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mercoledì 22 dicembre 2010
Lgbt Cronaca: Trans si impicca per i debiti accumulati dall’azienda, i suoi operai sono sotto choc "Un datore di lavoro gentile e sempre disponibile"
L’imprenditrice era diventata donna si è uccisa nella fabbrica ereditata dal padre. Lettera-testamento: sola e sconfitta, non voglio una tomba dove essere ricordata
MESTRE, Nove pagine di «testamento». Un lungo addio, pieno di dolore, di rabbia, di rancore. E di indicazioni: non voglio nessuna tomba dove poter essere ricordata, meglio ceneri al vento, e voglio essere cremata insieme al mio cagnolino di stoffa, l’unico che mi ha sempre dato calore.
Le ha scritte così, al femmnile, perchè ormai era una donna da tanti anni, prima di togliersi la vita impiccata al muletto dell’azienda di Spinea che il padre le aveva lasciato, soffocata dai debiti e dalla preoccupazione per i suoi quattro dipendenti.
Da quel capannone aveva perfino ricevuto lo sfratto. L’imprenditrice mestrina aveva 39 anni, una casa in centro e fino ad alcuni anni fa era stata un uomo, sposato e separato.
Il suo corpo senza vita è stato trovato martedì mattina dai quattro dipendenti, che si erano recati al lavoro come ogni giorno, nonostante l'azienda patisse tutti i mali di una crisi che sembrava ormai inesorabile.
Era da cinque anni che la titolare, ereditata l'azienda dal padre che si era ritirato dagli affari, cercava di sanare i debiti in bilancio e rilanciare la produzione.
Si è scontrata infine con lo stallo delle commesse, gli ordini non pagati e la produzione dimezzata.
I debiti invece di essere colmati si dilatavano, per quella crisi economica che ha fatto fallire tante aziende in questi ultimi mesi. A lei era arrivato anche lo sfratto.
Ma non c’è «solo» questo nella decisione di togliersi la vita, che probabilmente aveva preso qualche giorno prima di mettere in atto il suo piano, dopo l’ennesima lite con la famiglia di origine.
Nella lunga lettera scritta e indirizzata ai carabinieri, per spiegare la sua decisione si racconta sconfitta e sola, parla di errori suoi e di persone vicine a lei e di una eccessiva paura della sua diversità.
Da anni l’imprenditore diventato imprenditrice aveva cambiato nome, dopo il lungo percorso per i cambiamenti anche fisici.
Decisa, convinta di questa trasformazione, gli amici e i conoscenti la descrivono così, una bella donna senza dubbi sulla rivoluzione della sua vita.
Ma intorno a lei non doveva essere tutto così facile, soprattutto in famiglia la decisione non era stata condivisa, nè sostenuta.
Aveva un compagno, che viveva però in un’altra città (a lui ha lasciato tutti i suoi ricordi) e l’ansia per la situazione economica dell’azienda era sembra più grande.
Nella lettera pare ritorni spesso a parlare proprio di questo, della sensazione sempre più forte di essere incapace di affrontare la montagna di difficoltà.
Si legge tutto questo nelle nove pagine, indirizzate ai carabinieri, che sono state sequestrate come da prassi dalla Procura di Venezia che ha aperto un fascicolo sulla vicenda, anche se il corpo è già stato messo a disposizione dei familiari.
L’imprenditrice voleva che la storia della sua vita, venisse letta.
Almeno una volta.
Non voleva pubblicità sul suo gesto, non voleva articoli, ma che almeno qualcuno sapesse quante difficoltà aveva dovuto superare fin da giovane.
«Ho resistito a tutto questo, a tutti questi anni da incubo con l'assenza di ogni parola », dicono le ultime frasi dell'imprenditrice.
Passava le giornate degi ultimi mesi tra la fabbrica, a lavorare con gli operai in azienda e a casa da sola.
Sono trascorsi così i suoi ultimi giorni, con un'ultima telefonata alla famiglia, sabato, come per congedarsi.
Gli operai dell’azienda sono sotto choc.
Per tutti era un datore di lavoro gentile e sempre disponibile, che ha fatto i salti mortali pur di non lasciare senza buste paga i suoi lavoratori. Nemmeno nei periodi di crisi più buia.
Rinunciava ai dividendi, si toglieva i guadagni personali, per non lasciare le famiglie dei dipendenti senza soldi a fine mese. Si è uccisa gridando la sua sofferenza.
fonte /corrieredelveneto.corriere.it, Martino Galliolo
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