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venerdì 12 novembre 2010
Lgbt: Chiesta giustizia per «Loredana» Il sedicenne transessuale
Chiedono notizie dell’inchiesta sulle eventuali responsabilità nel suicidio di “Loredana” il sedicenne transessuale di un piccolo comune ennese, impiccatosi in una comunità per minori l’11 dicembre 2007.
I familiari di Loredana, tramite il loro legale, chiedono che la sua morte non venga dimenticata e che se ci sono responsabilità vengano accertate.
La procura di Agrigento aveva aperto un fascicolo per l’ipotesi di omessa sorveglianza seguita da morte a carico dei responsabili della comunità “Alice” di Palma di Montechiaro, dove “Loredana” aveva posto fine alla sua vita.
Si chiamava Paolo, ma si sentiva Loredana, parlava, si muoveva e si vestiva come una ragazza. La mamma, il papà ed il fratello di Paolo a 3 anni dalla morte di Loredana attraverso l’avvocato Gaetano Giunta incaricato di rappresentarli quali parti lese, chiedono risposte.
“E’ una famiglia che non cerca capri espiatori – dice l’avvocato Giunta - ma che vuole la verità. In questa vicenda servono risposte, alla famiglia di Paolo ed alla società. Una famiglia accusata falsamente, di non curarsi del ragazzo, che si è vista sottrarre un figlio restituito in una bara.
E’ falso che Paolo era nella comunità Alice perché nessuno lo voleva e comunque lo Stato deve rispondere della sorte dei ragazzi dei quali sostiene di farsi carico al posto della famiglia”.
Paolo era stato un ragazzino problematico da sempre, ma la sua mamma quando a 11 anni la scuola voleva allontanarlo perché “incontrollabile” era corsa dall’avvocato Giunta.
Il provvedimento di “cacciarlo da scuola” era stato evitato e Paolo era contento, diceva di “avere vinto il processo”.
Si era iscritto ad una scuola professionale e la madre, sperando di fargli frequentare con più assiduità la scuola si era trasferita dal suo paese nella zona nord dell’ennese nella cittadina etnea dove il figlio si era iscritto.
Ma Paolo a scuola andava sempre di meno, usciva la sera e rientrare solo all’alba. I servizi sociali avevano “attenzionato” il ragazzo che andava in giro vestito da donna e che pare si accompagnasse ad un transessuale adulto.
Era partita la richiesta di allontanamento dalla famiglia e ancora una volta la madre di Paolo si era rivolta all’avvocato Giunta che aveva chiesto di lasciarlo a casa e disporre provvedimenti che non lo sradicassero dagli affetti familiari e da una routine domestica che comunque anche nei ragazzi più difficili è un punto di riferimento.
Questa volta però non c’era stato nulla da fare. Per i servizi sociali Paolo andava “rieducato”.
Dopo un primo “esperimento” in una comunità laziale per prostitute era stato mandato alla comunità dell’Agrigentino. “Loredana” era stata messa insieme a una trentina di adolescenti maschi.
Loredana si era impiccata con un foulard.
La famiglia aveva subito presentato un esposto chiedendo di accertare i fatti.
Si sentiva una “ragazza” e si comportava come tale, quindi perché farlo vivere con 30 ragazzi dei quali probabilmente era diventato l’obiettivo di continuo scherno? Loredana ripeteva “Se non mi mandate a casa mi ammazzo” e i familiari attendono ancora di sapere se era stata disposta una adeguata sorveglianza su un soggetto ad altissimo rischio di suicidio.
Alla fine in comunità era stata praticamente isolata.
Le era stata assegnata una stanzetta che negli intenti dei responsabili della comunità avrebbe dovuto garantirle privacy, ma tra le cui mura la sua disperazione è cresciuta fino a farle preferire la morte.
“Nell’esposto ho chiesto di essere informato sul procedere dell’inchiesta – dice Giunta – ma non ho avuto alcuna comunicazione. Nei prossimi giorni chiederò notizie al procuratore capo di Agrigento.
I miei assistiti devono e vogliono sapere”. di Giulia Martorana
fonte www.carmeloparrinelli.it di Carmelo Parrinelli
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