Con questo post ritorno a parlare di un documentario,
Le lesbiche non esistono una produzione dal basso costruita giorno dopo giorno grazie al contributo della rete e curata da due giovani filmmaker toscane, Laura Landi e Giovanna Selis,
alle quali ho chiesto di spiegarci un po’ meglio di cosa si tratta e il loro punto di vista sulla realtà italiana.
Tanti miei amici etero, appena sentono la parola lesbica, pensano a due donne con tette giganti che si slinguazzano su un sofà. E anche in certe commedie italiane siete spesso raccontate attraverso i cliché. Aiutatemi a distruggere la fantasia dei miei amici e dei registi italiani: chi sono davvero le lesbiche? Che tipo di persone avete incontrato durante questa prima fase di riprese?
Sono Francesca, Agnese, Chiara, Giulia, Laura, Cristina, Elena, Carolina… potremmo continuare a elencare tutte le donne che vi hanno preso parte, ma non verrà mai fuori – per fortuna – il “prototipo lesbico”.
E questo semplicemente perché non esiste, così come non esiste un unico modo di essere donna. Con molto rammarico per le fantasie dei tuoi amici etero e dei registi di alcune commedie italiane annuncio che tutti i sofà presenti nel nostro documentario non hanno ospitato tettuti slinguazzamenti ma donne vere che studiano, lavorano, convivono, s’incazzano, si amano e che con coraggio e naturalezza hanno deciso di raccontarsi. Ora sta al pubblico decidere di venirle a conoscere.
Un pubblico che in parte è già protagonista, dato che il vostro è un documentario finanziato dalla rete, attraverso una sottoscrizione popolare (ancora aperta). Come mai questa scelta e perché non appoggiarsi, invece, ad un’associazione Lgbt?
Attenendosi alle regole dell’industria, un documentario dovrebbe essere venduto prima ancora dell’inizio della sua realizzazione, altrimenti non se ne fa niente. Questo comporta la necessità di un compratore che creda nel progetto dall’inizio e abbia voglia di rischiare… va da sé che a queste condizioni molti progetti – come il nostro – che non rientrano nelle strette logiche di mercato difficilmente vedrebbero la luce.
Abbiamo deciso, quindi, di cercare finanziamenti in maniera alternativa ai soliti sistemi tramite la produzione dal basso, anche perché riteniamo che questo progetto abbia le caratteristiche giuste per un’operazione del genere.
In questo modo possiamo avere un’idea della potenziale attenzione al nostro documentario e allo stesso tempo riuscire a coprire (speriamo) i costi della post-produzione.
Rendere produttori quelli che saranno i nostri spettatori finali significa dare un ruolo attivo e consapevole al pubblico. Questo non vuol dire non coinvolgere le associazioni Lgbt – anzi alcune sono state tra i nostri primi sostenitori – ma piuttosto tenersi aperti a più canali e anche “fotografare” un’Italia inedita: molti dei nostri finanziatori – con cui cerchiamo di rimanere connesse il più possibile – non sono omosessuali. Un dato interessante, no?
E immagino sia anche questa la vostra scommessa: ma se il tema delle lesbiche in Italia e della loro invisibilità può e deve coinvolgere positivamente tutti, anche gli etero, a chi addebitare invece la responsabilità di questo enorme silenzio?
Questa è una delle domande che ci hanno spinto a girare il documentario e che con questo cerchiamo di indagare. Quello che emerge, chiaramente, è che non esiste un unico responsabile, ma piuttosto la convergenza di vari fattori. Come la mancanza di una classe politica pronta a rischiare, il fatto che troppo spesso ci dimentichiamo che l’Italia è un paese laico… ma non solo. Il silenzio, il non chiamare le cose con il proprio nome sono rintracciabili su più fronti.
Anche all’interno della comunità Lgbt.
In Italia manca un’educazione alle parole, al dialogo, in molti contesti… mi viene in mente la vicenda di “Piccolo Uovo” edito da Lo Stampatello, un libro che ha suscitato tante assurde polemiche con gruppi di estrema destra che proponevano addirittura di bruciarlo.
Io questo prezioso libro l’ho consigliato ad una amica maestra che lo ha portato a scuola e letto ai suoi bambini insegnando loro non certo l’omosessualità (che cosa significa insegnare l’omosessualità???), bensì la pari dignità e il rispetto di tutte le famiglie e soprattutto di tutti i bambini.
Di quelli che arrivano da una famiglia con due mamme o due papà, di quelli che hanno solo la mamma o solo il papà e di quelli che hanno una mamma e un papà di un colore diverso.
E ai bambini poco è importato se i due genitori pinguini sono maschi con tanto di cilindro perché i loro piccoli sono amati e felici e per un bambino l’amore e la felicità sono parametri di giudizio fondamentali.
I pregiudizi non appartengono a loro ma ai grandi. Menomale che la mia amica li ha “addestrati” bene al fatto che pure gli adulti dicono stronzate, compresa la maestra di tanto in tanto, come dice lei! ;)
Tante donne e tanti uomini non riescono ancora a raccontarsi apertamente come lesbiche o come gay. Perché, secondo voi, c’è ancora così tanta resistenza nell’affrontare un coming out?
Immagino che sia sostanzialmente per paura. Con questo non voglio dire che tutti siano tenuti a fare coming out. Ma penso che finché non vivremo in un paese in cui l’orientamento sessuale non avrà più nessuna rilevanza negativa sia importante farlo. Per le donne poi c’è un dato in più, l’essere state per certi versi più “accettate” o semplicemente meno prese in considerazione ha portato alla convinzione che il silenzio protegga.
Quando invece nega, rende invisibili, cancella. Per noi l’omofobia inizia anche così.
E non è una questione di insulti – molti non capiscono lo spunto volutamente provocatorio del nostro documentario – ma di fatto questa mancanza linguistica (molte varianti dispregiative per insultare i gay e poche o nessuna sulle lesbiche, ndr) segnala una mancanza ben più grave, su cui riflettere.
Da quando è online il trailer del nostro documentario spesso ci chiedono se davvero nel 2012 sia così importante dichiarare la propria identità sessuale e se questa non sia in realtà un’etichetta inutile… per rispondere abbiamo scelto le parole di un nostro carissimo amico: “Le etichette sono parole per esprimere chi si è… e quando non ce ne sono nel linguaggio si possono raccontare“. Ecco, a noi piace raccontare.
E allora… raccontiamolo il vostro primo coming out e perché è (stato) così importante.
Sarebbe divertente chiederlo a Giovanna… che è etero! :)
In attesa del primo coming out etero della storia posso raccontare di come a sedici anni ho cercato di spiegare ad un’amica di quella “persona” speciale che avevo incontrato e di come la mia amica, estenuata dai miei continui giri di parole, abbia alla fine esclamato: “Insomma ma che male c’è se stai con LEI!“. Ecco era semplice.
Da allora le parole ce le ho sempre messe io, magari non è sempre stato facile e divertente come quella volta, magari c’è voluto più tempo, ma ne è sempre valsa la pena. Perché nel momento in cui io faccio coming out ti racconto chi sono, ti do accesso ad una parte importante di me. E soprattutto non fingo di essere qualcosa di altro che non mi appartiene.
Per contribuire alla realizzazione del documentario, potete andare in questa pagina del sito:
http://www.produzionidalbasso.com/pdb_825.html
Produzioni dal basso, cliccare Sostieni (sulla sinistra) e seguire così la procedura.
Potete entrare in contatto con le autrici del documentario attraverso
Le lesbiche non esistono - Doc, Facebook, Twitter, YouTube, Vimeo
e email: satoshidoc@gmail.com
Per saperne di più vi consiglio anche la lettura di quest’articolo del Corriere Fiorentino:
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/spettacoli/2012/28-marzo-2012/documentario-finanziato-rete-2003861015652.shtml
dell’intervista rilasciata al sito Tolleranza Lgbt e del post di CortometraggiBlog.
Collabora al progetto anche l’illustratrice Francesca Bolis, che curerà insieme alle autrici l’animazione iniziale del documentario.
fonte http://darlingmichele.wordpress.com di Michele Darling
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