martedì 14 gennaio 2020

Barbara Alberti intervista Drusilla Foer

Oggi vi parlo di Drusilla Foer, signora aristocratica e musa di grandi artisti, amica di Tina Turner e cantante jazz. All'anagrafe si chiama Gianluca Gori

Ostinarsi a vivere all’antica come faccio io (la mia resa alla modernità s’è fermata al computer e a un vecchio Nokia) porta dei vantaggi, risparmia dalla galera d’essere sempre connessi, a disposizione di chiunque- ma  si perdono anche tante cose.

Io avevo perso Drusilla, l’ultima divina. Un giorno accendo la tv e la vedo, signora aristocratica  di un tempo che forse non c’è mai stato, di un garbo impertinente, una creatura che viene dalla luna. È Drusilla Foer. Bella, bionda, agée, in una zona indistinta fra i 58 e i 70 anni, sta su un divano, è sola come un cane, parla a un pesce rosso come a un amante noioso, e insieme si guardano una serie in tv.
Drusilla è la regina del jet-set, inseguita dai fotografi, musa di grandi artisti, figlia di un diplomatico, ha viaggiato in ogni luogo. È spazientita, è snob, populista e classista, assolutista e dubbiosa, “ostile alle chiacchiere inutili”, irreparabilmente innocente. Drusilla è inammissibile, vola sopra ogni correttezza. Irresistibile.  Di una simpatia a un passo dalla commozione.

Da un’intervista:
Domanda: Le dispiace rispondere a qualche domanda?
Risposta: Sono ostile alle chiacchiere inutili.
D- Chi frequenta?
R- Tutti.

D- I suoi amici?
R-  Sono morti. Alla  mia età è un’ecatombe.

D- Cosa le piace in un uomo?
R- le donne dicono sempre lo sguardo, le mani, che mi faccia ridere…a me interessano le natiche e la casa.

D- Il sesso?
R- Lo consiglio a chiunque. Specie da quando il Santo Padre ha ammesso l’uso del preservativo.

D- Lei parla male delle gradi griffe, ma è un’icona di stile.
R-  Per forza, le altre sono tutte morte. Penso a Carla Bruni, poveretta, tremenda, una commessa vestita da Jackie Kennedy.

D- Che rapporto ha con la morte?
R- Cordiale. Quando viene me ne vado io, non c’è conflitto. Sia chiaro che quando muoio voglio essere buttata via. Mi piacerebbe diventare un fogliolino fra due strati di buona mortadella.

D- Lei è molto amica di Tina Turner?
R- Sì, siamo come sorelle. Sua madre era a servizio dalla mia.

D- Direbbe mai una cosa poco chic come “buon appetito” ?
R- A una cena racée non lo direi mai, ma se qualcuno lo dice sono contenta, è così allegro!

Drusilla ha un grande dono: canta meravigliosamente, con una voce che può essere sottile o roca o potentissima, le fa fare quello che vuole, dal jazz alla canzone napoletana.

E poi, da troglodita della comunicazione, ho scoperto ciò che tutti sapevano, visto che  Drusilla da anni faceva impazzire il web, ed era famosa anche in tv. Ho scoperto che Drusilla non esiste. Drusilla è la creazione di un geniale artista senese, che l’ha inventata e la impersona: Gianluca Gori. Drammaturgo, attore, cantante, è un giovanotto snello, altissimo, elegante e bello, spiritoso e malinconico, che un giorno la inventò per gioco, e da allora non si sono più lasciati.

Gianluca Gori è nato in palcoscenico. Tutta la famiglia lavorava al teatro Oriolo- Piccolo Stabile di Firenze – dietro le quinte. Il nonno illuminotecnico, la sorella della nonna sarta teatrale e ricamatrice. Il padre, direttore di scena, conobbe lì sua madre, anche lei sarta di costumi. Gianluca e i suoi fratelli erano tre figli senza babysitter, e crebbero nel teatro. Prove, veder montare le scene, la musica…un imprinting che è diventato vocazione e destino.

A 20 anni Gori ha fondato la sua prima compagnia, Occupazioni farsesche,  e cantava in un gruppo musicale a cappella, grande scuola per l’uso della voce. Una volta saputo dell’esistenza di Drusilla sono corsa a vederla a teatro, all’Ambra Jovinelli di Roma. La sala era stracolma, e alla fine non volevano lasciarla andar via, la richiesta dei bis era imperiosa. Uno spettacolo essenziale- tre in scena: Drusilla, il sassofonista, il pianista. E l’emozione. L’arte di farti passare dal riso al dramma, con una grazia infinita. Drusilla in scena ha qualcosa di dolente e fiabesco. Ha il terzo occhio, l’umorismo. Eccola bella e tragica, vestita d’argento che canta I will survive in una versione malinconica, assolutamente inedita- ecco che fa la pazza planando sul pianoforte a coda, e tutto scorre come una estenuata trasgressione, il sogno d’un sogno.

Alla fine il poeta se ne va, con quel suo viso da gentiluomo raté degli anni 30, e un che di angelicamente depravato. E invece  è un bravo ragazzo che se ne va con la sua valigia da trasformista, attorniato da gente che gli vuole bene. Che invidia, essere Gianluca e Drusilla, che invidia liberasi di sé con un atto magico, che invidia essere due.
fonte:  Di www.confidenze.com

Cecilia Alemani sarà la direttrice della Biennale Arte 2021: tutte le novità

Sarà la prima direttrice donna italiana alla guida della 59. Biennale Arte di Venezia: la meritatissima nomina va alla curatrice milanese, che ha formato gran parte della sua carriera a New York. Tra le novità della Biennale continua però ad aleggiare un grande interrogativo: chi sarà il prossimo Presidente?

Sarà Cecilia Alemani (Milano, 1977) a coprire l’incarico di Direttore del Settore Arti Visive della 59. Esposizione Internazionale d’Arte, che si svolgerà a Venezia nel 2021. Un playground già noto alla curatrice, la quale nel 2017 aveva dato forma al Padiglione Italia portando per la prima volta solamente tre artisti, Roberto Cuoghi, Giorgio Andreotta Calò e Adelita Husni-Bey (e che si era raccontata ad Artribune in una lunga intervista).  Cecilia Alemani. Photo Marco De Scalzi

 

CHI È CECILIA ALEMANI

Tra le tante mostre su autori contemporanei all’attivo, ad oggi la Alemani è responsabile e capo curatore di High Line Art, parco urbano sopraelevato costruito su una ferrovia abbandonata di New York, in cui sono esposti progetti artistici con grande attenzione alla visione internazionale. Tra gli artisti da lei esposti si ricordano El Anatsui, John Baldessari, Phyllida Barlow, Carol Bove, Sheila Hicks, Rashid Johnson, Barbara Kruger, Zoe Leonard, Faith Ringgold, Ed Ruscha, Nari Ward e Adrián Villar Rojas.  “È un grandissimo onore poter assumere questo ruolo in una delle istituzioni italiane più prestigiose e riconosciute al mondo”, ha commentato la neo-direttrice. “Come prima donna italiana a rivestire questa posizione, capisco e apprezzo la responsabilità e anche l’opportunità offertami e mi riprometto di dare voce ad artiste e artisti per realizzare progetti unici che riflettano le loro visioni e la nostra società”. Una carriera brillante costellata di successi, che annovera collaborazioni con musei del calibro della Tate Modern di Londra e del MoMA PS1 di New York, per istituzioni no profit come Artists Space e Art in General (New York) e fondazioni private come la Deste Foundation. Ma la sua presenza è stata anche nelle più importanti fiere del mondo, in particolare occupandosi delle sezioni curate, come ai Frieze Projects di New York (trovate qui una sua videointervista) e nel 2018 il progetto Art Basel Cities di Buenos Aires dal titolo Hopscotch (Il gioco del mondo), presentando una piattaforma di mostre e eventi di artisti soprattutto emergenti, susseguitesi per tutto l’anno. Cecilia Alemani ha dimostrato di incarnare il profilo professionale dei curatori d’oggi, spaziando con molto equilibrio tra manifestazioni di taglio culturale e di taglui commerciale. Dopo le scorse direzioni dell’americano Ralph Rugoff e della francese Christine Macel, insomma, le redini della manifestazione artistica di richiamo mondiale tornano in mano a una professionista nostrana (ma che ha trovato la sua strada oltreoceano) ultraqualificata.

 

LE CONGRATULAZIONI DI FRANCESCHINI

A commentare la nomina, anche il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, che si è espresso così in una nota stampa:  “la scelta di Cecilia Alemani come curatrice della 59. Esposizione Internazionale d’Arte conferma la capacità di visione della presidenza di Paolo Baratta che, nell’affidare per la prima volta a una donna italiana l’intera progettazione artistica, prosegue nell’opera di innovazione e rilancio di una delle più importanti istituzioni culturali incrementandone il già notevole prestigio internazionale consolidato attraverso una conduzione attenta e illuminata. Cecilia Alemani ha curato il Padiglione Italia nel 2017 e sono sicuro che il suo nuovo progetto sarà ugualmente coraggioso e innovativo”.

 

LE ALTRE NOVITÀ DELLA BIENNALE

Nel corso della stessa riunione sono stati presi anche provvedimenti che riguardano altri settori della Biennale: il compositore italiano Ivan Fedele è stato nominato Direttore del Settore Musica, mentre per il Settore Cinema è stata approvata una nuova rassegna che prevede la realizzazione, nel periodo primaverile, di un programma di film classici restaurati, rappresentando una estensione di Venezia Classici, che sempre più ha qualificato negli ultimi anni la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Resta in sospeso una questione fondamentale, quella della nomina del presidente che succederà a Paolo Baratta, ormai giunto alla fine dei cinque anni del suo mandato (qui ci ponevamo gli interrogativi spiegando la situazione). Il Consiglio di Amministrazione ha fatto sapere che a partire dal 13 gennaio 2020 entrerà in vigore la proroga della sua validità, durante la quale verrà accelerata la predisposizione del bilancio consuntivo del 2019, accompagnata da un documento che riassume gli sviluppi intercorsi dal 2008 a oggi.
-Giulia Ronchi
https://www.labiennale.org/it
fonte: www.artribune.com By Giulia Ronchi  

Lgbt: La prima indagine sulla popolazione transgender in Italia

L'obiettivo è fotografare persone spesso emarginate dalla società e dal sistema sanitario.
CHE differenza c’è tra la parola transgender e la parola transessuale? Con quale genere rivolgersi a una persona che non si riconosce nel proprio corpo? Lo smarrimento linguistico di buona parte degli italiani riflette l’imbarazzo del nostro Paese nei confronti delle persone la cui identità di genere non è allineata al sesso assegnato alla nascita. Questo imbarazzo è perfino statistico: ad oggi, non abbiamo idea di quante siano le persone transgender in Italia. Per colmare questa lacuna, Azienda ospedaliera universitaria Careggi, Università di Firenze, Istituto superiore di sanità, fondazione The Bridge con il supporto dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere hanno avviato uno studio di popolazione chiamato SPoT. Un gioco di parole che intreccia la missione dell’indagine, cioè la Stima della Popolazione Transgender adulta in Italia, e il verbo inglese ‘spot’ cioè individuare.

Tramite un brevissimo questionario del tutto anonimo da compilare online (all'indirizzo: www.studiopopolazionespot.it/) e rivolto alla popolazione generale, i ricercatori sperano di quantificare per la prima volta la numerosità di questa popolazione vulnerabile e spesso invisibile. Quando non apertamente discriminata.

“I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400 mila italiani” spiega Marina Pierdominici, ricercatrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità. Nel nostro Paese, i dati disponibili più recenti risalgono ad uno studio, pubblicato nel 2011, che considerava la popolazione transgender adulta sottoposta a intervento chirurgico di affermazione di genere tra il 1992 e il 2008. Lo studio riporta un numero pari a 424 donne transessuali e 125 uomini transessuali. “Tuttavia si tratta di una stima minima, limitata a un sottogruppo di una popolazione più vasta ed eterogenea: non tutte le persone sentono la necessità di sottoporsi a trattamento chirurgico o ormonale” prosegue la ricercatrice, sottolineando come la carenza informativa si traduca nella mancanza di una programmazione sanitaria efficace, “ostacolata anche dall’assenza di informazioni sulla salute generale della popolazione transgender”.

Quella transgender è una fascia di popolazione marginalizzata rispetto alle politiche sanitarie con ostacoli nell’utilizzo dei servizi sanitari sia generali che specialistici. Per esempio, le possibili interazioni farmacologiche tra i trattamenti ormonali e altre terapie sono spesso ignorate mentre le persone transgender che hanno ottenuto il cambio anagrafico possono avere difficoltà ad accedere ad alcuni programmi di screening previsti per la popolazione generale. “La situazione in Italia è a macchia di leopardo: i centri specializzati nella medicina di genere sono pochi e concentrati soprattutto al nord; alcune regioni si fanno carico dei trattamenti ormonali mentre altre no” ricorda Pierdominici. Le radici dell’inadeguatezza del personale sanitario nel trattare le persone transgender affondano nell’assenza di corsi dedicati all’interno delle facoltà universitarie. Non solo a livello clinico ma anche di informazione e sensibilizzazione degli operatori. Le cartelle cliniche non riportano l’identità di genere e così può capitare che donne transessuali siano ricoverate in reparti maschili e viceversa. Inoltre, lo stigma sociale spesso spinge queste persone a rivolgersi al mercato nero dei farmaci piuttosto che consultare il proprio medico.

“La conoscenza del numero reale delle persone transgender rappresenta il primo passo verso l’effettiva presa in carico di questa fascia di popolazione da parte del sistema sanitario. Ciò consentirebbe un miglioramento della qualità di vita e della salute, nonché un’ottimizzazione della spesa sanitaria nazionale” sostiene Pierdominici. Parallelamente, andranno moltiplicati gli sforzi di sensibilizzazione sia degli operatori sanitari sia della popolazione generale, a partire dall’uso della terminologia corretta. Ecco perché, al termine del questionario, l’utente riceverà un manualetto contenente le definizioni più adatte. Che differenza c’è tra la parola transgender e la parola transessuale? Per scoprirlo non vi resta che compilare il questionario.
fonte:  di DAVIDE MICHIELIN www.repubblica.it