sabato 12 ottobre 2019

Libri: 'L'ignoranza dei numeri', un poliziesco ma non solo. Il romanzo di Francesco Paolo Oreste, prefazione Erri De Luca

Il romanzo di Francesco Paolo Oreste, prefazione Erri De Luca.

Napoli. Chi scrive è un poliziotto e svolge la stessa professione del protagonista del suo libro, Romeo Giulietti. Ma, come sottolinea nella prefazione Erri De Luca, "se questo fosse il libro di uno scrittore di storie poliziesche, mi sarebbe caduto di mano. È invece il libro di un uomo che ha messo la sua esperienza e la sua professione di fede nella giustizia dentro una storia aspra e saggia". 

'L'ignoranza dei numeri', una storia 'di molti delitti e di poche pene' è il nuovo libro di Francesco Paolo Oreste, edito da Baldini+Castoldi. "Mi sono trovato dentro Napoli, nel suo metabolismo famelico, in mezzo ai suoi febbrili anticorpi, e ne sono uscito a fine storia, accompagnato all'uscita con un foglio di via, altrimenti sarei rimasto dentro", aggiunge ancora De Luca.

Il romanzo di Francesco Paolo Oreste si annovera nel genere poliziesco,la risoluzione di un omicidio nel caleidoscopio della Napoli, città metropolitana, ma non si esaurisce in esso; si presta, infatti a tante letture. Certamente una socio- antropologica: si racconta, si descrive la Città del mare e del Vesuvio, ma anche delle " palazzine", degli stradoni, degli incroci, dei bar/ edicole. delle rotonde, che dividono strade , ma all'occorrenza uniscono persone, quelle persone che vogliono che il loro territorio, tante volte stuprato, offeso,sfruttato, non riceva l'onta di diventare la pattumiera più grande d'Europa.

Ed arriva la lettura di taglio ambientalista e civile: un Parco da tutelare, la salute dei figli da assicurare; una Terra che produce albicocche, pomodorini e viti, non può essere sommersa dai rifiuti provenienti da ogni dove, rifiuti speciali che concimano di veleno le terre vesuviane e che mettono una pesante ipoteca sul futuro dei suoi abitanti. Ma nella Protesta i cittadini da vittime diventano colpevoli; lo Stato, quello che dovrebbe tutelarli li attacca, li bastona, impedisce loro di prendersi cura della propria Terra, di difendere la propria salute e quella dei propri figli.

Chi ha vissuto quei giorni conosce bene il clima di "Stato d' assedio" che si viveva, la percezione di essere considerati alla stregua di malviventi da parte di chi dovrebbe proteggerti dai malviventi.
E l'ispettore Giulietti, che è uomo di Legge, che non riesce a condividere la Legge al di fuori della Giustizia, del riconoscimento di quella dignità che ciascun cittadino deve avere garantita, non può non schierarsi dalla parte del popolo, dalla parte di chi riceve l'offesa di essere schiacciato nelle idee e nel corpo. Ogni personaggio incontrato nel romanzo è vestito di quel rispetto di quella dignità che fa chiedere scusa a Giulietti, per sé e per gli altri.

L'ignoranza dei numeri si legge, quindi anche come un romanzo d'amore: amore per la Terra, per i suoi cittadini, per il proprio lavoro, per la Legge, per la Giustizia; in tutto il romanzo si respira questa dimensione: ciascun personaggio è raccontato con lo sguardo di chi non annulla le Persone; Giulietti, infatti, valuta le situazioni, non giudica le persone anche quelle più "grigie": se ad un ragazzino di dieci anni si chiede di " fare l'uomo di casa" e non di essere bravo a scuola che colpa ha se poi ciò che impara è scippare nelle auto? Poi c'è l'amore per Rebecca, amarena e cioccolato, le poesie che di quell'amore si fanno voce, il mare che a quell'amore offre rifugio. Francesco Paolo Oreste, con questo romanzo allontana la Città da Gomorra e la avvicina a Partenope; a quell' Amore steso tra l'azzurro del cielo e del mare, in un lembo di terra che dell' Amore ha acquisito fantasia e disperazione, e Compassione, la " partecipazione con".

E tutto questo l'autore lo vive intensamente e lo racconta con uno stile fluido che interseca il racconto a dialoghi " leggeri" che si ispirano al teatro tradizionale napoletano, e tra le righe affiora la musica e qualche verso di Pino.
fonte:  Redazione ANSA www.ansa.it/campania

Lgbt. Monica Cirinnà: "COMING OUT DAY" È ORA DI UNA LEGGE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Oggi celebriamo il Coming out day. Una giornata dedicata alla bellezza della libertà, all’importanza di essere se stessi e di dimostrarlo al mondo.

Dobbiamo però ricordare anche le molte, troppe situazioni in cui fare coming out comporta rischi o è addirittura impossibile, per le resistenze culturali, per i troppi pregiudizi che ancora sono presenti. Come dimostrano i risultati dell’indagine dell’Eurobarometro, resi noti ieri, l’Italia è stabilmente al di sotto della media europea per tasso di discriminazione delle persone LGBT+.
In altri Paesi, addirittura, fare coming out è pericoloso perchè esistono leggi assurde che ancora criminalizzano chi sceglie di essere e amare chi vuole. Dai Paesi in cui queste leggi esistono provengono molti richiedenti asilo, ai quali non possiamo voltare le spalle: quelli non sono e non saranno mai paesi sicuri, voglio ribadirlo oggi.

Per questo, scelgo questa giornata per lanciare un appello alla Presidente del Senato e ai colleghi di maggioranza: in Senato sono stati depositati alcuni testi contro l’omobitransfobia, tra cui quello a prima firma della collega Maiorino di M5S e quello a mia prima firma. Sono testi equilibrati, largamente sovrapponibili, che possono rappresentare una utile base di confronto per dare all’Italia una legge attesa da troppo tempo, che completi e renda effettivo il quadro delle misure di contrasto alle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.
Ne ho già chiesto la calendarizzazione e oggi chiedo a Lei, Signora Presidente, e ai capigruppo di maggioranza in Commissione Giustizia di fare in modo che il Senato possa al più presto iniziarne l’esame.
Non possiamo perdere altro tempo.
Monica Cirinnà.
fonte:  www.monicacirinna.it/

Si schiera coi curdi e parla di diritti Lgbt: Claudio Marchisio è la nuova icona social della sinistra

Da calciatore a influencer politico: la straordinaria parabola umana e social dell'ex campione della Juventus.

In foto:  Claudio Marchisio ha vinto 7 scudetti con la Juventus tra il 2008 e il 2018. Credit: Afp/Silvia Lore / NurPhoto

Claudio Marchisio, nuova icona social della sinistra: dai curdi ai diritti Lgbt
"Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini…’, questo scriveva Anna Frank nel suo diario, nel 1942. Oggi, 77 anni dopo, è iniziato il bombardamento della Turchia contro i Curdi in Siria. Una vergogna per tutta la comunità internazionale. Sentiamoci pure responsabili per ogni vittima”. A scrivere questo post, ieri, giovedì 10 ottobre, sui suoi profili social, non è stato un politico, né uno scrittore, un pensatore, un filosofo o un intellettuale. Che ci crediate o meno, queste parole le ha scritte un calciatore.

Da pochi giorni un ex calciatore. Non uno qualsiasi. Uno che è stato capitano della Juventus e, per almeno un lustro, titolare fisso della Nazionale italiana. Il suo nome è Claudio, di cognome fa Marchisio. E per capire chi è davvero e dove nasce questo post, diventato in breve virale, occorre fare almeno tre salti a ritroso nel tempo.

L’ultima stagione calcistica, allo Zenit di San Pietroburgo, è stata la più lunga, difficile, dolorosa e illuminante della carriera di Claudio Marchisio. I numeri dicono molto, ma non tutto: 15 partite giocate, 2 gol segnati, 148 foto pubblicate su Instagram. Claudio in campo è un “vecchio” atleta che lotta contro un corpo che a 33 anni ha smesso di assisterlo, a un’età (e in un’epoca) in cui la maggior parte dei suoi colleghi sono ancora all’apice della forma.

Fuori è un uomo risolto, intelligente, colto, maturo, che legge saggi e romanzi, visita musei e luoghi d’arte, esplora le meraviglie dell’ex capitale zarista, quando parla o concede un’intervista non è mai banale. E, soprattutto, fa Politica. Quella con la P maiuscola. Prende posizione. Sempre. Anche quando non è comodo o conveniente e su temi che non ti attenderesti di vedere uscire dalla bocca di un giocatore di calcio: migranti, clima, ambiente, diritti Lgbt, le lotte sindacali dei pastori sardi.
Gli ultimi mesi a San Pietroburgo sono la fotografia esatta – e, in qualche modo, un antipasto – della seconda vita del “Principino”: un neo nell’universo banale, ipocrita, convenzionale e iper-standardizzato del calcio italiano e mondiale. Non è un caso se, meno di tre mesi dopo, Claudio Marchisio in una conferenza stampa affollata a Torino pronuncia le sue ultime parole da calciatore.

“Avevo fatto una promessa al bambino che sognava di diventare un calciatore. Avrei continuato a giocare fino a quando, mettendo piede in campo, avessi sentito la meraviglia del sogno che si stava avverando. Negli ultimi mesi ho vissuto un contrasto tra mente e cuore e ho capito che stavo venendo meno alla mia promessa. Ci sono momenti in cui è giusto che il cuore prevalga sulla mente, per questo preferisco fermarmi.Lo faccio senza ripensamenti, insieme alla mia famiglia, che mi ha insegnato a guardare al futuro con curiosità, senza timore. E allora grazie sogno! Perché mi hai dato forza, coraggio, successo e soprattutto mi hai reso felice!”.

Sembra la fine, e invece è solo l’inizio. O, meglio, l’inizio ufficiale di un’avventura umana che era cominciata due anni e mezzo prima, quasi per caso, il 24 marzo 2017, pochi giorni prima della finale di Champions League col Real Madrid, quando un’imbarcazione carica di migranti si rovescia al largo della Libia: 34 i morti, tra cui anche diversi bambini. Claudio legge e si sfoga su Instagram: “Viaggi della speranza che finiscono in tragedia per molte persone! Ancora corpi senza vita nel Mediterraneo. Come sta cambiando il mondo?” .

È la prima volta che Marchisio prende una posizione così forte e netta sui social, e le reazioni non tardano ad arrivare. In un florilegio di commenti entusiasti, arrivano anche le critiche, alcune pesantissime, cariche d’odio: “Pensa alla Champions che è più importante di questi 4 monnezzari”.
Il 20 giugno del 2018, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, compare in una foto in bianco e nero con un cartello dell’Unhcr in mano e un hashtag, #withrefugees, accompagnato da un breve testo: “E tu da che parte stai?”.  Anche in quel caso fioccano le reazioni positive, in mezzo all’immancabile vomito delle “bestie”. Claudio alza le spalle e tira dritto.
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fonte: Di Lorenzo Tosa www.tpi.it

martedì 8 ottobre 2019

Cinema: "La scomparsa di mia madre" di Beniamino Barrese. Nelle sale da giovedì 10 ottobre 2019

Un corpo a corpo tra Benedetta Barzini, prima italiana a posare per Vogue, e la macchina da presa di suo figlio. Beniamino Barrese racconta sua madre, Benedetta Barzini, top model negli anni 60, musa di fotografi e artisti, da Irving Penn a Richard Avedon, da Andy Warhol a Salvador Dalì.

Durante il casting per un film a lei dedicato, alcune modelle cercano di entrare nel personaggio della top model Benedetta Barzini, la prima modella italiana a comparire nel 1963 su "Vogue" America per volere della leggendaria fashion editor Diana Vreeland (immortalata nel documentario di Lisa Ammordino). 
Ma quest'inizio in chiave fiction, con luce artefatta da photoshooting è un depistaggio: qualcosa che, per contrasto, faccia risaltare la reale natura di Barzini, imponendosi con forza su quella bidimensionale, amplificata dalle passerelle, dalle cover di riviste come "Harper's Bazaar" agli altri media.

"Ho passato la vita a filmare e fotografare mia madre, senza sapere perché. È stata la mia prima modella, la mia preferita. Quando mi ha detto di aver deciso di andarsene e di non tornare mai più, ho capito che non ero pronto a lasciarla andare".  Beniamino Barrese.  PER IL TRAILER CLICCA QUI

Come esergo al suo lungometraggio d'esordio, selezionato dal Sundance 2019 nella sezione World Cinema Documentary, Beniamino Barrese (1986), figlio della fotomodella di fama mondiale nata nel 1943, pone questa dichiarazione per spazzare via ogni equivoco: La scomparsa di mia madre non vuole essere biopic di fiction né documentario informativo, celebrativo o testamentario (alla Franca: Chaos and Creation di Francesco Carrozzini). Anzi, è quasi chirurgico nel non dare coordinate su famiglie e parentele, e sbrigativo nel sintetizzare il periodo newyorkese trascorso a braccetto con star dell'arte e del jet set tanto quanto nel motivare una recente sessione di lavoro alla London Fashion Week.

È molto concentrato sulla ricerca di riappropriazione di un'immagine nella sua autenticità, sul tentativo di sottrarre un viso, un corpo, allo sguardo del sistema moda e alla sua rappresentazione convenzionale per restituirlo ai momenti più ordinari, agli atteggiamenti meno glamour. Al tempo stesso è il sogno di comporre e trattenere, da figlio, l'essenza di una "super madre", per di più riluttante, per non dire recalcitrante, ad essere ripresa (anche se come attrice è comparsa come madre di Luca Marinelli in Tutti i santi giorni di Paolo Virzì). Ad essere seguita nella sua quotidianità post hippie (che qui comprende anche una visita pseudo estemporanea della collega e coetanea Lauren Hutton), vissuta però con la stessa ieratica nonchalance di quando - cigno, donna aliena, scultura di Giacometti - posava davanti agli obbiettivi di noti fotografi. 

Mentre Edipo impazza e riecheggia quasi ad ogni inquadratura, il regista - ma meglio sarebbe dire i registi, visto che ciò che deve stare in campo è frutto di una negoziazione continua tra madre e figlio - rende conto della loro relazione fusionale ma anche di un percorso emblematico di emancipazione: l'evoluzione di una donna che si è sottratta consapevolmente allo stesso sistema capitalista di cui è stata meccanismo per oltre un decennio. E che poi da giornalista, docente di antropologia della moda, femminista (recuperare l'intervista in Lievito madre di Concita De Gregorio ed Esmeralda Calabria per approfondire le sue posizioni) ne ha smontato il linguaggio e la violenza.

Se al centro del discorso, oltre al desiderio di fuga e anonimato della protagonista, c'è un conflitto sui limiti del rappresentabile, non c'è dubbio che un elemento invisibile risalti con forza: l'amore incondizionato e parossistico tra i due.
Nell'ossessività connaturata a questo corpo a corpo, letteralmente esclusivo, tra il giovane filmmaker e la ex modella, che oggi sono agli antipodi quanto a desiderio di visibilità, il ritratto di donna anticonvenzionale, che qui gioca sempre a depotenziare, demistificare se stessa ("la mia faccia non è in vendita", o "la bellezza non è un merito", dice preparandosi a ricevere un'onorificenza ufficiale) trova una propria forma anche nella scelta di usare il più possibile la luce naturale e nell'armonia tra materiali e supporti diversi: il digitale della camera a mano, la pellicola a 16 e 35mm degli anni del successo e della prima maternità, gli home movies video sgranati di Barrese ragazzino, gli inserti televisivi.
Che il desiderio di scomparire sia effettivo o simbolico non è poi così rilevante: resta un insistente, liberatorio appello a rivendicare la propria indipendenza e individualità, che si muove tra filtratissimi cenni biografici, gesti prosaici in spregio all'ossessione estetica e rari, abbacinanti lampi di tenerezza e gioco.
fonte:  Recensione di Raffaella Giancristofaro www.mymovies.it

Lgbt. Florence Queer Festival 2019: il 15 ottobre apre l'edizione 17 a Firenze

Diretto da Bruno Casini e Roberta Vannucci nuove date per l’edizione 2019 del Florence Queer Festival ma stessa location: dal 15 al 20 ottobre al Cinema La Compagnia di Firenze.

Alcune anticipazioni su un programma che porterà nel capoluogo toscano il meglio delle produzioni cinematografiche del settore, approfondimenti, presentazioni di libri e due esposizioni con un fil rouge: l’impegno politico e sociale.
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Si apre infatti con un documentario in anteprima italiana che arriva dalla Francia e racconta il percorso di origine del “pride”, delle lotte per i diritti e l’uguaglianza.”The spark” di Benoît Marocco aprirà la prima notte del FQF. San Francisco, Parigi, New York: dalle repressioni del movimento negli anni ’60 alle battaglie per i matrimoni degli anni 2000. Il quarantenne Benoît è al suo quarto film con Spark ma attivo come regista, ma anche come giornalista e autore ormai da una ventina di anni e la proiezione fiorentina sarà la prima italiana. Il 15 ottobre si apre già nel pomeriggio alle 17,30 con la proiezione di due documentari: Fuori!Storia del primo movimento omosessuale in Italia e Pisa 1979-2009, la prima marcia gay 30 anni dopo.

Il FQF19 quest’anno ha selezionato numerosi documentari per raccontare il mondo LGBTQI* di fronte alle nuove sfide sociali e politiche. Doc italiani come quello firmato da Carlotta Cerquetti, Linfa, un racconto musicale sulla scena underground trans-queer- femminista di Roma Est. Doc che provengono dall’altra parte dell’oceano per raccontare l’America, gli Stati Uniti del sud subito dopo le elezioni del 2016 grazie al tour del Gay Men’s Chorus di San Francisco (Gay Chorus Deep South - di David Charles Rodrigues, Usa, 2018).
Già nel 2018 in FQF aveva dato spazio a film che ripercorrevano la storia delmovimento e quest’anno non si è fatto scappare un altro documentario, quello di Megan Rossman, The archivettes, sulla nascita del Lesbian Herstory Archives, il più grande archivio al mondo sulla storia e cultura lesbica. Il racconto di una squadra di volontarie che per 40 anni si sono dedicate alla raccolta ed archiviazione di informazioni e notizie sul tema per sconfiggere la paura dell’oblio.

Omaggio a Barbara Hammer, recentemente scomparsa, con History Lessons, irriverente lavoro in cui la regista ripercorre la storia del movimento lesbico manipolando proprio i materiali di archivio, peep show e melodrammi lesbici vintage. Altro documentario che scava in immagini d’archivio, anche se più recenti, Generazione Diabolika, di Silvio Laccetti: immagini di repertorio e interviste per raccontare il party Diabolika, del Muccassassina, che all’inizio del nuovo millennio è diventato un vero e proprio fenomeno sociale.

Ci siamo tenuti per ultima la segnalazione di MAPPLETHORPE di Ondi Timoner (Usa 2018, 102’): biopic che esplora l’arte e la sessualità di uno dei più noti fotografi del secolo scorso, Robert Mapplethorpe, famoso per i suoi scatti di nudi in black&white, scomparso giovanissimo, nel 1989, di aids.

Non possiamo non segnalare altri tre titoli importanti del programma di questa edizione. Orpheus’song di Tor Iben, regista di Where are you going habibi?, Wild nights with Emily di Madeleine Olnek e Vita e Virginia di Chanya Button due lungometraggi dedicati, il primo a una insolita Emily Dickinson e l’altro all’amore tra Vita e Virginia (Woolf).

Il FQF19 rinnova la sua attenzione alle nuove leve del cinema dedicato all’universo gay lesbico, bisex e transgender con la proiezione, tutti i pomeriggio, dalle 17,15, dei corti selezionati per il VideoQueer: corti e cortissimi che arrivano da tutto il mondo. Ricordiamo poi che il Festival proporrà non solo cinema, anche mostre. A cura di Bruno Casini e Luca Locati Luciani “Over the Rainbow 1969-1989. Vent'anni di clubbing e culture LGBT+, da New York a Firenze”. Che connessione c’è tra i movimenti di Stonewall Inn e il capoluogo toscano? Un mese prima degli eventi d’oltre oceano uno sparuto gruppo di omosessuali aveva distribuito volantini per protestare contro le persecuzioni omotransfobiche messe in atto dalla polizia fiorentina a seguito dell’omicidio di Ermanno Lavorini avvenuto a Vecchiano il 31 gennaio di quell’anno. In esposizione ci saranno volantini, riviste e memorabilia di gruppi LGBT+ come il Fuori!, il collettivo Boccadoro o Linea Lesbica Fiorentina.

Altra mostra, sempre al Cinema La Compagnia, a cura di Sandra Nastri, Gianna Parenti*Eva Von Pigalle, un corpo che cambia...sulla scena, sulla tela, nella sua vita. Attrice, modella, pittrice, attivista e co-fondatrice del MIT (Movimento Italiano Transessuali). A dieci anni dalla scomparsa, un omaggio alle sue molteplici vite attraverso polaroid, abiti di scena, foto. Un assaggio che vi aiuterà a apprezzare appieno la scelta della Direzione di inserire in programma Splendori e miserie di Madame Royale di Vittorio Caprioli (16 ottobre ore 15,30), film del 1970, che vede un Ugo Tognazzi nei panni di Alessio, ex ballerino omosessuale che per amore di una figlia trovata fa di tutto pagando un prezzo salatissimo.

Non ci resta che ricordare anche che il FQF non è solo cinema ma anche presentazioni di libri 
(I movimenti omosessuali di liberazione, Sguardi che contano, 1969-1989: Venti anni di clubbing e culture lgbt a Firenze, solo per citarne alcuni) e incontri. Il 19 ottobre alle 11 una mattinata dedicata alla memoria di Derno Ricci, fotografo ritrattista naturalista, a dieci anni dalla sua scomparsa.
Anticipazione il 14 ottobre alle 18,30 a Villa Rosa in Piazza Savonarola a Firenze per una Lecture tenuta dal vice Direttore della Syracuse University, Bob Vallier, dal titolo “The stateof quel theory today”.  Il Florence Queer Festival è organizzato dall’associazione Ireos - Centro Servizi Autogestiti per la Comunità Queer di Firenze, in collaborazione con Arcilesbica Firenze e Music Pool, con il contributo della Regione Toscana.

Infoline:
Ireos: 055 216907 MusicPool: 055 240397
info@florencequeerfestival.it
Tutte le proiezioni sono vietate ai minori di 18 anni.
Ufficio Stampa, Isabella Mancini, isabellamancini@gmail.com, 3391156877

Ecco alcuni dei trailer dei film del Festival mentre, in file separato, troverete tutto il
programma del cinema, delle presentazioni dei libri e degli eventi collaterali.  
THE SPARK -  the origins of pride - Benoît Masocco (PRIMA ITALIANA)
Per il Trailer clicca QUI  
VITA & VIRGINIA - Chanya Button PRIMA ITALIANA)
Per il Trailer clicca QUI 
MAPPLETHORPE - Ondi Timoner (trovi anche immagini risoluzione stampa clicca QUI
Per il Trailer clicca QUI  
WILD NIGHTS WITH EMILY - Madeleine Olnek
Per il Trailer clicca QUI
fonte: Isabella Mancini Comunicazione

lunedì 7 ottobre 2019

"Yuli - Danza e Libertà" La storia di Carlos Acosta, in arte Yuli, vera e propria leggenda della danza

La storia di Carlos Acosta, ballerino cubano ritiratosi dalle scene nel 2015 dopo una straordinaria carriera nelle più grandi compagnie del mondo, in particolare presso la Royal Ballet di Londra. 

Bambino indisciplinato che vive coi genitori e le due sorelle a L’Havana, Carlos viene costretto dal padre – che lo ha soprannominato Yuli in onore di una divinità afroamericana – a frequentare la rinomata Escuela Nacional Cubana de Ballet, assecondando così un naturale talento per la danza. 
Dopo anni di esercizi e scontri gli insegnanti, di difficoltà economiche e piccole umiliazioni, Carlos riuscirà a vincere un’importante concorso a Losanna, e da lì a conquistare il mondo, senza mai dimenticare le origini e il legame con la famiglia.

La regista basca Icíar Bollaín porta sullo schermo l’autobiografia di Acosta ‘No Way Home’ replicando nel film la struttura del testo di partenza: lo stesso Acosta è presente in scena come una sorta di narratore interno, commentando la sua vita con alcuni numeri di danza di cui è coreografo o direttamente protagonista.

Nella mitologia yoruba e nei culti afroamericani, Yuli è il figlio di Ogun, semidio della guerra e del fuoco: un combattente, un guerriero. Carlos Acosta, oggi ex ballerino alle soglie dei cinquant’anni, nel mondo della danza contemporanea è stato il primo “principal” di colore del Royal Ballet, un guerriero anche lui, un ballerino rivoluzionario.

Il paragone tra il protagonista e la figura mitologica a cui è stato accostato dal padre («Un uomo che mi ha amato alla sua maniera e secondo le sue regole», dice Acosta), è ribadito a ogni passaggio come la principale chiave di lettura del film: Yuli - Danza e libertà è la storia di una battaglia interiore, la conquista del mondo da parte di un eroe di strada. Dai vicoli di L’Havana e dalla breakdance ballata sull’asfalto, Carlos approda alla danza classica e ai grandi palcoscenici; impara a controllare l’esuberanza caratteriale e traduce la potenza esplosiva del suo fisico in una compostezza di estrema eleganza. Il suo percorso conduce dal caos al controllo assoluto, dall’anarchia all’arte.
Costruito come un classico racconto di formazione, il film è giocato su un doppio binario espressivo: la ricostruzione della vita di un bambino (e poi di un ragazzo) mezzosangue cresciuto in una Cuba impoverita dall’embargo americano – figlio di genitori separati, legato alle due sorelle maggiori e da adulto costretto a soffrire da lontano per la schizofrenia di una delle due – e il lavoro del vero Acosta, che coreografa ed esegue con la sua compagnia una serie di numeri che funzionano da commento alle scene di finzione.

L’intento della regista non è però quello di mostrare la forza scenica della danza di Acosta (magari provando ad avvicinare l’operazione che Wenders ha fatto con l’opera di Pina Bausch), ma di prolungare le emozioni costruite ad arte dalla sceneggiatura: il conflitto tra padre e figlio, tra singolo e autorità, tra libertà e costrizione, e poi, nel corso della vita del protagonista, tra ambizione e amore, vicinanza e oblio.

Il Carlos Acosta raccontato dal film è un personaggio monolitico come il semi-dio a cui s’ispira. Nella parabola narrativa tracciata, la sua debolezza è la sua forza, la sua energia alimenta la sua grazia. Lo stile senza fronzoli di Bollaín, che gestisce abilmente toni e colori, momenti di tensione e di scoramento, di felicità e di dolore, serve semplicemente a illustrare un cammino di gloria. Il risultato è un ritratto onesto, molto simile all’album di ritagli di giornale e di fotografie del figlio che il padre di Carlos ha custodito gelosamente per tutta la vita, guarda caso la prima cosa a vedersi nel film…
fonte: Recensione di Roberto Manassero  www.mymovies.it

Lgbt: Helen Mirren: «Se le Terf non accettano che le donne trans sono donne, allora non sono una Terf»

«Se essere una Terf significa non accettare che le donne trans sono donne, allora non sono una Terf».

A dire questo é stata l’attrice premio Oscar Helen Mirren, famosa, principalmente, per aver interpretato il ruolo della Regina Elisabetta II in The Queen, del 2006, nel corso di un’intervista a Radio Times, il 1 di ottobre.

Ma non solo

La Mirren ha anche affermato che il binarismo di genere non esiste. Sono giunta alla conclusione, molto tempo fa, che non c’è il nero e non c’è il bianco, e che siamo tutti, da qualche parte, nel mezzo di un meraviglioso mix di maschile e femminile».

Ognuno di noi é un mondo a sé stante. In ognuno di noi convive sia un lato maschile che un lato femminile. Tutto dipende, solamente, da quale dei due lati prevale di più. E, quest’intervista, dimostra, ancora una volta, che non serve essere geni per capire che ogni persona ha la sua dignità. Che non deve essere buttata nel cesso.

Lgbt: Jan Morris, la transessuale più conosciuta in Inghilterra, ha compiuto 93 anni

Tutti qui in Galles sembrano conoscere Jan Morris. Ha 93 anni e cammina con un bastone. Ha vissuto in questo angolo del Nord del Galles per la maggior parte della sua vita.

In Gran Bretagna è un'amata saggista, storica, giornalista e cronista locale, autrice di più di quattro dozzine di libri, ma è stato solo nell'autunno scorso, quando il suo lavoro più recente, "In My Mind's Eye", è stato trasmesso sui capitoli radiofonici della BBC, che molti dei suoi vicini hanno capito che c'era una celebrità tra loro.

Morris ha vissuto molte vite, ed è impossibile separare chi è ora da chi era prima: James Humphrey Morris, nacque nel 1926 a Somerset, in Inghilterra, e la sua formazione e carriera erano tipiche degli uomini inglesi privilegiati dell'epoca. Era uno studente di coro al Christ Church College, Università di Oxford; ha servito nel 9° Reggimento dei lancieri della regina durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale; all'età di 23 anni si sposò con Elisabetta Tuckniss.
Hanno cresciuto insieme quattro figli (un quinto è morto nell'infanzia). Morris ha lavorato come giornalista per il Times di Londra. Nel 1953, il resoconto esclusivo della storica salita del Monte Everest di Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay ha reso celebre Morris.

Una fama diversa sarebbe arrivata nel 1972 quando, dopo una vita in cui si sentiva intrappolata all'interno di un corpo che sembrava appartenere a qualcun altro, si è sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione di genere. Poche persone hanno capito allora cosa comporta una tale transizione. "Avevo 3 o forse 4 anni quando ho capito che ero nata nel corpo sbagliato, e che dovevo essere davvero una ragazza", scrisse l'autrice, ora conosciuta come Jan, in "Conundrum" (Dilemma), il racconto della sua lotta per riconciliare corpo e spirito.

Il più grande fattore costante della sua vita è stata Elizabeth, che è stata prima sua moglie e poi la sua ex moglie. La coppia si stabilì in Galles e tutt'ora vivono insieme; Elizabeth rimase prevalentemente a casa e Morris viaggiò e scrisse. Ora Morris guarda alla sua vita dalla prospettiva dei suoi 93 anni e ricorda la spedizione dell'Everest. Per farne il resoconto è stato necessario unirsi alla squadra dell'Everest, risalendo i 4.500 metri fino al campo base. "Mi ha cambiato moltissimo la vita", dice, "E ora sono l'unico membro sopravvissuto della spedizione, e mi mancano tutti.

Ora abita la fastidiosa terra di quella che chiama "vecchiaia estrema". La longevità lo ha reso più interessante, pensa, ma non è così divertente quando ce n'è troppa. Non può più viaggiare molto e Elizabeth soffre di demenza.

"In My Mind's Eye", una raccolta di saggi, scritti uno al giorno nel corso dei mesi, rivela che il suo stile di scrittura è più elegante che mai. I saggi alludono alla bellezza degli arcobaleni gallesi, alla follia della politica contemporanea e alla trascendente quotidianità della vita familiare. Scrive anche sull'importanza della gentilezza, per gli altri e per la natura.

Dopo aver vissuto per uguali periodi di tempo come uomo e poi come donna, Morris dice che la transizione che ha fatto molto tempo fa è meno rilevante. "Per me il genere non è affatto fisico, ma del tutto inconsistente. È anima, forse, è talento, è gusto, è ambiente, è come ci si sente, è luce e ombra, è musica interiore, è camminare con il brio o uno scambio di sguardi, è veramente vita e amore più di qualsiasi combinazione di genitali, ovaie e ormoni", scrive in "Conundrum".
fonte: https://www.kienyke.com via notizielgbt.blogspot.com