E gli amori degli etero non valgono più degli altri
di Vittorio Feltri
Tutti teniamo a passare per evoluti, ma quando si tratta di parlare di omosessuali, bene che vada ricorriamo a logori luoghi comuni, banalità sconce da caserma, frasario da bar. Nel linguaggio corrente mancano perfino le definizioni appropriate: frocio, culattone, busone, orecchione, finocchio eccetera.
Un vocabolario meschino, oltre che triviale, totalmente inadeguato a un discorso non dico serio, ma almeno sereno, per discutere di una questione vecchia come il mondo.
In redazione, quando l’attualità propone temi quali i Dico, i Pacs, i matrimoni tra persone dello stesso genere, non c’è giornalista che si offra volontario per scriverne. La categoria, pur zeppa di gay e lesbiche, al pensiero di vergare un articolo sulla materia, si nasconde sotto i tavoli per evitare l’incombenza.
I maschi, in particolare, notoriamente più sboccati delle femmine per motivi storici e culturali, davanti a una notizia riguardante l’omosessualità la buttano sul ridere. Le barzellette prevalgono sui ragionamenti e perfino sull’esigenza di capire.
Non sono migliore dei miei colleghi e non mi tolgo dal mazzo di chi scherza su certi problemi. Però, avendo avuto (per fortuna li ho ancora) quattro figli, mi sono spesso posto la domanda: se scoprissi che uno di loro è omo, come reagirei?
Non farei salti di gioia, perché, chi più, chi meno, siamo tutti conformisti- prole compresa - e sogniamo per noi stessi e per i nostri eredi una vita in discesa, mentre quella dei gay - in questa società è comunque in salita, per quanto si cerchi ipocritamente di negarlo.
Detto ciò, se un ragazzo che porta il mio cognome avesse tendenze diverse dalle mie, non farei una piega: mi limiterei a ricordargli chele persone si giudicano dalla cintola in su ma, poiché non tutti la pensano così, troverà sempre qualcuno pronto a dir male di lui alle spalle o, peggio, in faccia. L’Italia non è soltanto piena di cretini; abbondano anche gli ignoranti affezionati alla propria ignoranza.
Spesso la gente si rifiuta di comprendere non per cattiveria: per pigrizia.
Ecco perché consiglio la lettura del libro La vera storia dei miei capelli bianchi , Mondadori.
Ne è autrice (insieme con la giornalista Maria Teresa Mieli) una parlamentare di sinistra, Paola Concia, la quale racconta della sua candida esistenza di donna che ama le donne, una in particolare, quella che ha sposato.
Non è una biografia in senso stretto né un romanzo; è entrambe le cose.
E ciò rende le 149 pagine del volume molto piacevoli e toccanti, ricche di umori e patemi che dimostrano come le pulsioni amorose degli omosessuali siano uguali a quelle degli etero, per cui è un esercizio gratuito sottolineare differenze immaginarie: è un modo becero per discriminare chi crediamo di conoscere e non conosciamo.
La vera storia dei miei capelli bianchi è un manuale di educazione sentimentale utile per modificare le opinioni infondate che molti di noi si sono fatti sul problema, senza mai affrontarlo con cognizione di causa.
Per correggersi non servono grandi sforzi. Basta immedesimarsi nelle situazioni, per esempio quella del primo flirt tra Paola Concia (allora diciassettenne) con un’amica,Giulia.
Tra loro succede ciò che tutti abbiamo vissuto da adolescenti. La scintilla dell’amore scocca da un gioco di sguardi che comunicano inquietudine e mandano messaggi facili da decriptare: il reciproco interesse tra due giovani, indipendentemente dal loro sesso, che si attraggono e si desiderano. L’erotismo quanto conta? Non è questo il punto. Il fatto è che l’amore tra gay e tra etero ha la stessa intensità e provoca gli stessi effetti.
Se si accetta questo sano principio, cade ogni tabù: non c’è nulla di perverso nell’abbraccio fra due donne o fra due uomini. Occorre calarsi nell’animo altrui: lo si fa in fretta. A chiunque, suppongo, sarà capitato di innamorarsi e di avere il cuore in tumulto, una voglia incontenibile di baciare, abbracciare, accarezzare, stringere l’amata; e di essere tormentato dal ricordo del suo volto e del suo corpo; di avere la sensazione di non poter fare a meno di lei e di morire di passione.
Dalle mie parti usa dire: «L’amur e la famm i la sènt tucc i salam»(l’amore e la fame la sentono tutti i salami). Giusto. Ma se l’amore è un sentimento universale, comune a ogni individuo, spiegatemi perché gli omosessuali dovrebbero esserne esclusi.
Solamente il pregiudizio può offuscarci le idee e indurci a ritenere che due innamorati dello stesso genere non debbano aspirare a prendersi per mano, a convivere, a volersi bene, massì, anche a litigare e magari a detestarsi esattamente come facciamo noi. Ma dopo aver vinto il pregiudizio è indispensabile compiere un passo ulteriore: rispettare le unioni gay, smetterla di sghignazzare.
In altri termini: se i diritti umani li pretendiamo per noi, dobbiamo pretenderli anche per il nostro prossimo, senza indagare sui motivi per cui palpita il suo cuore. Già.
I cuori palpitano.
E il mio non palpita più del tuo.
fonte http://www.ilgiornale.it articolo di Vittorio Feltri
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