Che tenere una manifestazione del Gay Pride a Mosca sia difficile, è cosa che i rappresentanti della comunità «lgbt» moscovita hanno imparato a proprie spese da tempo, a furia di divieti e di tentativi stroncati o dalla polizia o da gruppi di attivisti di destra e ultra-ortodossi a suon di botte.
Pure, un divieto esteso per la durata di un secolo rappresenta qualcosa di nuovo e sconcertante: ed è esattamente quello che è avvenuto nei giorni scorsi - anche se in qualche modo si tratta di una forzatura voluta da parte dello stesso movimento lgbt.
Esasperati dal sistematico «no» opposto dalle autorità della capitale (da notare che in altre città russe la situazione è a volte diversa), alcuni rappresentanti del movimento gay (in particolare uno dei "leader" più in vista, Nikolai Alekseyev, con cui peraltro alcuni settori del movimento sono in aperta polemica, ritenendo le sue provocatorie iniziative più dannose che utili) hanno presentato 100 richieste di sfilata gay pride tutte insieme, una per ogni anno da qui al 2111.
Dato che la legge obbliga il municipio a rispondere comunque, con un sì o con un no, alle richieste di autorizzazione, i funzionari della capitale per coerenza non hanno potuto far altro che dire no a tutte e 100 le richieste e il tribunale, cui gli attivisti si sono immediatamente rivolti per far valutare la legittimità del rifiuto "secolare", ha dovuto sentenziare che la decisione non violava nessuna legge.
Con questi atti in mano gli attivisti, come avevano progettato, si rivolgono ora alla Corte europea per i Diritti umani di Strasburgo, nella speranza di ottenere una sentenza che metterebbe in grave imbarazzo le autorità russe.
Tanto più alla luce della nuova legge locale, appena approvata dalla città di San Pietroburgo e in discussione alla Duma per diventare legge federale, che in nome della protezione dei minori trasforma in un reato la «propaganda di orientamento sessuale» svolta in pubblico vicino a luoghi frequentati da minorenni: una legge talmente vaga da prestarsi all'incriminazione di chiunque - e certamente di chi partecipa o organizza una manifestazione gay.
Una sentenza di Strasburgo che parlasse chiaramente contro la discriminazione a proposito delle manifestazioni gay sarebbe ovviamente un forte argine alla deriva clericale e maschilista in atto nelle alte sfere della Russia putiniana.
Non va dimenticato che l'omosessualità ha smesso di essere considerata un crimine solo nel 1993, e che tuttora nella legge russa non esiste nessuna specifica misura contro la discriminazione basata sull'orientamento sessuale.
fonte http://www.ilmanifesto.it
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