lunedì 12 dicembre 2011

Lgbt: Femmina, maschio o non specificato: tra i passi avanti dell’Australia e la farsa italiana, di Michela Balocchi

Il Governo australiano, il 14 Settembre scorso, ha annunciato le nuove linee guida in materia di regolamentazione dell’indicazione relativa all’identità di genere sui passaporti.

Grazie a queste nuove norme d’ora in poi sarà più semplice, per le persone con sesso e/o identità di genere diverse da quelle della maggioranza della popolazione, poter scegliere l’indicazione di genere che sentono propria indipendentemente dall’essersi o meno sottoposti a riattribuzione chirurgica del sesso, mentre le persone intersessuali potranno scegliere, se lo vorranno, una terza opzione “X” per, traduco, “indeterminato, non specificato o intersex” oltre alle tradizionali “F” e “M”.

Si tratta dunque di un grande passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone trans e intersessuali poiché alle persone trans viene riconosciuta la possibilità di adeguare il passaporto all’aspetto fisico e alla propria identità di genere senza necessità di sottoporsi alla riattribuzione chirurgica di sesso o prima di sottoporvisi; e alle persone intersex per la prima volta viene riconosciuto il diritto a definirsi appartenenti a un sesso/genere altro rispetto alla dicotomia maschio/femmina dominante, oppure a scegliere “F” o “M” come genere di appartenenza anche se diverso da quello che è stato attribuito loro alla nascita.

Sarà sufficiente una lettera da parte del medico che certifichi che la persona ha ricevuto o riceve trattamenti clinici appropriati per la transizione, oppure che si tratta di una persona intersex che non si identifica con il sesso assegnato alla nascita ma con quello opposto o con il genere intersex, il terzo genere o un genere non specificato.

Questa la notizia dall’Australia. Passiamo ora a vedere come è stata data in Italia, perché il modo in cui la notizia è stata filtrata dalle maggiori agenzie di stampa italiane è essa stessa una notizia, una notizia che produce riflessioni e considerazioni amare.

In primo luogo spariscono subito le persone intersex.
Non c’è agenzia di stampa italiana in cui venga scritta la parola intersessuale. Evidentemente il concetto di intersessualità nel nostro paese continua a risultare per lo più ignoto e ignorato: e perché mai un giornalista serio dovrebbe prendersi la briga di verificare il significato di quell’“intersex” o di quel “sex and gender diverse people” presente nelle fonti originali? Già, perché mai..?
Meglio tradurre sbrigativamente transessuali, senza riflettere sulle conseguenze di questa scelta.

La sparizione del termine intersex dai primi comunicati italiani ha avuto come primo effetto quello di sminuire enormemente dal punto di vista simbolico la rilevanza della decisione australiana che ha invece una portata storica reale.

Il riconoscimento pubblico della legittimità dell’essere e riconoscersi intersessuali è una conquista enorme per tutti e per le persone intersex in particolare, proprio a causa dell’invisibilizzazione cui invece sono generalmente costrette fin dalla nascita, invisibilizzazione che significa in primo luogo privazione dei diritti umani fondamentali quali il diritto all’integrità del proprio corpo, il diritto a non ricevere interventi di chirurgia estetica invasivi e irreversibili sui genitali e senza consenso informato, il diritto a non ricevere somministrazione di farmaci a vita per una ‘normalizzazione’ al maschile o (molto più spesso) al femminile non richiesta.

La cancellazione del termine e della categoria “intersex” e della sua sostituzione con transgender (o, peggio, con “i transessuali” come se la decisione australiana si riferisse esclusivamente a persone di sesso femminile che transizionano verso il maschile), ha creato automatismi e certezze laddove invece la materia è tutt’altro che certa: nelle linee guida infatti la possibilità di scegliere la “X” è esplicitata solo per le persone intersex.

Per le persone in transizione (“for people transitioning”) si parla della possibilità di cambiare il dato sul passaporto, sempre previa dichiarazione medica, specificando il genere di elezione (femminile o maschile), senza necessità di intervento chirurgico ai genitali ma rimanendo all’interno del binarismo sessuale, a meno che (sembra di leggere tra le righe) non venga loro certificata una qualche forma di intersessualità o di indeterminatezza di genere.

Detto questo, si può poi certamente discutere sull’opportunità o meno dell’indicazione del genere sui documenti; io sono tra coloro che caldeggiano l’eliminazione di questo dato da ogni tipo di documento di riconoscimento: il Governo britannico sta riflettendo proprio su questa possibilità sempre in relazione ai passaporti (http://www.guardian.co.uk/uk/2011/sep/19/home-office-gender-free-passports).

Bisogna però anche tenere realisticamente conto del fatto che quella è una battaglia non facile da vincere nell’immediato futuro, visto che ci troviamo in società che si fondano proprio sul binarismo sessuale e sulla gerarchia dei ruoli sociali di genere. Anche per queste difficoltà l’aggiunta di una categoria di sesso/genere e di una lettera corrispondente nei documenti può essere una soluzione (seppure intermedia e temporanea) e uno strumento per il riconoscimento di realtà altrimenti negate e private dei diritti elementari.

Il riconoscimento burocratico, infatti, non soltanto protegge dalle discriminazioni e facilita movimenti e azione quotidiane per le persone trans, ma restituisce legittimità giuridica, civile e sociale alla propria esistenza a chi invece è stato invisibilizzato fin dalla nascita e fisicamente modificato proprio perché la sua esistenza fisica intersex era ritenuta inaccettabile in quanto non rispondente alla cornice culturale del binarismo sessuale.

Infine, come alcuni hanno fatto notare, rimane il pericolo costituito dall’esibire in paesi estremamente transfobici, omofobici e intersexfobici un documento che presenta un’alternativa al tradizionale rigido dimorfismo di genere.

In questi paesi, però, la situazione per chi non è conforme era e rimane pericolosa anche senza un documento che dia riconoscimento: è pericoloso nel momento in cui viene esibito un documento con un’indicazione di genere che non corrisponde all’aspetto attuale della persona; e in questi paesi generalmente le persone transgender già evitano il più possibile di fare scalo.

Certo è che in Italia difficilmente si potrà aprire un dibattito pubblico allargato alla cittadinanza estesa e un confronto serio su questi argomenti se chi ha il dovere di fare informazione corretta e precisa passa invece un’informazione distorta e falsata, e se di questa informazione noi continuiamo a fidarci prendendola per buona.

*Transessualità o DIG (disforia dell’identità di genere)
Situazione vissuta da quelle persone che sentono che la propria identità di genere non combacia con il corpo anatomico: per superare questa condizione di sofferenza la transessuale (MtoF: persona che nasce maschio e si sente donna) o il transessuale (FtoM: persona che nasce femmina e si sente uomo) cercherà di intraprendere un percorso di riallineamento fra l’identità di genere e le caratteristiche fisiche del proprio corpo, attraverso assunzione di ormoni e interventi chirurgici.

*Intersessualità o DSD (disorders of sex development)
Con intersessualità si indica una molteplicità e varietà di condizioni in cui si trova chi nasce con cromosomi sessuali, e/o un apparato riproduttivo, e/o caratteri sessuali secondari che variano rispetto alle definizioni tradizionali di ciò che è considerato femminile e maschile. Spesso l’intersessualità non è evidente alla nascita ma si palesa durante la pubertà o può essere scoperta in età adulta.
fonte http://altracitta.org/ Michela Balocchi per l’Altracittà

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