Sul tema del transessualismo si fa spesso una gran confusione; c’è chi ancora lo confonde con l’omosessualità, laddove la persona transessuale è colui o colei che sente di appartenere al sesso opposto a quello biologico e l’omosessuale è invece colui o colei che è attratto/a principalmente od esclusivamente da persone del proprio sesso; c’è chi associa automaticamente il transessualismo alla prostituzione, mentre questa è una realtà molto limitata; altri poi ritengono che sia una grave patologia mentale, mentre invece si sta lavorando attivamente affinché anche all’interno del DSM-V (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) le persone transessuali non si sentano più patologizzate.
Un’altra questione che sicuramente non tutti sanno è che il Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) -così per ora è definito- si presenta anche in infanzia: alcuni bambini sentono di essere del sesso opposto a quello biologico e vorrebbero appartenervi a tutti gli effetti.
Questo sentimento, però, non sempre si protrae fino all’età adulta, anzi, nella maggior parte di questi casi con l’arrivo della pubertà la percezione che si ha di sé cambia.
Cosa succede quando si affaccia ormai l’età puberale ed il soggetto continua a sentire fortemente di appartenere al sesso opposto?
In Europa, precisamente ad Amsterdam, abbiamo un centro d’eccellenza diretto da Peggy T. Cohen-Kettenis, la quale si occupa specificatamente di preadolescenti ed adolescenti con diagnosi di DIG.
Numerose sue ricerche vertono su quella che è diventata a livello internazionale la linea guida principale in questi casi: la terapia ormonale precoce. In particolare si tratta di una sospensione reversibile della pubertà, mediante analoghi ormonali del fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH), che viene somministrata ai giovani tra i 12 e i 16 anni di età. Lo scopo di questo intervento è quello di alleviare le sofferenze causate dallo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, che i soggetti rifiutano perché non percepiscono come armonici col proprio essere, e fornisce loro il tempo di prendere una decisione ponderata ed equilibrata sull’effettivo cambiamento di sesso.
Una ricerca del 2011 pubblicata sul Journal of Sexual Medicine, riguarda 70 candidati che hanno ricevuto la soppressione della pubertà tra il 2000 e il 2008, e ne valuta il funzionamento psicologico e la disforia di genere sia prima che dopo il trattamento. I risultati ci dicono che i problemi comportamentali ed emotivi ed i sintomi depressivi sono diminuiti, mentre il funzionamento generale è migliorato in modo significativo durante la soppressione della pubertà. È importante sottolineare che secondo la Cohen-Kettenis, i sentimenti di ansia e di rabbia che vivono gli adolescenti con DIG non sono connessi direttamente alla disforia di genere, bensì all’impatto negativo che ha su queste persone l’atteggiamento della società.
Nessun adolescente della suddetta ricerca si è ritirato dalla soppressione della pubertà, e tutti hanno in seguito cominciato ad assumere gli ormoni del sesso a cui sentivano di voler appartenere, sviluppando così i caratteri sessuali secondari che desideravano ed ottenendo un corpo ed un volto più armonici di quello che di solito raggiungono i transessuali che iniziano le cure ormonali dopo la fine dello sviluppo. In conclusione, la sospensione della pubertà può essere considerato un valido contributo nella gestione clinica della disforia di genere negli adolescenti, un primo passo verso un percorso che prevede ancora diverse altre tappe e verifiche per poter raggiungere l’identità a cui si aspira.
A cura della professoressa Chiara Simonelli
fonte http://sesso.blogautore.espresso.repubblica.it
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sabato 5 gennaio 2013
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