere tra pochi giorni arrivano a Torino, nella cornice di Palazzo Chiablese, dal 19 marzo al 30 agosto. L’allestimento della rassegna dedicata all’artista polacca (1898 – 1980) conosciuta per la sua trasgressione e per le sue donne sensuali in puro stile Art Decò, una costante nella sua poetica, oltre che per la sensualità e il glamour del suo temperamento, segue un percorso di tipo tematico: I mondi di Tamara, Natura morta, Devozione, Ritratti, Nudo, Moda, che portano proprio ad approfondire diversi aspetti della sua vita attraverso la sua produzione pittorica.
In esposizione anche fotografie di Brassai, Joffé, Maywald, la ricostruzione dell’allestimento della mostra del 1933 a New York, i filmati degli anni Trenta che la fanno rivivere all’interno della mostra, le sue illustrazioni di moda e le opere che hanno ispirato al sua produzione (www.ticket.it/tamara). La rassegna si sposterà in seguito a Budapest, all’Hungarian National Gallery.
PER INFO VAI AL LINK:
http://www.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/i-luoghi-della-cultura/residenze-e-castelli/palazzo-chiablese
fonte: http://insideart.eu
Le sue opere tra pochi giorni arrivano a Torino, nella cornice di Palazzo Chiablese, dal 19 marzo al 30 agosto. L’allestimento della rassegna dedicata all’artista polacca (1898 – 1980) conosciuta per la sua trasgressione e per le sue donne sensuali in puro stile Art Decò, una costante nella sua poetica, oltre che per la sensualità e il glamour del suo temperamento, segue un percorso di tipo tematico: I mondi di Tamara, Natura morta, Devozione, Ritratti, Nudo, Moda, che portano proprio ad approfondire diversi aspetti della sua vita attraverso la sua produzione pittorica.
In esposizione anche fotografie di Brassai, Joffé, Maywald, la ricostruzione dell’allestimento della mostra del 1933 a New York, i filmati degli anni Trenta che la fanno rivivere all’interno della mostra, le sue illustrazioni di moda e le opere che hanno ispirato al sua produzione (www.ticket.it/tamara). La rassegna si sposterà in seguito a Budapest, all’Hungarian National Gallery.
PER INFO VAI AL LINK:
http://www.piemonte.beniculturali.it/index.php/it/i-luoghi-della-cultura/residenze-e-castelli/palazzo-chiablese
fonte: http://insideart.eu
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Lgbt: La scandalosa collezione di Yves Saint Laurent del '71 è tornata
La sua collezione ispirata al periodo della Seconda guerra mondiale terrorizzò il mondo della moda, da domani sarà nuovamente proiettata a Parigi.
Nel gennaio del 1971, Yves Saint Laurent presentò la sua collezione couture per la primavera/estate a 180 clienti e giornalisti. Il vestito corto dal profondo collo a v, le zeppe, i turbanti e il trucco hanno creato un insieme talmente forte e scioccante da scatenare il panico. Oltretutto, i riferimenti al guardaroba femminile della Seconda guerra mondiale erano talmente ovvi nella collezione Quarante o Libération che facevano tornare in mente i giorni bui dell'occupazione nazista.
"Assolutamente tremenda" disse Eugenia Sheppard del New York Times. Di tutte le varie critiche, forse la più forte è stata: "Yves Saint Laurent esamina il 'look da donnaccia" del periodo della Seconda guerra mondiale," o anche "Un triste ricordo dei giorni del Nazismo."
Yves si in verità fatto ispirare dalla sua amica Paloma Picasso. Negli anni Settanta, lei era a corto di denaro e poteva comprare abiti solo al mercato delle pulci dove venivano venduti molti vestiti degli anni Trenta e Quaranta.
Dopo un boicottaggio generale all'epoca, tutti adesso sono concordi nel dire che la collezione del 1971 fu un grande momento nella carriera di Saint Laurent, così come conferma lla sua capacità di previsione del gusto della moda, essendo stato tra i primissimi ad anticipato lo stile retrò.
Yves Saint Laurent 1971: la collection du scandale verrà mostrata alla Fondazione Pierre Bergé et Yves Saint Laurent.
INFO A QUESTO LINK:
http://www.fondation-pb-ysl.net/fr/Accueil-Fondation-Pierre-Berge-Yves-Saint-Laurent-575.html
fonte: Testo Oscar Heliani - https://i-d.vice.com/it
Nel gennaio del 1971, Yves Saint Laurent presentò la sua collezione couture per la primavera/estate a 180 clienti e giornalisti. Il vestito corto dal profondo collo a v, le zeppe, i turbanti e il trucco hanno creato un insieme talmente forte e scioccante da scatenare il panico. Oltretutto, i riferimenti al guardaroba femminile della Seconda guerra mondiale erano talmente ovvi nella collezione Quarante o Libération che facevano tornare in mente i giorni bui dell'occupazione nazista.
"Assolutamente tremenda" disse Eugenia Sheppard del New York Times. Di tutte le varie critiche, forse la più forte è stata: "Yves Saint Laurent esamina il 'look da donnaccia" del periodo della Seconda guerra mondiale," o anche "Un triste ricordo dei giorni del Nazismo."
Yves si in verità fatto ispirare dalla sua amica Paloma Picasso. Negli anni Settanta, lei era a corto di denaro e poteva comprare abiti solo al mercato delle pulci dove venivano venduti molti vestiti degli anni Trenta e Quaranta.
Dopo un boicottaggio generale all'epoca, tutti adesso sono concordi nel dire che la collezione del 1971 fu un grande momento nella carriera di Saint Laurent, così come conferma lla sua capacità di previsione del gusto della moda, essendo stato tra i primissimi ad anticipato lo stile retrò.
Yves Saint Laurent 1971: la collection du scandale verrà mostrata alla Fondazione Pierre Bergé et Yves Saint Laurent.
INFO A QUESTO LINK:
http://www.fondation-pb-ysl.net/fr/Accueil-Fondation-Pierre-Berge-Yves-Saint-Laurent-575.html
fonte: Testo Oscar Heliani - https://i-d.vice.com/it
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