Il progetto, guidato da Michael Iurino, organizza serate lgbt, ma ha un ruolo attivo nella promozione di eventi contro l'intolleranza di genere. "Con le Arcigay provinciali vorremmo organizzare - spiega - il primo pride dell'Adriatico"
Lustrini, paillettes e musica ad alto volume per combattere l’omofobia. È il flash mob messo in scena venerdì sera (3 luglio) sul lungomare di Pescara, a pochi metri dalla nave di Cascella, dallo staff di Dejavu friendly.
Tre drag queen e una vocal performer sono scese in strada per la prima volta in Abruzzo cantando e danzando destando la curiosità e l’interesse di decine di persone, con l’unico obiettivo di portare arte, ironia, gioia e un messaggio chiarissimo: no all’omofobia. L’obiettivo, a giudicare dalla folla di curiosi, immortalati anche nel video pubblicato su You Tube, è riuscito.
Il flash mob è servito anche a pubblicizzare la serata lgbt di sabato scorso al lido Palm Beach, sul lungomare Matteotti, organizzata sempre da Dejavu Friendly. Il progetto, guidato da Michael Iurino, fa da filo conduttore ad una serie di serate pescaresi, con l’obiettivo di far divertire omosessuali ed etero, proponendo musica commerciale ed edm, animazione con drag queen, ballerine, giochi di fuoco, giocolieri. Ma, soprattuto, mira a portare avanti un messaggio positivo contro i pregiudizi
“Organizzo questo genere di eventi da 2 anni – spiega Iurino, 23 anni – e partecipano con entusiasmo non solo persone lgbt, ma anche chiunque voglia vedere un grande spettacolo che raramente si trova nei locali abruzzesi. Con le nostre serate promuoviamo la lotta contro il pregiudizio e a favore della convivenza pacifica fra tutti i sessi, tanto che, insieme alle Arcigay provinciali d’Abruzzo, vorremmo organizzare, per la prossima estate, il pride dell’Adriatico”.“
fonte: Francesca Rapposelli per http://www.ilpescara.it/
Questo blog è un aggregatore di notizie, nasce per info e news dall'Italia e dal mondo, per la Danza, Teatro, Cinema, Fashion, Tecnologia, Musica, Fotografia, Libri, Eventi d'Arte, Sport, Diritti civili e molto altro. Ogni articolo riporterà SEMPRE la fonte delle news nel rispetto degli autori e del copyright. Le rubriche "Ritratto d'artista" e "Recensioni" sono scritte e curate da ©Lisa Del Greco Sorrentino, autrice di questo blog
venerdì 10 luglio 2015
Lgbt: Bacio gay in copertina su Sportweek: è la prima volta in Italia per un giornale sportivo
"Chi ha paura di un bacio?" sarà il titolo della cover dell'allegato della Gazzetta dello Sport. I protagonisti sono due rugbisti della squadra Libera Rugby, compagni anche nella vita
Con l’hashtag #liberitutti Sportweek entra nella storia: per la prima volta, nel numero che troverete in edicola sabato, vedremo un bacio gay tra due rugbisti.
I protagonisti sono due giocatori della squadra amatoriale romana Libera Rugby, Stefano e Giacomo, non solo compagni di squadra, ma anche compagni di vita.
“Chi ha paura di un bacio?” sarà il titolo della copertina dell’allegato della Gazzetta dello Sport. Sul sito della squadra si legge: “Libera Rugby Club è la prima squadra maschile di rugby gay-friendly in Italia. L’obiettivo di Libera è promuovere la diffusione del gioco del rugby nella comunità LGBT, fornendo un ambiente sociale e sportivo dove tutti si sentono accettati e rispettati indipendentemente dal loro orientamento sessuale, contribuendo in tal modo a combattere l’omofobia nel mondo dello sport”.
Un messaggio forte in un mondo, quello sportivo, pieno di tabù. Per la prima volta in Italia un giornale sportivo pubblica un bacio gay sulla sua copertina, iniziativa commentata positivamente dal portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo: “Si tratta di una scelta rivoluzionaria per lo sport italiano e di grande importanza per il messaggio che vuole veicolare, quello di abbattere i pregiudizi anche nello sport e tramite lo sport”.
Nel 2013 GQ tedesco aveva lanciato l’hashtag #Mundpropaganda mettendo in copertina un bacio omosessuale e facendo una campagna di sensibilizzazione sull’omofobia chiedendo a 13 celebrità maschili tedesche di baciarsi. “L’intolleranza a cui sono sottoposti gli omosessuali è troppa – ha detto il capo redattore della rivista – Con #Mundpropaganda ci vogliamo battere per una società più libera e rispettosa”.
fonte: di Elisa D'Ospina per http://www.ilfattoquotidiano.it/
Con l’hashtag #liberitutti Sportweek entra nella storia: per la prima volta, nel numero che troverete in edicola sabato, vedremo un bacio gay tra due rugbisti.
I protagonisti sono due giocatori della squadra amatoriale romana Libera Rugby, Stefano e Giacomo, non solo compagni di squadra, ma anche compagni di vita.
“Chi ha paura di un bacio?” sarà il titolo della copertina dell’allegato della Gazzetta dello Sport. Sul sito della squadra si legge: “Libera Rugby Club è la prima squadra maschile di rugby gay-friendly in Italia. L’obiettivo di Libera è promuovere la diffusione del gioco del rugby nella comunità LGBT, fornendo un ambiente sociale e sportivo dove tutti si sentono accettati e rispettati indipendentemente dal loro orientamento sessuale, contribuendo in tal modo a combattere l’omofobia nel mondo dello sport”.
Un messaggio forte in un mondo, quello sportivo, pieno di tabù. Per la prima volta in Italia un giornale sportivo pubblica un bacio gay sulla sua copertina, iniziativa commentata positivamente dal portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo: “Si tratta di una scelta rivoluzionaria per lo sport italiano e di grande importanza per il messaggio che vuole veicolare, quello di abbattere i pregiudizi anche nello sport e tramite lo sport”.
Nel 2013 GQ tedesco aveva lanciato l’hashtag #Mundpropaganda mettendo in copertina un bacio omosessuale e facendo una campagna di sensibilizzazione sull’omofobia chiedendo a 13 celebrità maschili tedesche di baciarsi. “L’intolleranza a cui sono sottoposti gli omosessuali è troppa – ha detto il capo redattore della rivista – Con #Mundpropaganda ci vogliamo battere per una società più libera e rispettosa”.
fonte: di Elisa D'Ospina per http://www.ilfattoquotidiano.it/
A Roma "MARINA ABRAMOVIĆ-THE ARTIST IS PRESENT" alla Casa Internazionale Delle Donne, lunedì 13 luglio ore 21
MARINA ABRAMOVIĆ: "THE ARTIST IS PRESENT"
Casa Internazionale Delle Donne-via San francesco di Sales 1/a Roma
Seducente, senza paura, oltraggiosa, Marina Abramović ha stravolto il significato della parola ARTE in quasi 40 anni di attività. Usando il proprio corpo come medium fino a farlo diventare l’Opera d’Arte stessa e spingendosi oltre i propri limiti fisici e mentali, Marina ha creato performance che sfidano, scioccano ed emozionano profondamente.
Il film documentario MARINA ABRAMOVIĆ-THE ARTIST IS PRESENT ci fornisce l’occasione preziosa di un accesso totale al mondo di Marina, seguendola nella preparazione del momento più importante della sua vita come artista, l’inaugurazione della retrospettiva che l’ha celebrata nel 2010 al MoMA - Museum of Modern Art - di New York, luogo eletto forse anche per mettere a tacere l’assillante brusio che aveva sempre accompagnato il suo lavoro: “Ma questa è arte?
La proiezione speciale si inserisce in una settimana che vedrà protagonista Marina Abramović a Milano con il suo nuovo inedito lavoro “The Abramović Method” pensato per il Padiglione d’Arte Contemporanea. Una serie di living installation che il pubblico, guidato e motivato dall'artista, sarà invitato a percorrere e sperimentare. In mostra per la prima volta anche la monumentale installazione della performance del MoMA ricostruita nel film, insieme ad opere recenti collegate alla tematica del nuovo lavoro.
Il film comincia con Marina che allestisce la performance. La vediamo spostarsi nel museo, consultare curatori, galleristi e designer, scherzare e affascinare chiunque incroci il suo cammino. Klaus Biesenbach, curatore del MoMA e vecchio amico di Marina, afferma: “Marina non sta mai non eseguendo una performance.”
L’allestimento della retrospettiva e l’esibizione quotidiana, durata tre mesi, sono la colonna narrativa di MARINA ABRAMOVIĆ THE ARTIST IS PRESENT.
L’esibizione, appositamente intitolata “L’artista è presente”, sarà la performance solista più lunga della carriera della Abramović, nonché l’impresa più faticosa che abbia mai sostenuto, sia fisicamente che emotivamente.
Quando l’aveva concepita si era immaginata subito quello che avrebbe rappresentato per lei perché solo nel pensarla “ le provocava la nausea”.
Le persone che hanno partecipato sono state 1400: alcune per pochi minuti, altri anche per un giorno intero. Non sono mancate le celebrità, come Marisa Tomei, Isabella Rossellini, Lou Reed, Rufus Wainwright.
La performance diventa la vita, e la vita diventa arte, i confini sono permeabili. Un principio reso vivido dal film che scava indietro nel tempo per esplorare la genesi di “The Artist is Present”, dall’iniziale carriera solista fino alla relazione/collaborazione, durata dodici anni, con Ulay, una figura nevralgica per Marina. Dalla storia del loro rapporto e del loro riavvicinamento emotivamente intensissimo, nel periodo precedente la retrospettiva del MoMA, emerge di lei una figura parallela, una diapositiva in carne ed ossa dell’artista/icona: una donna guidata dalla passione, esasperatamente divorata dalle contraddizioni, con un bisogno disperato di essere ammirata.
Il critico d’arte Arthur Danto sottolinea come “The Artist is Present” rappresenti un’esperienza completamente nuova nella storia dell’arte. “La gente rimane di fronte a gran parte dei capolavori per trenta secondi. Monna Lisa? trenta secondi. Ma qui la gente viene e si siede per tutto il giorno”.
Un ipnotizzante viaggio cinematografico nel mondo di un’artista radicale che non traccia distinzioni tra vita e arte. In occasione della sua nuova mostra al PAC di Milano dal 21 marzo, GA&A e Feltrinelli presentano il film rivelazione della Berlinale: ritratto intimo di una donna incredibilmente magnetica e infinitamente intrigante acclamata tra le artiste più significative dei nostri tempi.
Una produzione Show of Force per HBO, in coproduzione con AVRO Television e in collaborazione con GA&A Productions
Distribuito in Italia da GA&A Productions e Feltrinelli Real Cinema
Presentato al Sundance Film Festival 2012 - US Documentary Category
PANORAMA AUDIENCE AWORD - 62 Berlinale 2012
Il trailer del film è visionabile al link:
https://www.youtube.com/watch?v=aBROmNaRE3k&feature=em-share_video_user
fonte: https://www.facebook.com/events/978484882203073/
Casa Internazionale Delle Donne-via San francesco di Sales 1/a Roma
Seducente, senza paura, oltraggiosa, Marina Abramović ha stravolto il significato della parola ARTE in quasi 40 anni di attività. Usando il proprio corpo come medium fino a farlo diventare l’Opera d’Arte stessa e spingendosi oltre i propri limiti fisici e mentali, Marina ha creato performance che sfidano, scioccano ed emozionano profondamente.
Il film documentario MARINA ABRAMOVIĆ-THE ARTIST IS PRESENT ci fornisce l’occasione preziosa di un accesso totale al mondo di Marina, seguendola nella preparazione del momento più importante della sua vita come artista, l’inaugurazione della retrospettiva che l’ha celebrata nel 2010 al MoMA - Museum of Modern Art - di New York, luogo eletto forse anche per mettere a tacere l’assillante brusio che aveva sempre accompagnato il suo lavoro: “Ma questa è arte?
La proiezione speciale si inserisce in una settimana che vedrà protagonista Marina Abramović a Milano con il suo nuovo inedito lavoro “The Abramović Method” pensato per il Padiglione d’Arte Contemporanea. Una serie di living installation che il pubblico, guidato e motivato dall'artista, sarà invitato a percorrere e sperimentare. In mostra per la prima volta anche la monumentale installazione della performance del MoMA ricostruita nel film, insieme ad opere recenti collegate alla tematica del nuovo lavoro.
Il film comincia con Marina che allestisce la performance. La vediamo spostarsi nel museo, consultare curatori, galleristi e designer, scherzare e affascinare chiunque incroci il suo cammino. Klaus Biesenbach, curatore del MoMA e vecchio amico di Marina, afferma: “Marina non sta mai non eseguendo una performance.”
L’allestimento della retrospettiva e l’esibizione quotidiana, durata tre mesi, sono la colonna narrativa di MARINA ABRAMOVIĆ THE ARTIST IS PRESENT.
L’esibizione, appositamente intitolata “L’artista è presente”, sarà la performance solista più lunga della carriera della Abramović, nonché l’impresa più faticosa che abbia mai sostenuto, sia fisicamente che emotivamente.
Quando l’aveva concepita si era immaginata subito quello che avrebbe rappresentato per lei perché solo nel pensarla “ le provocava la nausea”.
Le persone che hanno partecipato sono state 1400: alcune per pochi minuti, altri anche per un giorno intero. Non sono mancate le celebrità, come Marisa Tomei, Isabella Rossellini, Lou Reed, Rufus Wainwright.
La performance diventa la vita, e la vita diventa arte, i confini sono permeabili. Un principio reso vivido dal film che scava indietro nel tempo per esplorare la genesi di “The Artist is Present”, dall’iniziale carriera solista fino alla relazione/collaborazione, durata dodici anni, con Ulay, una figura nevralgica per Marina. Dalla storia del loro rapporto e del loro riavvicinamento emotivamente intensissimo, nel periodo precedente la retrospettiva del MoMA, emerge di lei una figura parallela, una diapositiva in carne ed ossa dell’artista/icona: una donna guidata dalla passione, esasperatamente divorata dalle contraddizioni, con un bisogno disperato di essere ammirata.
Il critico d’arte Arthur Danto sottolinea come “The Artist is Present” rappresenti un’esperienza completamente nuova nella storia dell’arte. “La gente rimane di fronte a gran parte dei capolavori per trenta secondi. Monna Lisa? trenta secondi. Ma qui la gente viene e si siede per tutto il giorno”.
Un ipnotizzante viaggio cinematografico nel mondo di un’artista radicale che non traccia distinzioni tra vita e arte. In occasione della sua nuova mostra al PAC di Milano dal 21 marzo, GA&A e Feltrinelli presentano il film rivelazione della Berlinale: ritratto intimo di una donna incredibilmente magnetica e infinitamente intrigante acclamata tra le artiste più significative dei nostri tempi.
Una produzione Show of Force per HBO, in coproduzione con AVRO Television e in collaborazione con GA&A Productions
Distribuito in Italia da GA&A Productions e Feltrinelli Real Cinema
Presentato al Sundance Film Festival 2012 - US Documentary Category
PANORAMA AUDIENCE AWORD - 62 Berlinale 2012
Il trailer del film è visionabile al link:
https://www.youtube.com/watch?v=aBROmNaRE3k&feature=em-share_video_user
fonte: https://www.facebook.com/events/978484882203073/
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martedì 7 luglio 2015
Lgbt: Il 18 luglio sul palco «Un ragazzo di nome Giulia» di Saverio Aversa, nei Giardini della Filarmonica a Roma
Avevamo già avuto occasione di intervistare e conoscere Saverio Aversa con “L’enigma di un amore”, “in memoria di Karl Heinrich Ulrichs, pioniere del movimento omosessuale” e che aveva debuttato alla rassegna lgbt Illecite//Visioni a Milano, nel 2013.
Sabato 18 luglio alle 21 debutterà “Un ragazzo di nome Giulia”, testo scritto e spettacolo diretto da Saverio Aversa, nei Giardini della Filarmonica a Roma. “Con “Un ragazzo di nome Giulia” – ci racconta Saverio – continuo ad occuparmi di persone lgbt e dei pregiudizi nei loro confronti, della battaglia, oggi più che mai attuale nel nostro Paese, per il riconoscimento dei diritti ancora negati”. Abbiamo intervistato Saverio, che ci ha presentato il lavoro e anticipato un’opera a cui sta lavorando.
Saverio, ho già avuto occasione di di intervistarti per lo spettacolo “L’Enigma dell’Amore” che ha debuttato a Milano nel 2013, per la rassegna lgbt Illecite//Visioni. Oggi stai per andare in scena con un altro testo tuo, “Un ragazzo di nome Giulia”, che sabato 18 luglio alle 21 sarà sul palco de “I solisti del teatro” nei Giardini della Filarmonica a Roma. Ce ne puoi parlare?
Il testo nasce da una storia vera, il racconto di un ragazzo che conobbi durante un dibattito politico quando ero dirigente nazionale di Rifondazione, responsabile diritti civili. Scrissi un racconto dal titolo “Un ragazzo di nome Giulia”, parafrasando il romanzo di Milena Milani “La ragazza di nome Giulio”. È la storia di una persona ftom, female to male, che viene raccontata dall’attore Pino Censi. Su facebook c’è la pagina “unragazzodinomegiulia” e in rete il blog. E’ un atto unico accompagnato dal sassofono di Carmen Falato, concertista e cantante di esperienza.
Puoi darci qualche dettaglio in più?
Il protagonista è nato in un corpo che non riconosce e vengono raccontate le difficoltà vissute fin da bambino, in quel corpo imberbe unisex e che comincia a cambiare nella pubertà. Giulia è forte ma la sua consapevolezza si costruisce superando una serie di ostacoli e fra questi l’anoressia e la bulimia. Non voglio raccontare oltre ma vorrei sottolineare che va in scena una sorta di dialogo fra attore e musicista, fra la voce umana e il suono del sassofono.
Perché hai scelto di unire musica e voce?
La scelta di unire musica e voce parte dal testo che riferisce anche la storia di Billy Tipton, pianista e cantante swing degli anni 50 e 60, morto nel 1989, sposato cinque volte e con tre figli adottivi. Il medico che ne accertò il decesso dovette constatare che il suo corpo era biologicamente femminile ma che aveva vissuto come un uomo. Un gruppo di sassofoniste americane ha scelto di fargli omaggio chiamandosi “Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet”.
Come hai costruito “Un ragazzo di nome Giulia” con l’attore Pino Censi?
L’impegno maggiore è stato cucire addosso, come un vestito, il testo sull’attore, sulla sua fisicità e sulla sua recitazione. Siamo stati facilitati dal rapporto di amicizia fra noi due e da precedenti collaborazioni. Censi è entrato giovanissimo all’Accademia nazionale “Silvio D’amico” e ha lavorato con una decina di registi importanti. Da tanto tempo volevamo fare uno spettacolo insieme e questa è stata l’occasione giusta. Vorremmo portare lo spettacolo in giro per l’Italia e anche a Milano naturalmente.
Quali sono le differenze di produzione e sceniche con il primo spettacolo?
Contrariamente a “L’Enigma dell’amore”, questo nuovo spettacolo è quasi “tascabile”, può avere varie versioni adattabili agli spazi e alle varie necessità: lo realizzeremo sempre con le musiche dal vivo ma spesso saranno registrate. La produzione ricade unicamente sulle mie spalle anche se è realizzata insieme ad un’associazione teatrale. Vorrei promuovere lo spettacolo nelle sedi di associazioni lgbt, nei centri autogestiti, in piccoli teatri, negli appartamenti, ricordando Nino Gennaro che faceva spettacoli nelle strade, nei cortili, negli scantinati con Teatro Madre: andava dappertutto con la sua arte. Sono consapevole che è una bella sfida da portare avanti in un panorama desolante. Le sovvenzioni pubbliche agli eventi culturali subiscono continui tagli e, per esempio, quest’anno la rassegna romana “Garofano verde” rischia di non essere realizzata dopo ventuno anni.
Questo nuovo impegno ti vede oltre che come autore anche come regista. Potresti dirci i passaggi di un’evoluzione e di un cambiamento, che c’è stato, nel tema e nei protagonisti tra i due spettacoli?
Sono al mio secondo testo di teatro, il primo è stato “L’Enigma dell’Amore “, in memoria di Karl Heinrich Ulrichs, pioniere del movimento omosessuale. Con “Un ragazzo di nome Giulia” continuo ad occuparmi di persone lgbt e dei pregiudizi nei loro confronti, della battaglia, oggi più che mai attuale nel nostro Paese, per il riconoscimento dei diritti ancora negati.
Ci sono altri progetti in sospeso a cui stai lavorando?
Un altro mio amico attore mi ha chiesto di fare qualcosa insieme, qualcosa di adatto a lui, e ho pensato ad un romanzo da adattare drammaturgicamente, “Signori” di Warwick Collins, ambientato negli anni ottanta in un bagno pubblico a Londra, dove si entrava con un penny, in cui si accostano l’omosessualità e il sesso al capitalismo.
fonte: By Alessandro Rizzo http://www.pianetagay.com/18-luglio-ragazzo-nome-giulia-aversa/
Sabato 18 luglio alle 21 debutterà “Un ragazzo di nome Giulia”, testo scritto e spettacolo diretto da Saverio Aversa, nei Giardini della Filarmonica a Roma. “Con “Un ragazzo di nome Giulia” – ci racconta Saverio – continuo ad occuparmi di persone lgbt e dei pregiudizi nei loro confronti, della battaglia, oggi più che mai attuale nel nostro Paese, per il riconoscimento dei diritti ancora negati”. Abbiamo intervistato Saverio, che ci ha presentato il lavoro e anticipato un’opera a cui sta lavorando.
Saverio, ho già avuto occasione di di intervistarti per lo spettacolo “L’Enigma dell’Amore” che ha debuttato a Milano nel 2013, per la rassegna lgbt Illecite//Visioni. Oggi stai per andare in scena con un altro testo tuo, “Un ragazzo di nome Giulia”, che sabato 18 luglio alle 21 sarà sul palco de “I solisti del teatro” nei Giardini della Filarmonica a Roma. Ce ne puoi parlare?
Il testo nasce da una storia vera, il racconto di un ragazzo che conobbi durante un dibattito politico quando ero dirigente nazionale di Rifondazione, responsabile diritti civili. Scrissi un racconto dal titolo “Un ragazzo di nome Giulia”, parafrasando il romanzo di Milena Milani “La ragazza di nome Giulio”. È la storia di una persona ftom, female to male, che viene raccontata dall’attore Pino Censi. Su facebook c’è la pagina “unragazzodinomegiulia” e in rete il blog. E’ un atto unico accompagnato dal sassofono di Carmen Falato, concertista e cantante di esperienza.
Puoi darci qualche dettaglio in più?
Il protagonista è nato in un corpo che non riconosce e vengono raccontate le difficoltà vissute fin da bambino, in quel corpo imberbe unisex e che comincia a cambiare nella pubertà. Giulia è forte ma la sua consapevolezza si costruisce superando una serie di ostacoli e fra questi l’anoressia e la bulimia. Non voglio raccontare oltre ma vorrei sottolineare che va in scena una sorta di dialogo fra attore e musicista, fra la voce umana e il suono del sassofono.
Perché hai scelto di unire musica e voce?
La scelta di unire musica e voce parte dal testo che riferisce anche la storia di Billy Tipton, pianista e cantante swing degli anni 50 e 60, morto nel 1989, sposato cinque volte e con tre figli adottivi. Il medico che ne accertò il decesso dovette constatare che il suo corpo era biologicamente femminile ma che aveva vissuto come un uomo. Un gruppo di sassofoniste americane ha scelto di fargli omaggio chiamandosi “Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet”.
Come hai costruito “Un ragazzo di nome Giulia” con l’attore Pino Censi?
L’impegno maggiore è stato cucire addosso, come un vestito, il testo sull’attore, sulla sua fisicità e sulla sua recitazione. Siamo stati facilitati dal rapporto di amicizia fra noi due e da precedenti collaborazioni. Censi è entrato giovanissimo all’Accademia nazionale “Silvio D’amico” e ha lavorato con una decina di registi importanti. Da tanto tempo volevamo fare uno spettacolo insieme e questa è stata l’occasione giusta. Vorremmo portare lo spettacolo in giro per l’Italia e anche a Milano naturalmente.
Quali sono le differenze di produzione e sceniche con il primo spettacolo?
Contrariamente a “L’Enigma dell’amore”, questo nuovo spettacolo è quasi “tascabile”, può avere varie versioni adattabili agli spazi e alle varie necessità: lo realizzeremo sempre con le musiche dal vivo ma spesso saranno registrate. La produzione ricade unicamente sulle mie spalle anche se è realizzata insieme ad un’associazione teatrale. Vorrei promuovere lo spettacolo nelle sedi di associazioni lgbt, nei centri autogestiti, in piccoli teatri, negli appartamenti, ricordando Nino Gennaro che faceva spettacoli nelle strade, nei cortili, negli scantinati con Teatro Madre: andava dappertutto con la sua arte. Sono consapevole che è una bella sfida da portare avanti in un panorama desolante. Le sovvenzioni pubbliche agli eventi culturali subiscono continui tagli e, per esempio, quest’anno la rassegna romana “Garofano verde” rischia di non essere realizzata dopo ventuno anni.
Questo nuovo impegno ti vede oltre che come autore anche come regista. Potresti dirci i passaggi di un’evoluzione e di un cambiamento, che c’è stato, nel tema e nei protagonisti tra i due spettacoli?
Sono al mio secondo testo di teatro, il primo è stato “L’Enigma dell’Amore “, in memoria di Karl Heinrich Ulrichs, pioniere del movimento omosessuale. Con “Un ragazzo di nome Giulia” continuo ad occuparmi di persone lgbt e dei pregiudizi nei loro confronti, della battaglia, oggi più che mai attuale nel nostro Paese, per il riconoscimento dei diritti ancora negati.
Ci sono altri progetti in sospeso a cui stai lavorando?
Un altro mio amico attore mi ha chiesto di fare qualcosa insieme, qualcosa di adatto a lui, e ho pensato ad un romanzo da adattare drammaturgicamente, “Signori” di Warwick Collins, ambientato negli anni ottanta in un bagno pubblico a Londra, dove si entrava con un penny, in cui si accostano l’omosessualità e il sesso al capitalismo.
fonte: By Alessandro Rizzo http://www.pianetagay.com/18-luglio-ragazzo-nome-giulia-aversa/
Lgbt: Ricordando Frida Kahlo
Breve storia della pittrice messicana Frida Kahlo, nata il 6 luglio 1907 e scomparsa nel 1954 dopo anni turbolenti all'insegna di un'arte moderna e fortemente personale. Photo Credit: Nickolas Muray Photo Archives.
Il 6 luglio del 1907 nasceva a Coyoacan, in Messico, Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderon, meglio nota con il nome di Frida Kahlo. Figlia di un fotografo di origini ebraico-ungheresi e di una benestante donna messicana, Frida Kahlo era affetta da spina bifida, una malformazione della spina dorsale, che fu inizialmente scambiata per poliomelite.
Fin da giovane, nonostante la malattia, Frida Kahlo mostrò un notevole talento artistico oltre che una personalità molto forte e indipendente. Nonostante gli interessi artistici, Frida Kahlo inizialmente si preparò allo studio della medicina presso la Escuela Nacional, dove si legò ai Cachucas, un gruppo di studenti di orientamento socialista, vicini al rivoluzionario messicano José Vasconcelos.
Non a caso, Frida Kahlo amava dire di essere nata nel 1910 proprio per mostrare di essere nata lo stesso anno in cui in Messico scoppiò la rivoluzione che portò a una nuova costituzione nel Paese. Nel 1925 Frida Kahlo fu vittima di un grave incidente. L'autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram: l'artista riportò numerose fratture, tre le quali una alla colonna vertebrale, e si frantumò il collo.
In seguito al grave incidente, Frida Kahlo subì ben 32 operazioni e fu costretta per molto tempo a rimanere in casa, dove si chiuse in una forte solitudine. In questo periodo lesse numerosi libri, soprattutto sul movimento comunista, e realizzò diversi autoritratti, utilizzando uno stile decisamente moderno per l'epoca.
Quando poté nuovamente camminare, Frida Kahlo decise di trovare nella pittura un modo per contribuire finanziariamente alla vita della sua famiglia: per questa ragione decise di mostrare i suoi dipinti a Diego Rivera, il principale pittore messicano del tempo. Quest'ultimo fu molto colpito dalle opere di Frida Kahlo e dalla loro modernità. I due si sposarono nel 1929.
Nello stesso periodo, Frida Kahlo si inserì profondamente nella vita politica e culturale messicana e divenne una militante del Partito comunista messicano. Dopo aver passato alcuni anni della sua vita negli Stati Uniti, dove Diego Rivera doveva dipingere alcuni importanti affreschi, Frida Kahlo rimase incinta ma, vista l'inadeguatezza del proprio fisico, subì un aborto spontaneo. Questo fatto la turbò molto e per questo decise di tornare in Messico.
Nel 1939 divorziò da Diego Rivera dopo che quest'ultimo l'aveva tradita con la sorella Cristina Kahlo. Nel 1940, tuttavia, i due tornarono insieme nuovamente. Per quanto la sua grande storia d'amore fu quella con Diego Rivera, Frida Kahlo ebbe numerosi amanti di entrambi i sessi, tra cui il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta francese Andrè Breton.
Il 13 luglio del 1954 Frida Kahlo morì di embolia polmonare dopo che, pochi anni prima, le era stata amputata una gamba a causa di una gangrena. Lo stile artistico di Frida Kahlo fu diversamente moderno per l'epoca in cui viveva e al tempo stesso molto personale, permeato in molti casi dagli episodi drammatici che aveva vissuto in prima persona.
fonte: http://www.thepostinternazionale.it/mondo/messico/frida-kahlo-storia
Il 6 luglio del 1907 nasceva a Coyoacan, in Messico, Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderon, meglio nota con il nome di Frida Kahlo. Figlia di un fotografo di origini ebraico-ungheresi e di una benestante donna messicana, Frida Kahlo era affetta da spina bifida, una malformazione della spina dorsale, che fu inizialmente scambiata per poliomelite.
Fin da giovane, nonostante la malattia, Frida Kahlo mostrò un notevole talento artistico oltre che una personalità molto forte e indipendente. Nonostante gli interessi artistici, Frida Kahlo inizialmente si preparò allo studio della medicina presso la Escuela Nacional, dove si legò ai Cachucas, un gruppo di studenti di orientamento socialista, vicini al rivoluzionario messicano José Vasconcelos.
Non a caso, Frida Kahlo amava dire di essere nata nel 1910 proprio per mostrare di essere nata lo stesso anno in cui in Messico scoppiò la rivoluzione che portò a una nuova costituzione nel Paese. Nel 1925 Frida Kahlo fu vittima di un grave incidente. L'autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram: l'artista riportò numerose fratture, tre le quali una alla colonna vertebrale, e si frantumò il collo.
In seguito al grave incidente, Frida Kahlo subì ben 32 operazioni e fu costretta per molto tempo a rimanere in casa, dove si chiuse in una forte solitudine. In questo periodo lesse numerosi libri, soprattutto sul movimento comunista, e realizzò diversi autoritratti, utilizzando uno stile decisamente moderno per l'epoca.
Quando poté nuovamente camminare, Frida Kahlo decise di trovare nella pittura un modo per contribuire finanziariamente alla vita della sua famiglia: per questa ragione decise di mostrare i suoi dipinti a Diego Rivera, il principale pittore messicano del tempo. Quest'ultimo fu molto colpito dalle opere di Frida Kahlo e dalla loro modernità. I due si sposarono nel 1929.
Nello stesso periodo, Frida Kahlo si inserì profondamente nella vita politica e culturale messicana e divenne una militante del Partito comunista messicano. Dopo aver passato alcuni anni della sua vita negli Stati Uniti, dove Diego Rivera doveva dipingere alcuni importanti affreschi, Frida Kahlo rimase incinta ma, vista l'inadeguatezza del proprio fisico, subì un aborto spontaneo. Questo fatto la turbò molto e per questo decise di tornare in Messico.
Nel 1939 divorziò da Diego Rivera dopo che quest'ultimo l'aveva tradita con la sorella Cristina Kahlo. Nel 1940, tuttavia, i due tornarono insieme nuovamente. Per quanto la sua grande storia d'amore fu quella con Diego Rivera, Frida Kahlo ebbe numerosi amanti di entrambi i sessi, tra cui il rivoluzionario russo Lev Trockij e il poeta francese Andrè Breton.
Il 13 luglio del 1954 Frida Kahlo morì di embolia polmonare dopo che, pochi anni prima, le era stata amputata una gamba a causa di una gangrena. Lo stile artistico di Frida Kahlo fu diversamente moderno per l'epoca in cui viveva e al tempo stesso molto personale, permeato in molti casi dagli episodi drammatici che aveva vissuto in prima persona.
fonte: http://www.thepostinternazionale.it/mondo/messico/frida-kahlo-storia
Lgbt: Una danzatrice nella storia: Misty Copeland è Prima Ballerina all’American Ballet Theater
Una notizia nell’aria da giorni ma confermata soltanto martedì 30 giugno: Misty Copeland, 32 anni, è Prima Ballerina all’American Ballet Theater di New York, la prima di colore nei 75 anni di vita dell’ABT.
Una nomina che fa storia. Negli Stati Uniti ma soprattutto nel mondo della danza internazionale.
Un sogno iniziato 14 anni fa, quando per la prima volta ha varcato la soglia dell’Abt. Promossa ‘Solista’ solo otto anni fa, anche in quel caso passando alla storia come una delle più giovani ballerine della compagnia ad avere tale ruolo.
Alta poco meno di un metro e 60, la Copeland, originaria di Kansas City in Missouri, è considerata quasi un prodigio vista la tarda età in cui ha iniziato con la danza. Il primo tutu a 13 anni. A 15, però, le prime offerte professionali. Ma la fama della Copeland, che ha appena finito con il Lago dei Cigni al Metropolitan Opera, va ben oltre la danza ed in poco tempo è diventata un’icona della pop culture, conquistandosi copertine di giornali e campagne pubblicitarie. L’anno scorso la sua campagna per Under Armour è diventata immediatamente virale su YouTube. Quest’anno il Time le ha dedicato la copertina e il suo profilo Instagram ha oltre mezzo milioni di seguaci.
La candidatura a Prima Ballerina della Copeland nell’ABT è stata di particolare interesse pubblico visto anche il dibattito razziale che ultimamente tiene particolarmente banco negli Stati Uniti. Raramente le danzatrici afro-americane arrivano a posizioni di alto livello nelle compagnie d’élite e, ancora come scrive il New York Times, se la compagnia non avesse promosso la Copeland avrebbe corso il rischio di continuare a perpetuare le disparità a cui vanno incontro le ballerine di colore, spesso sottorappresentate a certi livelli.
La stessa Misty ha più volte sollevato l’argomento, anche nel suo libro ‘Life in Motion: An Unlikely Ballerina’, in cui ha scritto: “Il mio timore è che potrebbero passare altri vent’anni prima che ci sia un’altra ballerina di colore nella posizione che ho in una compagnia di balletto d’élite”. “Se non divento Prima Ballerina – ha affermato – la gente si sentirà come tradita da me”.
Prima di Misty, la storia di ballerini o ballerine di colore ad alti livelli è fatta di rari esempi. Oltre 50 anni fa è stato pioniere Arthur Mitchell, che nel 1962 infranse le barriere razziali del New York City Ballet diventando Primo Ballerino. Ed è passata una generazione da quando, nel 1990, Lauren Anderson è diventata la prima afro americana Prima Ballerina dello Houston Ballet.
Dicono “The best is yet to come”…ma in questo caso, ci auguriamo che “The best is yet …to stay”.
fonte: http://giornaledelladanza.com
Una nomina che fa storia. Negli Stati Uniti ma soprattutto nel mondo della danza internazionale.
Un sogno iniziato 14 anni fa, quando per la prima volta ha varcato la soglia dell’Abt. Promossa ‘Solista’ solo otto anni fa, anche in quel caso passando alla storia come una delle più giovani ballerine della compagnia ad avere tale ruolo.
Alta poco meno di un metro e 60, la Copeland, originaria di Kansas City in Missouri, è considerata quasi un prodigio vista la tarda età in cui ha iniziato con la danza. Il primo tutu a 13 anni. A 15, però, le prime offerte professionali. Ma la fama della Copeland, che ha appena finito con il Lago dei Cigni al Metropolitan Opera, va ben oltre la danza ed in poco tempo è diventata un’icona della pop culture, conquistandosi copertine di giornali e campagne pubblicitarie. L’anno scorso la sua campagna per Under Armour è diventata immediatamente virale su YouTube. Quest’anno il Time le ha dedicato la copertina e il suo profilo Instagram ha oltre mezzo milioni di seguaci.
La candidatura a Prima Ballerina della Copeland nell’ABT è stata di particolare interesse pubblico visto anche il dibattito razziale che ultimamente tiene particolarmente banco negli Stati Uniti. Raramente le danzatrici afro-americane arrivano a posizioni di alto livello nelle compagnie d’élite e, ancora come scrive il New York Times, se la compagnia non avesse promosso la Copeland avrebbe corso il rischio di continuare a perpetuare le disparità a cui vanno incontro le ballerine di colore, spesso sottorappresentate a certi livelli.
La stessa Misty ha più volte sollevato l’argomento, anche nel suo libro ‘Life in Motion: An Unlikely Ballerina’, in cui ha scritto: “Il mio timore è che potrebbero passare altri vent’anni prima che ci sia un’altra ballerina di colore nella posizione che ho in una compagnia di balletto d’élite”. “Se non divento Prima Ballerina – ha affermato – la gente si sentirà come tradita da me”.
Prima di Misty, la storia di ballerini o ballerine di colore ad alti livelli è fatta di rari esempi. Oltre 50 anni fa è stato pioniere Arthur Mitchell, che nel 1962 infranse le barriere razziali del New York City Ballet diventando Primo Ballerino. Ed è passata una generazione da quando, nel 1990, Lauren Anderson è diventata la prima afro americana Prima Ballerina dello Houston Ballet.
Dicono “The best is yet to come”…ma in questo caso, ci auguriamo che “The best is yet …to stay”.
fonte: http://giornaledelladanza.com
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