mercoledì 8 agosto 2012

Lgbt: "Io trans, in guerra per un lavoro"

Per le persone che cambiano sesso un colloquio è una battaglia persa in partenza. Tenersi l'impiego di origine è una micro tortura quotidiana.

E spesso la prostituzione diventa l'unico sbocco. Viaggio tra l'ennesima dicriminazione di genere

Nella complicata vita dei transessuali, cambiare sesso è solo il primo passo. Poi comincia la parte difficile, quella in cui fare i conti con la vita vera.

Tra le cose più complicate c'è quella di cercare, o mantenere se già lo si ha, un lavoro, considerando che il cambio di sesso coinvolge, per la stragrande maggioranza, persone che non hanno né vogliono avere niente a che fare con il mondo della prostituzione. Anzi.


Lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, i dati diffusi dal Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica del San Camillo di Roma, che rivelano come dei mille interventi che si sono tenuti nella capitale dal '92 a oggi solo il 16,2% riguardasse persone legate al mondo della prostituzione.

Per tutti gli altri, cioè l'84%, non resta che giocare, ad armi assai poco pari, la partita del lavoro, fatta di curricula, colloqui e, quasi sempre, rifiuti.

I problemi sono radicalmente diversi a seconda che si tratti di tenersi stretto un lavoro che già si ha o di cercarsene uno nuovo.

"La tutela del lavoro dei transessuali – dice Maria Grazia Tognollo dello sportello nuovi diriti della Cgil - arriva dal caro vecchio articolo 18 che dal 2003 ha inserito tra le ragioni considerate inammissibili per il licenziamento anche tutto quello che ha a che fare con la sfera del sesso e dell'orientamento sessuale".

La norma, però, spesso rimane lettera morta, soprattutto in quella zona di confine che riguarda i transessuali. "Se i gay e le lesbiche sono discriminati, i trans lo sono ancora di più- confermano da Arcigay-.

Nel 2011 abbiamo pubblicato una ricerca, "Io sono io lavoro", dalla quale emergeva che il 19% del campione LGBT intervistato aveva subito trattamenti a vario titolo ingiusti, e di questi gran parte erano trans".

Matteo, che una volta era una donna, per esempio, racconta una storia di discriminazione e testardaggine al termine della quale è riuscito a mantenere il suo posto da dirigente in una multinazionale nel nord est, nonostante una lunga guerra di nervi: "Nessuno sarà mai tanto stupido da fare apertamente mobbing o da non trovare una scusa plausibile per mascherare il fatto che ti stiano discriminando. La strada, se vogliono, la trovano. Bisogna resistere. Io ero in una posizione dirigenziale quando ho iniziato la transizione e, contemporaneamente, una carriera al contrario, in ruoli di sempre minore rilievo, con un progressivo demansionamento Ma non ho mollato mai. Era una guerra di posizione. L'ho vinta io".

Anche Alessandra, nata Alessandro, è riuscita a tenersi stretto il suo lavoro in banca e anche a fare carriera: "Non è stato tutto facile, anzi. Il mio cambio non fu subito bene accetto, ma a parte qualche perplessità personale e un percorso farraginoso e non ancora completamente risolto per quel che riguarda gli aspetti più pratici della transizione come badge, biglietti da visita e assegnazione del bagno, il mio lavoro non ne ha risentito. Certo, dalla mia parte c'era il fatto che non solo ero ampiamente laureata e masterizzata, ma anche che sono sempre stata sindacalista, e tra le più toste".

Ma non a tutti va cosi.
C'è anche chi lascia e abbandona il campo, stremato dalle continue, silenti angherie. Come Daniela: "Quando ero uomo ero sposato e avevo due figli, facevo l'operaio turnista. Poi ho cominciato il mio percorso e sono cominciati i guai. Non ci sono stati esempi eclatanti di vessazione, ma di sottile isolamento, di micro tortura quotidana, di continua messa in difficoltà. Così a un certo punto non ce l'ho fatta più e me ne sono andata. Ora sono disoccupata e tiro vanti come meglio posso".

Nonostante la presenza di aziende poi che, per policy, hanno grande sensibilità nei confronti di chi è, in vario modo, 'diverso' come quelle che aderiscono all'associazione Parks (tra i cui soci fondatori compaiono Ikea, Johnson & Johnson e City Group) e altre che aderiscono al forum Diversitàlavoro che mette in comunicazione soggetti legati a categorie tradizionalmente discriminate e aziende, le difficoltà per chi un lavoro non ce lo ha e deve cercarselo ex novo, sono significative.
fonte http://espresso.repubblica.it di Luciana Grosso

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