Dal racconto di Murakami, in sala dal 19 settembre "Burning. L'amore brucia", basato sul racconto 'Barn Burning' di Haruki
Murakami, è un film del coreano Lee Chang-dong diviso tra triangolo
d'amore e rabbia. Una sorta di mystery thriller, già in corsa per la
Palma d'oro al Festival di Cannes del 2018 esce ora in sala dal 19
settembre.
Interpretato da soli tre personaggi, si consuma, più che
nell'azione, nella passione nascosta dei sentimenti. C'è Haemi (Yong-seo
Yun), una ragazza bella e smart che si trova divisa tra due uomini. Da
una parte Jongsu (Ah-in Yoo), aspirante scrittore con una problematica
famiglia alla spalle.
Dall'altra c'è invece Ben (Steven Yeun)
cinico, nichilista quanto basta, e pieno di denaro.
In realtà a
conoscere la ragazza per primo è Jongsu che, al primo giorno dopo un
pomeriggio di sesso con Haemi, si ritrova affidatario del gatto della
ragazza visto che lei sta partendo per l'Africa. Al suo ritorno
all'aeroporto c'è una sorpresa per l'aspirante scrittore che ama
Faulkner: Haemi torna accompagnata da Ben e si capisce subito che non è
solo un suo amico.
Tra i tre è subito ambiguo triangolo. Escono così
spesso insieme, vivono una situazione alla Jules e Jim, ma la fragilità
economica e sociale di Jongsu non è facile da gestire, tanto più quando
inizia a sospettare che la scomparsa a un certo punto di Haemi potrebbe
essere un espediente del ricco rampollo di tenerla lontano da lui. E
così monta in lui, lentamente e inesorabilmente, la rabbia.
"Quando mi sono messo a leggere il libro Lee Chang-dong - ha detto il
regista di Oasis - mi sono subito accorto che era sì una storia molto
bella e misteriosa, ma nella quale in effetti non succedeva nulla, una
cosa che ho ritenuto allora poco cinematografica". Ma, ha detto ancora
il regista, c'era alla fine "l'elemento della rabbia, una cosa oggi
avvertita in tutto il mondo rispetto a una situazione politica ed
economica disastrosa per tutti noi".
Fonte: (ANSA) www.ansa.it
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lunedì 23 settembre 2019
Lgbt: OUTING O COMING OUT? SIGNIFICATO E DIFFERENZA.
OUTING O COMING OUT? SIGNIFICATO E DIFFERENZA
L’italiano, come tutte le lingue è sempre in evoluzione e si arricchisce con termini in prestito da lingue straniere, che entrano a far parte del vocabolario comune. Queste nuove parole devono però essere usate correttamente rispettando il loro significato originale, senza stravolgimenti. Oggi spiegheremo il significato di due parole mutuate dalla lingua inglese: Outing e coming out, spesso usate per identificare lo stesso concetto, ma che hanno due significati propri e ben distinti. Cosa significano queste due parole che ormai sentiamo spesso e che magari ci siamo ritrovati ad usare? Ecco il loro significato e come usarle contestualmente e correttamente.DIFFERENZA TRA OUTING E COMING OUT
Prima di tutto chiariamo che le due parole si riferiscono al momento in cui viene reso noto l’orientamento sessuale di una persona fino a quel momento considerata eterosessuale.I due termini, però, non sono intercambiabili perché fanno riferimento a due situazioni ben diverse. Quindi vediamo di capire una volta per tutte quando utilizzare la parola coming out e quando outing.
COSA SIGNIFICA FARE COMING OUT
L’espressione “coming out” deriva dall’inglese e significa letteralmente “uscir fuori“: in italiano potremmo tranquillamente tradurlo con “dichiararsi”, uscire allo scoperto volontariamente in poche parole. Infatti è proprio di questo che si tratta perché il coming out è un atto volontario di dichiarazione del proprio orientamento sessuale.Negli ultimi periodi abbiamo assistito a molti coming out di personaggi famosi che hanno dichiarato di essere omosessuali, tramite la stampa, video postati da loro stessi, e dichiarazioni spontanee sui social. Qualche esempio? Celebri coming out sono stati quelli di Tiziano Ferro, Ricky Martin, George Micheal, giusto per citare qualche nome famoso, ma sono in tanti ad aver deciso consapevolmente di mostrarsi al mondo così come sono, con coraggio e grande senso di libertà. Chiarito questo, dobbiamo però dire che il termine coming out è stato spesso confuso con la parola outing. Sentiamo, infatti spesso, l’espressione fare outing, ma cosa significa veramente?
FARE OUTING COSA VUOL DIRE
Passiamo quindi a spiegare l’espressione outing: il termine deriva dall’inglese e viene usato quando una persona è “outed” , cioè viene scoperta, esposta! Questa espressione perciò si differenzia dal coming out perché è utilizzata per rivelare l’inclinazione sessuale di una persona senza il suo consenso! La differenza è abissale: nel caso del coming out la dichiarazione di omosessualità è volontaria e dipende solo dalla persona, mentre per l’outing si tratta di rendere noto l’orientamento sessuale di terzi che si trovano quindi a subire una rivelazione senza il loro benestare! L’outing è spesso associato a un’accezione negativa, ad una situazione spiacevole che viola la privacy di una persona.Come potete notare le due espressioni sono davvero molto diverse e devono essere usate in modo corretto. Ora che ne conoscete il significato potete iniziare ad utilizzarle nel modo giusto!
fonte: www.studentville.it
Lgbt: Coppia omogenitoriale con figli in custodia in “La Dea Fortuna”, il nuovo film di Ozpetek nelle sale a dicembre
A dare la notizia è stato lo stesso regista Ferzan Ozpetek che in un
post ha annunciato che il film “La Dea Fortuna” uscirà nei giorni di
Natale, il 19 dicembre 2019.
Alessandro e Arturo sono una coppia da più di quindici anni. Nonostante la passione e l’amore si siano trasformati in un affetto importante, la loro relazione è in crisi da tempo. L’improvviso arrivo nelle loro vite di due bambini lasciatigli in custodia per qualche giorno dalla migliore amica di Alessandro, potrebbe però dare un’insperata svolta alla loro stanca routine. La soluzione sarà un gesto folle. Ma d’altronde l’amore è uno stato di piacevole follia…
La Dea Fortuna, il film diretto da Ferzan Ozpetek, con Stefano Accorsi, Edoardo Leo, Jasmine Trinca e Serra Yilmaz, vede protagonista la coppia formata da Alessandroe Arturo. I due stanno insieme da oltre quindici anni e, nonostante l’amore passionale col tempo si sia trasformato in un grande affetto, ultimamente il loro rapporto è entrato in crisi. L’improvviso arrivo nella loro vita di due bambini lasciatigli in custodia per qualche giorno dalla migliore amica di Alessandro, potrebbe però dare un’inattesa e svolta positiva alla loro stanca routine quotidiana. La soluzione sarà un gesto folle. Ma d’altronde l’amore è uno stato di piacevole follia.
IL VIDEO
fonte: www.spyit.it
Alessandro e Arturo sono una coppia da più di quindici anni. Nonostante la passione e l’amore si siano trasformati in un affetto importante, la loro relazione è in crisi da tempo. L’improvviso arrivo nelle loro vite di due bambini lasciatigli in custodia per qualche giorno dalla migliore amica di Alessandro, potrebbe però dare un’insperata svolta alla loro stanca routine. La soluzione sarà un gesto folle. Ma d’altronde l’amore è uno stato di piacevole follia…
La Dea Fortuna, il film diretto da Ferzan Ozpetek, con Stefano Accorsi, Edoardo Leo, Jasmine Trinca e Serra Yilmaz, vede protagonista la coppia formata da Alessandroe Arturo. I due stanno insieme da oltre quindici anni e, nonostante l’amore passionale col tempo si sia trasformato in un grande affetto, ultimamente il loro rapporto è entrato in crisi. L’improvviso arrivo nella loro vita di due bambini lasciatigli in custodia per qualche giorno dalla migliore amica di Alessandro, potrebbe però dare un’inattesa e svolta positiva alla loro stanca routine quotidiana. La soluzione sarà un gesto folle. Ma d’altronde l’amore è uno stato di piacevole follia.
IL VIDEO
fonte: www.spyit.it
La storia di Junko Tabei, la prima donna a scalare l’Everest
L'alpinista giapponese raggiunse la cima più alta del mondo nel 1975: Google la ricorda con un doodle.
In foto: Junko Tabei sulla vetta dell'Everest, il 16 maggio 1975 (Tabei Kikaku Co.; Ltd via AP)
Junko Tabei, alpinista giapponese e prima donna a scalare l’Everest, è ricordata nel doodle di Google, perché oggi avrebbe compiuto 80 anni: Tabei è morta il 20 ottobre 2016 a 77 anni, a causa di un tumore allo stomaco.
Oltre a scalare l’Everest, obiettivo raggiunto nel maggio 1975, Tabei fu la prima donna a raggiungere la cima delle cosiddette “Seven Summits”, “Sette vette”, cioè le montagne più alte di ciascuno dei sette continenti della Terra (sette se si considera l’interpretazione anglosassone: Asia, Africa, Nordamerica, Sudamerica, Europa, Oceania e Antartide).
Tabei nacque nel 1939 nella città di Miharu, nella provincia giapponese di Fukushima. Crebbe in una famiglia relativamente povera, condizionata dalla Seconda guerra mondiale, e molto numerosa: era la quinta figlia femmina e aveva due fratelli.
Cominciò ad appassionarsi di montagna e alpinismo quando aveva 10 anni, durante una gita scolastica durante la quale salì per la prima volta sul Monte Asahi (quasi 2.300 metri di altezza) e sul Monte Chausu (circa 1.400 metri). Da adolescente cominciò a fare diverse cose che erano poco accettate nella società giapponese di allora, come per esempio gestire un club per donne specializzato di alpinismo: «La maggior parte degli uomini giapponesi della mia generazione si aspettano che la donna stia a casa e faccia le pulizie», disse in un’intervista del 1991 citata dal Japan Times.
Studiò per diventare insegnante e si laureò in letteratura inglese a Tokyo, ma poi preferì abbandonare quella strada e fare tanti lavori diversi per potersi finanziare la sua passione, l’alpinismo. Nel 1969 fondò il Club di alpinismo per donne, il cui slogan era: «Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole».
Nel 1975, a 35 anni, Tabei completò la sua ascesa più importante, quella del Monte Everest. Le prime persone a raggiungere la vetta furono il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay, il 29 maggio 1953. Più di vent’anni dopo, Tabei seguì la stessa via di Hillary e divenne la prima donna a raggiungere la vetta. Ci arrivò accompagnata solo dal suo sherpa, Ang Tsering, perché dodici giorni prima una valanga aveva travolto il campo in cui si trovava il suo gruppo: lei stessa aveva perso coscienza per un breve periodo di tempo. In foto:
Nel 1992 divenne la prima donna a scalare le “Seven Summits”: dopo l’Everest, infatti, raggiunse la cima del Kilimangiaro in Tanzania (1980), dell’Aconcagua in Argentina (1987), del McKinley (oggi conosciuto come Denali) in Alaska (1988), dell’Elbrus in Russia (nel 1989), del Vinson in Antartide (1991) e del Puncak Jaya in Indonesia (1992).
In foto: il doodle di Google dedicatole il 22 settembre
A partire dagli anni Duemila cominciò a occuparsi di temi ambientalisti. Si laureò all’Università Kyushu di Fukuoka, in Giappone, dove studiò il degrado del terreno montano causato dai rifiuti lasciati dagli alpinisti, in particolare sull’Everest (quello dei rifiuti sull’Everest è un tema che è diventato molto dibattuto negli ultimi anni).
Fino a 73 anni Tabei raggiunse ogni estate la vetta del Monte Fuji, 3776 metri, accompagnando classi del liceo e altri studenti della sua città natale, gravemente colpita dal terremoto e dallo tsunami del 2011. Tabei era sposata e aveva due figli, una femmina, Noriko, e un maschio, Shinya.
fonte: www.ilpost.it
In foto: Junko Tabei sulla vetta dell'Everest, il 16 maggio 1975 (Tabei Kikaku Co.; Ltd via AP)
Junko Tabei, alpinista giapponese e prima donna a scalare l’Everest, è ricordata nel doodle di Google, perché oggi avrebbe compiuto 80 anni: Tabei è morta il 20 ottobre 2016 a 77 anni, a causa di un tumore allo stomaco.
Oltre a scalare l’Everest, obiettivo raggiunto nel maggio 1975, Tabei fu la prima donna a raggiungere la cima delle cosiddette “Seven Summits”, “Sette vette”, cioè le montagne più alte di ciascuno dei sette continenti della Terra (sette se si considera l’interpretazione anglosassone: Asia, Africa, Nordamerica, Sudamerica, Europa, Oceania e Antartide).
Tabei nacque nel 1939 nella città di Miharu, nella provincia giapponese di Fukushima. Crebbe in una famiglia relativamente povera, condizionata dalla Seconda guerra mondiale, e molto numerosa: era la quinta figlia femmina e aveva due fratelli.
Cominciò ad appassionarsi di montagna e alpinismo quando aveva 10 anni, durante una gita scolastica durante la quale salì per la prima volta sul Monte Asahi (quasi 2.300 metri di altezza) e sul Monte Chausu (circa 1.400 metri). Da adolescente cominciò a fare diverse cose che erano poco accettate nella società giapponese di allora, come per esempio gestire un club per donne specializzato di alpinismo: «La maggior parte degli uomini giapponesi della mia generazione si aspettano che la donna stia a casa e faccia le pulizie», disse in un’intervista del 1991 citata dal Japan Times.
Studiò per diventare insegnante e si laureò in letteratura inglese a Tokyo, ma poi preferì abbandonare quella strada e fare tanti lavori diversi per potersi finanziare la sua passione, l’alpinismo. Nel 1969 fondò il Club di alpinismo per donne, il cui slogan era: «Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole».
Nel 1975, a 35 anni, Tabei completò la sua ascesa più importante, quella del Monte Everest. Le prime persone a raggiungere la vetta furono il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay, il 29 maggio 1953. Più di vent’anni dopo, Tabei seguì la stessa via di Hillary e divenne la prima donna a raggiungere la vetta. Ci arrivò accompagnata solo dal suo sherpa, Ang Tsering, perché dodici giorni prima una valanga aveva travolto il campo in cui si trovava il suo gruppo: lei stessa aveva perso coscienza per un breve periodo di tempo. In foto:
Nel 1992 divenne la prima donna a scalare le “Seven Summits”: dopo l’Everest, infatti, raggiunse la cima del Kilimangiaro in Tanzania (1980), dell’Aconcagua in Argentina (1987), del McKinley (oggi conosciuto come Denali) in Alaska (1988), dell’Elbrus in Russia (nel 1989), del Vinson in Antartide (1991) e del Puncak Jaya in Indonesia (1992).
In foto: il doodle di Google dedicatole il 22 settembre
A partire dagli anni Duemila cominciò a occuparsi di temi ambientalisti. Si laureò all’Università Kyushu di Fukuoka, in Giappone, dove studiò il degrado del terreno montano causato dai rifiuti lasciati dagli alpinisti, in particolare sull’Everest (quello dei rifiuti sull’Everest è un tema che è diventato molto dibattuto negli ultimi anni).
Fino a 73 anni Tabei raggiunse ogni estate la vetta del Monte Fuji, 3776 metri, accompagnando classi del liceo e altri studenti della sua città natale, gravemente colpita dal terremoto e dallo tsunami del 2011. Tabei era sposata e aveva due figli, una femmina, Noriko, e un maschio, Shinya.
fonte: www.ilpost.it
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Libri: "Chocolate & The City" l’autrice racconta il coraggio di cambiare
Ascoltatevi profondamente
Non zittite la vostra voce interiore
Lasciate parlare la vostra essenza
Fate chiarezza in voi stesse
E trovate il coraggio di diventare chi volete essere
Perché chiunque, in ogni momento, ha il potere di cambiare la propria vita
Sara ha tutto quello che la gente potrebbe desiderare: un bel lavoro che la fa guadagnare bene, un fidanzato premuroso, amiche presenti e una vita stimolante a Londra, una delle più belle città al mondo. Eppure quest’esistenza all’apparenza così perfetta non la soddisfa e non la rende felice. Manca qualcosa. Ma cosa?
Sara lo scoprirà rispondendo ai dubbi che da tempo le frullavano in testa grazie all’aiuto, arrivato quasi per magia, di una ragazza conosciuta per caso. Un’amica che ti invoglia a ragionare fuori dai soliti schemi e ti spinge a mettere da parte il “sentire comune” per ascoltare te stessa. E, finalmente, scoprire dove stai andando e chi vuoi diventare.
La penna è quella di Rona Persichetti, già autrice del libro di formazione al femminile “Una spa per la mente”, nel quale sotto forma di una chiacchierata tra amiche, spronava le donne a trovare il giusto compromesso tra lavoro e vita. Personale, ovviamente.
Se state pensando che “Chocolate & The City”, e la sua protagonista Sara, potrebbero diventare il vostro mentore nella costruzione dell’esistenza che desiderate, ci avete visto giusto.
E, allora, cosa aspettate? “Chocolate & City. Diario di un’italiana a Londra, tra lusso e Nutella” si può acquistare cliccando qui.
Ma come nasce “Chocolate & The City. Diario di un’italiana a Londra, tra lusso e Nutella”? Lo abbiamo chiesto all’autrice Rona Persichetti…
«Il libro è nato dall’ultima pagina e l’ho scritto quasi a ritroso. Ma d’altronde, quando hai qualcosa da dire le parole vengono da sé. Era, infatti, diverso tempo che avevo in mente di mettere nero su bianco una storia che raccontasse le difficoltà incontrate da molte donne nel mondo del lavoro. Un universo che troppo spesso “risucchia”, obbligandoti a rincorrere il tempo che sembra non bastare mai e a conformarti agli stereotipi imposti dalla società. Argomento che conosco bene, visto che ho lavorato come avvocato d’affari in Italia e poi a Londra, dove ho vissuto per cinque anni conseguendo un master in business administration. “Chocolate & The City”, infatti, è un libro semi autobiografico!»Perché hai pensato fosse importante raccontare questa esperienza?
«Le donne devono sapere di potercela fare. Tutti, in qualsiasi momento, possono cambiare il corso della loro esistenza. Devono solo volerlo. Per arrivare al cambiamento è, però, necessario intraprendere un percorso. Un viaggio all’interno del proprio “io”, iniziando (forse per la prima volta!) ad ascoltarsi profondamente, lasciando parlare la propria essenza, facendo chiarezza tra i pensieri e i desideri. L’innesco del processo è, purtroppo, l’insoddisfazione che porta all’infelicità.Ecco perché è così importante cambiare le cose. Lo so perché io stessa ho seguito corsi di formazione e crescita personale, e oggi faccio coaching. Do sostegno a chi inizia a farsi delle domande, aiuto le persone a fare chiarezza e a essere consapevoli delle risorse delle quali dispongono. Infatti, spesso non manca il coraggio di cambiare le cose: la difficoltà sta nel chiarirsi le idee e decidere di conseguenza. In questo caso, avere “una spalla” con la quale confrontarsi può essere molto utile».
L’esperienza di Sara insegna. Ed è anche molto divertente…
«Il libro è ironico. Un po’ perché la leggerezza fa parte del mio stile di scrittura e, dall’altra, perché adattarsi ad abitudini e usanze di un Paese diverso dal proprio implica comunque alcuni divertenti malintesi. Per esempio, l’utilizzo della parola “Lovely”. Gli inglesi la ripetono continuamente, inducendoti a pensare che apprezzino molto quello che hai fatto. E invece… significa semplicemente OK!»Come tenere sotto controllo il timone per non andare fuori rotta?
Seguendo questi tre consigli:- Non identificatevi mai e poi mai con il vostro lavoro. Tutti noi abbiamo più identità: siamo professioniste ma anche sorelle, mamme, mogli.
- Non abbiate mai paura di cambiare. Non si è mai troppo vecchi per seguire le proprie passioni. E se ti accorgi che non lo stai facendo…
- Imparate a dire di “no” a tutti gli obblighi che rubano il vostro tempo di qualità senza darvi nulla in cambio. fonte: Elena Gregoriani www.ragazzamoderna.it
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Arte: C’è un’app che funziona come Shazam ma per i quadri
Distinguere un’opera di William Turner da una di John Constable potrebbe
rivelarsi un’operazione complicata, soprattutto se il dipinto della
discordia è La dimora del tempo sospeso. Riconoscere un
paesaggio di Ottone Rosai? Ancora più difficile.
Ma se Shazam ci ha semplificato le cose in materia musicale, Magnus corre in nostro soccorso per colmare ogni tipo di lacuna pittorica. L’applicazione, disponibile sull’App Store e su Google Play Store, offre infatti agli utenti la possibilità di ottenere qualsiasi tipo di informazione su un’opera d’arte scattando una semplice foto.
PER APP STORE CLICCA QUI
Il progetto prende il nome dal suo ideatore, Magnus Resch, sviluppatore tedesco noto per aver realizzato Larry’s List, il più grande database di arte contemporanea (con oltre otto milioni di opere), e ha incontrato numerose difficoltà durante il periodo di creazione. «Ci sono stati molti ostacoli per dare vita a uno Shazam dell’arte», ha spiegato Resch al New York Times. «Questo perché c’è molta più arte nel mondo di quante siano le canzoni. Ci sono voluti tre anni per catalogare tutto». Il modo in cui funziona è identico a quello di Shazam. Grazie alla tecnologia di riconoscimento delle immagini, è necessaria una semplice foto per scoprire il nome dell’autore del dipinto, che sia Philip Pearlstein o Francis Bacon, e le informazioni relative. Dalla valutazione economica, sino al materiale utilizzato.
Ma Magnus non è la sola applicazione che ha cercato di catalogare l’intero mondo dell’arte. In un momento in cui Plantnet (Shazam per le piante) e StyleSnap (app di Amazon che sfrutta l’intelligenza artificiale per fare ricerche partendo dalla foto di un vestito) si sono palesate sul mercato, l’arte non avrebbe potuto essere da meno. Tra le novità, Smartify, su cui i musei possono caricare le versioni digitalizzate delle proprie collezioni, e i nuovi progressi di Google Lens (la tecnologia avanzata di riconoscimento delle immagini di Google), che a giugno ha annunciato una partnership con il de Young Memorial Museum di San Francisco.
fonte: www.rivistastudio.com
Ma se Shazam ci ha semplificato le cose in materia musicale, Magnus corre in nostro soccorso per colmare ogni tipo di lacuna pittorica. L’applicazione, disponibile sull’App Store e su Google Play Store, offre infatti agli utenti la possibilità di ottenere qualsiasi tipo di informazione su un’opera d’arte scattando una semplice foto.
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Il progetto prende il nome dal suo ideatore, Magnus Resch, sviluppatore tedesco noto per aver realizzato Larry’s List, il più grande database di arte contemporanea (con oltre otto milioni di opere), e ha incontrato numerose difficoltà durante il periodo di creazione. «Ci sono stati molti ostacoli per dare vita a uno Shazam dell’arte», ha spiegato Resch al New York Times. «Questo perché c’è molta più arte nel mondo di quante siano le canzoni. Ci sono voluti tre anni per catalogare tutto». Il modo in cui funziona è identico a quello di Shazam. Grazie alla tecnologia di riconoscimento delle immagini, è necessaria una semplice foto per scoprire il nome dell’autore del dipinto, che sia Philip Pearlstein o Francis Bacon, e le informazioni relative. Dalla valutazione economica, sino al materiale utilizzato.
Ma Magnus non è la sola applicazione che ha cercato di catalogare l’intero mondo dell’arte. In un momento in cui Plantnet (Shazam per le piante) e StyleSnap (app di Amazon che sfrutta l’intelligenza artificiale per fare ricerche partendo dalla foto di un vestito) si sono palesate sul mercato, l’arte non avrebbe potuto essere da meno. Tra le novità, Smartify, su cui i musei possono caricare le versioni digitalizzate delle proprie collezioni, e i nuovi progressi di Google Lens (la tecnologia avanzata di riconoscimento delle immagini di Google), che a giugno ha annunciato una partnership con il de Young Memorial Museum di San Francisco.
fonte: www.rivistastudio.com
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