Il 26 Gennaio il senato inizierà a votare la legge sulle unioni civili. Il momento di far sentire la nostra voce è ora!
Organizza nella tua provincia una manifestazione o parecipa a quelle che saranno organizzate.
Le pubblicizzeremo qui! Tutte e tutti in Piazza!: https://m.facebook.com/events/888317714571052?acontext={%22ref%22%3A3%2C%22action_history%22%3A%22null%22}&aref=3&ref=bookmarks
UNIONI CIVILI, ASSOCIAZIONI LGBT COMPATTE: "TANTE PIAZZE PER RACCONTARE L'UGUAGLIANZA"
Il 23 gennaio mobilitazione nazionale in numerose città italiane. Dal 26 gennaio presidio nei pressi del Senato.
Non una ma tante piazze in tutta Italia per dare forza al traguardo dell'uguaglianza: in vista della discussione al Senato del ddl sulle unioni civili, le associazioni lgbt (Arcigay, ArciLesbica, Agedo, Famiglie Arcobaleno, Mit) si preparano a mettere in campo una mobilitazione capillare nelle principali piazze del Paese.
Inoltre, nei giorni caldi della discussione a Palazzo Madama, cioè dal prossimo 26 gennaio, è previsto un presidio in piazza delle Cinque Lune, nei pressi del Senato, per testimoniare l'attenzione e l'apprensione per il dibattito in corso. "Non rispondiamo alla provocazione di chi in queste ore cerca di organizzare il solito schema delle piazze contrapposte: noi ci rivolgiamo al Paese intero", mettono in chiaro i portavoce delle associazioni.
"Abbiamo individuato il prossimo 23 gennaio come giornata di mobilitazione nazionale: stiamo lavorando sui territori, coinvolgendo sia le forze della società civile sia il mondo associativo delle realtà lgbt, per costruire le reti necessarie per far esprimere a gran voce la domanda di diritti e di uguaglianza che in questo Paese da troppo tempo rimane inascoltata. Non parleremo di una legge, bensì di un valore, cioè dell'uguaglianza di tutti e tutte, e del diritto di vivere in uno Stato laico. Staremo assieme alle famiglie, a tutte le famiglie. Assieme alle persone".
Attraverso le manifestazioni sarà rivolto il seguente appello a Governo e Parlamento:
"L’Italia è uno dei pochi paesi europei che non prevede nessun riconoscimento giuridico per le coppie dello stesso sesso. Le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali non godono delle stesse opportunità degli altri cittadini italiani pur pagando le tasse come tutti. Una discriminazione insopportabile, priva di giustificazioni.
Il desiderio di ogni genitore è che i propri figli possano crescere in un Paese in cui tutti abbiano gli stessi diritti e i medesimi doveri.
Chiediamo al Governo e al Parlamento di guardare in faccia la realtà, di legiferare al più presto per fare in modo che non ci siano più discriminazioni e di approvare leggi che riconoscano la piena dignità e i pieni diritti alle persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, cittadini e cittadine di questo Paese.
La reciproca assistenza in caso di malattia, la possibilità di decidere per il partner in caso di ricovero o di intervento sanitario urgente, il diritto di ereditare i beni del partner, la possibilità di subentrare nei contratti, la reversibilità della pensione, la condivisione degli obblighi e dei diritti del nucleo familiare, il pieno riconoscimento dei diritti per i bambini figli di due mamme o di due papà, sono solo alcuni dei diritti attualmente negati.Questioni semplici e pratiche che incidono sulla vita di milioni di persone. Noi siamo sicuri di una cosa: gli italiani e le italiane vogliono l’uguaglianza di tutte e di tutti."
Nei prossimi giorni saranno forniti i dettagli relativi alle manifestazioni.
fonte:evento fb TANTE PIAZZE PER L'UGUAGLIANZA
Questo blog è un aggregatore di notizie, nasce per info e news dall'Italia e dal mondo, per la Danza, Teatro, Cinema, Fashion, Tecnologia, Musica, Fotografia, Libri, Eventi d'Arte, Sport, Diritti civili e molto altro. Ogni articolo riporterà SEMPRE la fonte delle news nel rispetto degli autori e del copyright. Le rubriche "Ritratto d'artista" e "Recensioni" sono scritte e curate da ©Lisa Del Greco Sorrentino, autrice di questo blog
lunedì 11 gennaio 2016
Lgbt: David Bowie, capace di trasformare in arte persino la propria morte
In cinque decenni di musica e cultura l'artista inglese ha attraversato generi e anticipato mode, con la rara dote di rinascere dai propri errori
Per qualcuno era ancora il Duca Bianco, altri non possono fare a meno di ricordarlo come Ziggy Stardust. Per la critica “Heroes” e la trilogia berlinese sono uno dei punti più alti del pop moderno, ma la gente è impazzita soprattutto per le hit laccate come “Let’s Dance” e “China Girl”, i suoi veri successi stellari a livello di numeri.
Ognuno ha avuto il proprio David Bowie, perché David Bowie ha attraverso cinque decenni di musica muovendosi continuamente tra stili, personaggi, ispirazioni.
Non solo musicista ma anche attore e mimo, allievo di Lindsay Kemp e protagonista di film di culto come “L’uomo che cadde sulla terra” e “Miriam si sveglia a mezzanotte”. Popstar e rockstar sono definizioni limitanti per uno dei pochi che si è guadagnato a ragion veduta l’appellativo di artista. Parlando di lui si utilizza spesso il termine “camaleonte” per riassumerne le continue mutazioni.
Ma il camaleonte si adegua ai colori dello sfondo per mimetizzarsi, lui i colori invece li sceglieva e a volte sembrava inventarli.
Perché i molteplici mondi che ha attraversato sono sempre stati filtrati attraverso la sua visione, il suo modo di fare musica con un marchio di fabbrica indelebile nel creare melodie e impastare armonie. Da “Space Oddity” (1969) all’ultimo “Blackstar” c’è un filo rosso che unisce tutti i lavori di Bowie, ed è rappresentato dalla sua voce e dalla sua scrittura. Capaci di far propri stili e generi diversissimi: dal glam rock sessualmente ambiguo di Ziggy e “Aladdin Sane” alle atmosfere black fumose del philly sound di “Young Americans”; dall’algida elettronica di “Low” e “Heroes” (realizzati con Brian Eno) al pop di avanguardia di “Scary Monsters”.
Moltissimi personaggi chiave del rock moderno sono passati da Bowie e a lui devono qualcosa: ha lanciato Lou Reed dopo la fine dei Velvet Underground producendo quel capolavoro che è “Transformer”, ha fatto rinascere Iggy Pop mettendosi persino al suo servizio come tastierista nei concerti. I Queen e Mick Jagger hanno duettato con lui, i Nirvana hanno portato ai ragazzi degli anni 90 un pezzo ("The Man Who Sold The World") che lui si era permesso il lusso di aver dimenticato.
Nei suoi anni 70 c’è tutto: una furia creativa che portò a 12 album, talmente vari e pieni di perle che molti artisti, anche blasonati non riuscirebbero a eguagliare in tre vite. Eppure alla fine di quel decennio Bowie aveva solo 33 anni. E infatti ricominciò da zero, per ottenere quello che ancora gli mancava: il successo planetario. Con “Let’s Dance” l’artista di culto (e dei culti esoterici) si trasformò nella popstar capace di riempire stadi e sbancare le classifiche.
Un successo tale da fargli perdere contatto con la propria realtà artistica, al punto che lui stesso confessò che in quegli anni “perdeva più tempo a correre dietro alle ragazzine che a scrivere canzoni”. Ma se Bowie è passato indenne da una generazione all’altra, capace di resistere anche a rivoluzioni come quella punk e grunge, è stato per la capacità di utilizzare anche i momenti bui come spunto creativo, per rinascere.
I suoi anni 90 sono stati caratterizzati da un album sperimentale e coraggioso come “Outside” (ancora con l’aiuto di Brian Eno), e da fughe in avanti in generi in non certo pop come l’industrial (con uno straordinario tour insieme a Nine Inch Nails) o il drum’n’bass con “Earthling”.
A differenza di altri artisti la sua perdita lascia un vuoto non solo per il passato ma anche per il presente. Se ci aveva in qualche modo abituati alla sua assenza con un silenzio di dieci anni dopo l’attacco di cuore del 2004, il ritorno era stato così artisticamente vitale da rimetterlo al centro della scena come punto di riferimento, ben sapendo che in realtà giocava in un campionato tutto suo. Così come il suo amico Freddie Mercury, consumato dall’Aids, aveva continuato a cantare fino all’ultimo con una voce potente e cristallina, in 18 mesi di malattia Bowie invece che essere offuscato, ha tirato fuori la testimonianza definitiva di ciò che è stato: “Blackstar” è un album diverso da ciò che si sente in giro, spiazzante. Profondamente suo. Capace di trasformare in arte persino la morte.
A volerlo leggere era tutto lì, dalla stella nera del titolo all’ultimo video di “Lazarus”: il viso tirato e scavato, che in alcune inquadrature non nascondeva nulla del male che lo consumava. Il Bowie uomo con la morte ci è venuto a patti, dopo averci persino flirtato, consumato dalla cocaina a metà anni 70. Ma l’arte di Bowie la morte non sa cosa sia.
fonte: http://mobile.tgcom24.it/checkexistpage.shtml?/spettacolo/speciale-david%20bowie/david-bowie-capace-di-trasformare-in-arte-persino-la-propria-morte_2153556-201602a.shtml
Per qualcuno era ancora il Duca Bianco, altri non possono fare a meno di ricordarlo come Ziggy Stardust. Per la critica “Heroes” e la trilogia berlinese sono uno dei punti più alti del pop moderno, ma la gente è impazzita soprattutto per le hit laccate come “Let’s Dance” e “China Girl”, i suoi veri successi stellari a livello di numeri.
Ognuno ha avuto il proprio David Bowie, perché David Bowie ha attraverso cinque decenni di musica muovendosi continuamente tra stili, personaggi, ispirazioni.
Non solo musicista ma anche attore e mimo, allievo di Lindsay Kemp e protagonista di film di culto come “L’uomo che cadde sulla terra” e “Miriam si sveglia a mezzanotte”. Popstar e rockstar sono definizioni limitanti per uno dei pochi che si è guadagnato a ragion veduta l’appellativo di artista. Parlando di lui si utilizza spesso il termine “camaleonte” per riassumerne le continue mutazioni.
Ma il camaleonte si adegua ai colori dello sfondo per mimetizzarsi, lui i colori invece li sceglieva e a volte sembrava inventarli.
Perché i molteplici mondi che ha attraversato sono sempre stati filtrati attraverso la sua visione, il suo modo di fare musica con un marchio di fabbrica indelebile nel creare melodie e impastare armonie. Da “Space Oddity” (1969) all’ultimo “Blackstar” c’è un filo rosso che unisce tutti i lavori di Bowie, ed è rappresentato dalla sua voce e dalla sua scrittura. Capaci di far propri stili e generi diversissimi: dal glam rock sessualmente ambiguo di Ziggy e “Aladdin Sane” alle atmosfere black fumose del philly sound di “Young Americans”; dall’algida elettronica di “Low” e “Heroes” (realizzati con Brian Eno) al pop di avanguardia di “Scary Monsters”.
Moltissimi personaggi chiave del rock moderno sono passati da Bowie e a lui devono qualcosa: ha lanciato Lou Reed dopo la fine dei Velvet Underground producendo quel capolavoro che è “Transformer”, ha fatto rinascere Iggy Pop mettendosi persino al suo servizio come tastierista nei concerti. I Queen e Mick Jagger hanno duettato con lui, i Nirvana hanno portato ai ragazzi degli anni 90 un pezzo ("The Man Who Sold The World") che lui si era permesso il lusso di aver dimenticato.
Nei suoi anni 70 c’è tutto: una furia creativa che portò a 12 album, talmente vari e pieni di perle che molti artisti, anche blasonati non riuscirebbero a eguagliare in tre vite. Eppure alla fine di quel decennio Bowie aveva solo 33 anni. E infatti ricominciò da zero, per ottenere quello che ancora gli mancava: il successo planetario. Con “Let’s Dance” l’artista di culto (e dei culti esoterici) si trasformò nella popstar capace di riempire stadi e sbancare le classifiche.
Un successo tale da fargli perdere contatto con la propria realtà artistica, al punto che lui stesso confessò che in quegli anni “perdeva più tempo a correre dietro alle ragazzine che a scrivere canzoni”. Ma se Bowie è passato indenne da una generazione all’altra, capace di resistere anche a rivoluzioni come quella punk e grunge, è stato per la capacità di utilizzare anche i momenti bui come spunto creativo, per rinascere.
I suoi anni 90 sono stati caratterizzati da un album sperimentale e coraggioso come “Outside” (ancora con l’aiuto di Brian Eno), e da fughe in avanti in generi in non certo pop come l’industrial (con uno straordinario tour insieme a Nine Inch Nails) o il drum’n’bass con “Earthling”.
A differenza di altri artisti la sua perdita lascia un vuoto non solo per il passato ma anche per il presente. Se ci aveva in qualche modo abituati alla sua assenza con un silenzio di dieci anni dopo l’attacco di cuore del 2004, il ritorno era stato così artisticamente vitale da rimetterlo al centro della scena come punto di riferimento, ben sapendo che in realtà giocava in un campionato tutto suo. Così come il suo amico Freddie Mercury, consumato dall’Aids, aveva continuato a cantare fino all’ultimo con una voce potente e cristallina, in 18 mesi di malattia Bowie invece che essere offuscato, ha tirato fuori la testimonianza definitiva di ciò che è stato: “Blackstar” è un album diverso da ciò che si sente in giro, spiazzante. Profondamente suo. Capace di trasformare in arte persino la morte.
A volerlo leggere era tutto lì, dalla stella nera del titolo all’ultimo video di “Lazarus”: il viso tirato e scavato, che in alcune inquadrature non nascondeva nulla del male che lo consumava. Il Bowie uomo con la morte ci è venuto a patti, dopo averci persino flirtato, consumato dalla cocaina a metà anni 70. Ma l’arte di Bowie la morte non sa cosa sia.
fonte: http://mobile.tgcom24.it/checkexistpage.shtml?/spettacolo/speciale-david%20bowie/david-bowie-capace-di-trasformare-in-arte-persino-la-propria-morte_2153556-201602a.shtml
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Lgbt: Jaden Smith, il figlio 17enne di Will Smith, è stato scelto come testimonial della nuova linea femminile di Louis Vuitton: 'Indossare una gonna per lui è naturale'
In foto Jaden Smith(primo da destra) indossa la gonna negli scatti realizzati da Bruce Weber per la nuova campagna Louis Vuitton
Jaden Smith è stato scelto come testimonial della nuova linea di abbigliamento femminile di Louis Vuitton. Il figlio 17enne di Will Smith nel servizio fotografico realizzato a Tampa, in Florida, indossa la gonna.
Il ragazzo posa con disinvoltura insieme alle modelle. Capelli raccolti, chiodo nero, maglia bianca traforata con frange, gonna a pieghe e mocassini: questo il look che sfoggia in alcune foto del servizio realizzato da Bruce Weber per la nuova campagna femminile primavera-estate 2016 di Louis Vuitton.
E' stato Nicolas Ghesquière, il direttore creativo della nota casa di moda, a sceglierlo come testimonial: "Perché Jaden Smith compare in questa campagna? Perché rappresenta una generazione che ha assimilato i codici della vera libertà, uno che è libero dai manifesti e dalle domande - ha spiegato - Indossare una gonna è per lui così naturale come per una donna che si è conquistata la libertà di indossare un trench o un tuxedo da uomo. Jaden Smith esprime qualcosa di molto interessante sull'integrazione del guardaroba globale, trova un equilibrio istintitivo, che rende il suo atteggiamento fuori dal comune, la nuova norma. Questo ispira fortemente nel processo creativo di una collezione".
La carriera di Jaden nel mondo dello spettacolo è iniziata molto presto: nel 2006 ha debuttato al fianco del padre nel film di Gabriele Muccino "La ricerca della felicità". Due anni dopo ha lavorato in "Ultimatum alla Terra". Nel 2010 ha preso il posto di Ralph Macchio nel remake di "Karate Kid" e nel 2013 ha condiviso di nuovo il set con il famoso papà in "After Earth". Da Will Smith ha ripreso anche la passione per la musica e ha duettato insieme a Justin Bieber nella canzone "Never Say Never".
Ora Louis Vuitton l'ha voluto come testimonial di una linea femminile e Jaden non ha avuto nessun problema a indossare la gonna.
fonte: http://www.gossip.it scritto da Francesca Romana Domenici
Jaden Smith è stato scelto come testimonial della nuova linea di abbigliamento femminile di Louis Vuitton. Il figlio 17enne di Will Smith nel servizio fotografico realizzato a Tampa, in Florida, indossa la gonna.
Il ragazzo posa con disinvoltura insieme alle modelle. Capelli raccolti, chiodo nero, maglia bianca traforata con frange, gonna a pieghe e mocassini: questo il look che sfoggia in alcune foto del servizio realizzato da Bruce Weber per la nuova campagna femminile primavera-estate 2016 di Louis Vuitton.
E' stato Nicolas Ghesquière, il direttore creativo della nota casa di moda, a sceglierlo come testimonial: "Perché Jaden Smith compare in questa campagna? Perché rappresenta una generazione che ha assimilato i codici della vera libertà, uno che è libero dai manifesti e dalle domande - ha spiegato - Indossare una gonna è per lui così naturale come per una donna che si è conquistata la libertà di indossare un trench o un tuxedo da uomo. Jaden Smith esprime qualcosa di molto interessante sull'integrazione del guardaroba globale, trova un equilibrio istintitivo, che rende il suo atteggiamento fuori dal comune, la nuova norma. Questo ispira fortemente nel processo creativo di una collezione".
La carriera di Jaden nel mondo dello spettacolo è iniziata molto presto: nel 2006 ha debuttato al fianco del padre nel film di Gabriele Muccino "La ricerca della felicità". Due anni dopo ha lavorato in "Ultimatum alla Terra". Nel 2010 ha preso il posto di Ralph Macchio nel remake di "Karate Kid" e nel 2013 ha condiviso di nuovo il set con il famoso papà in "After Earth". Da Will Smith ha ripreso anche la passione per la musica e ha duettato insieme a Justin Bieber nella canzone "Never Say Never".
Ora Louis Vuitton l'ha voluto come testimonial di una linea femminile e Jaden non ha avuto nessun problema a indossare la gonna.
fonte: http://www.gossip.it scritto da Francesca Romana Domenici
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