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mercoledì 27 febbraio 2013
Lgbt: Essere gay in Afghanistan il libro denuncia di Hamid Zaher, fuggito in Canada per poter vivere in libertà: "In patria rischiavo la morte"
Vivere da omosessuale in Afghanistan, in una società iper-conservatrice, non è certo semplice.
Ma Hamid Zaher non si è arreso alle difficoltà, fuggendo in Canada e annunciando adesso il suo libro di memorie (“It Is Your Enemy Who Is Dock-Tailed: A Memoir”).
Racconta la sua vicenda personale, simbolo della lotta di tanti gay, condotta non soltanto nel paese afghano, ma nelle diverse aree del mondo dove è possibile essere perseguiti soltanto per il proprio orientamento sessuale.
LA VICENDA DI HAMID ZAHER
L’autore del volume, come spiega la Bbc nella sua versione on line, intende sfidare con il suo coming out la tradizione afghana. Zaher è un farmacista che adesso vive a Toronto.
Il suo libro non è mai stato pubblicato nel suo paese d’origine, dove l’omosessualità è considerata un reato punibile con la pena di morte.
Ha sempre capito di essere omosessuale.
Cresciuto in un villaggio di campagna nei primi anni 1980, Zaher svela quanto sia stato complicato vivere la sua adolescenza: “Sono stato costretto a nascondere i miei veri sentimenti, per salvare la mia vita, nonostante fossi attratto dagli uomini”, ha spiegato lo scrittore. “Già da bambino mi sentivo più a mio agio giocando con le ragazze; per anni ho fatto finta di non essere gay, ma ero costretto a vivere dietro una maschera”.
ADOLESCENZA NEGATA
Per i suoi atteggiamenti e “tratti femminili” ha cominciato ad attirarsi contro le reazioni negative dei suoi amici e parenti.
“Hanno iniziato a chiamarmi Hamida, la forma femminile del mio nome. O ‘Izak’, un termine colloquiale con cui si definisce qualcuno che non è né maschio né femmina”, spiega alla Bbc.
“Ogni volta che ho ballato durante le feste, tutti gli uomini, giovani e vecchi, ridevano di me”, aggiunge. Reazioni che lo rattristavano: “Avevo perso la voglia di vivere e la fiducia, finendo per isolarmi”.
Fino a quando la madre ha tentato di costringerlo a sposarsi, quando aveva 25 anni. Così ha lasciato il paese, andando prima in Pakistan, poi in Iran e Turchia. Poi si è stabilito in Canada, nel 2008, dove vive ancora oggi.
“Non è possibile fare coming out in Afghanistan”, ha aggiunto.
“Sarei stato ucciso dai miei stessi parenti, per non parlare delle ritorsioni delle autorità”.
IL LIBRO-DENUNCIA
Il libro scritto da Hamid Zaher è un attacco appassionato e provocatorio alle tradizioni conservatrici e ai pregiudizi della cultura del proprio paese.
Quella che ha reso impossibile la sua stessa vita.
Ha pensato di denunciare la sua vicenda personale perché – come spiega – “i diritti di troppe persone continuano ad essere negati”. E lo scrittore spera che le sue parole possano servire a rompere un muro di silenzio.
“La mia speranza è che le future generazioni possano vivere senza paura la propria sessualità, senza rischiare di essere perseguite o uccise”.
Resta complicato scoprire il numero effettivo delle persone che fanno parte della comunità LGBT in Afghanistan: colpa del governo, che persegue l’omosessualità come un reato. Lo spiega anche il professore Dawood Rawish, un sociologo dell’Università di Kabul: “Le persone sono troppo spaventate per fare coming out”.
Ad Hamid è stato il Canada a offrire una nuova ragione di vita.
La versione in lingua persiana del libro, pubblicata nel 2009, è stata censurata nel suo paese. Così, non potendo distribuire copie cartacee nel suo paese, ha reso disponibile il libro on line in modo gratuito.
Ma tale è stata la paura di ritorsioni che quasi nessuno ha voluto commentare o addirittura riconoscere di averlo letto. “L’Afghanistan resta un’area troppo rischiosa per i gay”, ha spiegato un attivista afghano per i diritti umani, che ha chiesto alla Bbc di restare anonimo.
Intanto Hamid ha pagato la sua denuncia.
La sua famiglia lo ha rinnegato e non ha più alcun contatto con nessuno di loro: “I miei fratelli mi hanno chiesto di non pubblicare il libro”, spiega.
Ma lui non voleva più reprimere i suoi sentimenti.
fonte http://www.giornalettismo.com/ di Alberto Sofia(photocredit: Bbc)
Labels:
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