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Marina Abramović, trovate muri da attraversareRIPRODUZIONE RISERVATA |
"Voglio dire ai giovani artisti di non preoccuparsi delle opinioni altrui e di seguire il proprio cuore: fatevi sorprendere dal mondo e trovate muri da attraversare": è un invito all'azione e a un'arte necessariamente 'militante' quello che Marina Abramović ha rivolto ieri sera al pubblico del MAXXI di Roma, nel corso di una conversazione con il direttore artistico del museo Hou Hanru.
In un completo scuro sobrio
ma con qualche trasparenza, appassionata, ironica e carismatica,
l'artista è salita sul palcoscenico estivo del museo per raccontarsi di
fronte a una platea composta per lo più da giovani, nell'ambito di un
evento sold out organizzato in occasione della mostra "Più grande di me.
Voci eroiche dalla ex-Jugoslavia" allestita fino al 12 settembre, in cui è presente la sua celebre opera "Rhythm 0" del 1974. "L'arte deve essere ossigeno per la società, deve porre le giuste domande, non essere un bene di consumo. Abbiamo tutti delle responsabilità, ora è tempo di agire", ha detto l'artista, dopo essere stata accolta e introdotta dalla presidente della Fondazione MAXXI, Giovanna Melandri. "Ognuno ha la propria storia e più si va in profondità dentro se stessi e più arriva il messaggio. Per produrre cambiamenti dentro le persone c'è bisogno di grandi tragedie. La pandemia è stata una catastrofe che ha colpito tutti e ha prodotto un impatto forte a livello di coscienza del pianeta. Abbiamo compreso quanto siamo fragili e mortali e quanto siamo incapaci di resistere alla sofferenza".
Tanti i temi affrontati nel corso della serata, a cominciare dal rapporto privilegiato con il nostro Paese, "conosciuto a 14 anni con mia madre che mi ha portato a Venezia: io che venivo dal comunismo, di fronte a tanta bellezza mi sono messa a piangere", ha detto l'artista serba naturalizzata statunitense, che nel 2023 presenterà la mostra personale "After Life" alla Royal Academy e sarà la prima artista donna nei 250 anni di storia dell'Istituzione a occupare l'intero spazio della galleria con il suo lavoro.
"Ma l'Italia è stata fondamentale anche per dare slancio alla mia carriera: a Milano ho fatto la mia prima mostra internazionale. Ero così arrabbiata per il modo in cui la performance era recepita, come se fosse qualcosa di stupido e ridicolo, soprattutto nel mio Paese. Volevo dimostrare che era altro e, dopo 50 anni nella performance art, ora posso dire anche io quello che affermava Gandhi: prima mi hanno ignorato, poi mi hanno deriso, poi mi hanno combattuto ma alla fine ho vinto".
E sempre all'Italia è legata l'opera "Rhythm 0" esposta al MAXXI (nella mostra 100 opere di 60 artisti originari dei diversi paesi della ex Jugoslavia, che rileggono la storia balcanica attraverso i gesti di eroi quotidiani), una delle sue performance più estreme, presentata a Napoli, nel 1974, nello Studio Morra: "Con quella performance ho capito che il pubblico può ucciderti. All'epoca ero molto radicale, pronta addirittura a morire", ha spiegato l'artista premiata con il Leone d'Oro alla Biennale di Venezia nel 1997.
"Il concept di Rhythm 0 era semplice: non dovevo fare niente, solo essere presente nello spazio. Avevo scritto su un foglio che ero un oggetto e volevo vedere fino a che punto si sarebbe spinto il pubblico in un tempo di 6 ore. Su un tavolo c'erano 72 oggetti, di piacere e di dolore: una rosa, una piuma, un pezzo di pane accanto a coltelli, catene, forbici e una pistola con un proiettile. A poco a poco c'è stata una escalation di eventi, fino ad arrivare ad atteggiamenti aggressivi e intimidatori. Io non dovevo reagire, ero concentrata al 100%: ero diventata la proiezione di 3 immagini, madre, Madonna e prostituta. Di notte, quando la performance è finita, tutti scapparono via senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi".
Divenuta un'icona per la sua capacità di esplorare i propri limiti fisici e mentali, Marina Abramović non smette di sperimentare: ulteriore prova è l'ultimo lavoro, "7 Deaths of Maria Callas", dedicato alla grande cantante ("il mio lavoro mi ha salvato, il suo no, perché la Callas è morta di crepacuore per il suo amore per Onassis", ha detto), che presto sarà in tournée e a maggio sarà presentato al San Carlo di Napoli, del quale ieri sera ha presentato un breve estratto.
"Non amo lavorare nello studio, le idee vengono dalla vita. Per conoscere i miei limiti fisici, concentrarmi e meditare ho viaggiato tanto" ha proseguito. "Mi piacciono luoghi senza elettricità e senza coca cola: per questo sono andata dagli aborigeni australiani e ho studiato la cultura tibetana. Nella performance l'arte è immateriale, non si appende al muro: ha a che vedere con l'esperienza, con uno scambio di energia". L'impegno ora è tutto rivolto ai giovani, con l'attività del MAI (Marina Abramović Institute), una piattaforma per il lavoro immateriale e di lunga durata: "Il mio lavoro è il pubblico stesso, l'Istituto nasce per preservare l'arte performativa e insegnare ai giovani artisti come realizzarla".
Non è mancato nel corso della serata il ricordo di Ulay, l'artista scomparso nel 2020 con il quale Abramović ha condiviso lunghi anni di vita e lavoro: "Ci siamo lasciati sulla Muraglia Cinese dopo aver percorso oltre 2000 km: è stata una separazione dura, siamo finiti anche in tribunale, ma perdonarlo è stata una benedizione. Quando nel 2010 si è seduto davanti a me al MOMA la mia vita mi è passata davanti e io ho deciso di toccargli le mani", ha detto ricordando l'esperienza radicale di "The Artist is Present" al museo newyorchese, nella quale per 7 ore rimase seduta al cospetto di una sedia vuota, aspettando che si sedesse il pubblico.
fonte: Dwww.ansa.it RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
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