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venerdì 23 luglio 2010
Fashion, Il cinema discriminato: i documentari sulla moda
Lagerfeld Confidential
Sottotitolo: il cammino di fede di San Carlo da Amburgo. Agiografico quanto una fiction su Padre Pio. La cosa più confidential che si vede in un’ora e mezza di documentario sono un paio di inquadrature da 5 secondi di Lagerfeld senza i suoi cavolo di occhiali da sole. Wow, qui si che c’è gente che sa rischiare. Io volevo l Karl romantico che piange per un amore mai corrisposto, il Karl malato di qualche malattia che non vuole farci sapere, il Karl rettiliano che ogni giorno indossa una casacca di carne umana completa di parrucca con codino bianco. Niente. Sembra che il regista abbia fatto l’intervista al Kaiser con delle forbici da sarto puntate alla tempia. Però quanto glamour, signora mia. Scena altamente disturbante: una delle sartine di Chanel (quelle sante donne che compromettono la loro vista e le loro dita per cucire quelle meraviglie che vediamo sulle passerelle), dopo 40 anni di onorata carriera, va in pensione. E Lagerfeld che fa? Si bulla di lavorare più di lei. Dovresti baciarle i piedi per non aver tentato di infilarti degli spilli negli occhi. Da rivedere una volta ogni tre mesi, e con un certo disprezzo.
Marc Jacobs & Louis Vuitton
Marc Jacobs è il più figo di tutti. Bravo stilista, ottimo stylist, bellissimo uomo. Ce le ha tutte. È di quei maschi omosessuali che ancora ti fanno venir voglia di pensare “Ah, ma se incontra me cambia idea!” Passati i quindici anni è pericoloso fare certi pensieri. Il documentario racconta la sua doppia vita tra lo studio newyorkese del marchio Marc Jacobs, dove tutti sono ggiòvani, dinamici, allegri, oh yeah, e quello parigino di Louis Vuitton, dove tutti hanno, per usare un francesismo, una scopa nel culo. Tra tutti questi documentari è il più divertente, e pur essendo focalizzato sul processo creativo e sulla preparazione degli abiti per le sfilate dei due marchi, non annoia mai. Se pensate che Jacobs sia un genio, dopo questo documentario vorrete venerarlo come una divinità. Da rivedere una volta ogni due mesi.
Valentino: The Last Emperor
Questo è un documentario fatto come si deve: c’è la storia di un uomo che diventa un marchio, di una coppia innamorata da una vita intera, di un signore che sà di dover lasciare spazio alle nuove generazioni, di un isterico estroso pieno di carlini, dell’eterna lotta fra la creatività e l’economia. Commovente e divertente allo stesso tempo. La parte finale, quella dei festeggiamenti per l’addio di Valentino alla moda, è di una noia mortale, ma il resto è ineccepibile. Fra tutti i documentari presenti in questo elenco è quello realizzato meglio. Però è quello che mi ha fatto venire meno voglia di rivederlo. Forse perché è un addio, per quella sofferenza tra le righe, o forse per Simona Ventura. Da rivedere con le amiche che non l’hanno ancora visto, ma niente di più.
Coco Avant Chanel
Lo so, non è un documentario, ma va bene lo stesso, dato che l’ho visto di recente e parla di moda. O almeno così pensavo. Questo film è una truffa. Tratta talmente poco della carriera di Mademoiselle Chanel che potrebbe essere tranquillamente Mariuccia Avant Zagarelli e non sarebbe cambiato nulla. Certo, i suoi amori hanno avuto un ruolo importante nel mettere su la sua impresa, ma siamo sicuri di voler trattare questo aspetto della sua vita in modo così specifico? In pratica riduci uno dei geni della moda a una scroccona. Ok, ritiro tutto prima di essere presa a botte. Credevo che non sarei mai arrivata a dire una cosa del genere in vita mia, ma la fiction della Rai era decisamente meglio. Da non guardare e basta.
Yves Saint Laurent 5, Avenue Marceau, 75116 Paris
Ah, la professionalità! Ah, la sartorialità! Ah, il grande maestro Saint Laurent! Ah, la noia! Riprese fisse, senza alcun commento, di quello che succede nell’atelier di Yves Saint Laurent a Parigi, mentre prepara la collezione Haute Couture, l’ultima prima di morire. Questo documentario mette seriamente alla prova il vostro amore per la moda: se dopo 85 minuti di “Forse dovremmo usare il taffetà.” “Ah, c’est merveilleuse!” “Claudia, s’il te plaît, non toccare la gonna” vi sentite appagati e felici, allora è il caso che molliate qualunque lavoro stiate facendo ora per iniziare una carriera da sarte o stiliste. Se al ventesimo minuto, quando capirete che non succederà un bel niente per tutto il resto film, alzerete in aria il forcone per richiedere il vostro tempo andato perduto, be’, allora siete (siamo) solo delle buyer. Quel dommage. Da usare come acquario: lasciate lo schermo acceso, ascoltate il rumore delle forbici sulla seta, vi rilassate, cose così.
The September Issue
Lo tengo per ultimo perché non si parla di stilisti, ma è il più famoso fra i documentari sul mondo della moda in senso ampio. Anna Wintour e il suo entourage preparano il numero di settembre di Vogue America, il più importante dell’anno. Vorrei partire subito dicendo che, a mio parere, Vogue America è tra le edizioni peggiori di Vogue, quindi non penso che Anna Wintour sia un genio. è brava, ma non è un genio - non quanto Carine Roitfield, per dire. Il documentario non è agiografico come quello su Lagerfeld, ha anche dei momenti in cui qualcuno dice effettivamente che è un po’ una spaccamaroni. Solo che parte da una premessa che a me infastidisce: quella di mostrare quel mostro cattivone della Wintour, brrr che paura che mi fa. Insomma, è editor in chief di una delle riviste più importanti al mondo, ha enormi responsabilità sulle spalle e dovrebbe pure essere gentile e premurosa? Credo abbia tutti i diritti per non esserlo. Comunque, il documentario è ben fatto, si parla anche molto di quel genio di Grace Coddington, c’è sia del glamourama che del lavoro serio. Da rivere come energizzante, mette una strana e fastidiosa voglia di rimboccarsi le maniche e sgobbare. Mi raccomando, non abusatene.
fonte blog.graziamagazine
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