«Professorè, a Vladimir ci piacciono i masculi!».
Mi sentii raggelare quando il mio compagno lo disse alla maestra, tra i risolini complici degli altri. L’ insegnante mi fece alzare in piedi e mi domandò se fosse vero.
Non ebbi il coraggio né di confermare né di smentire, abbassai lo sguardo sul banco e arrossii in volto, desiderando che il pavimento si aprisse e mi inghiottisse.
Mi fece andare alla lavagna e mi dette una bacchettata sulle mani davanti a tutti. Quando ero alle elementari non esisteva l’espressione “bullismo omofobo”: era normale prendere di mira chi veniva considerato diverso.
Se confessavi a casa le vessazioni subite ti prendevi uno schiaffo anche dai genitori, se lo denunciavi alla polizia ti facevano capire che te l’eri andata a cercare, se lo confessavi in chiesa eri tu il peccatore, se un giornalista intendeva trattarne parlava di “torbido mondo omosessuale”.
In questi giorni sono venuta a sapere di due tristi episodi: un ragazzo di sedici anni a Roma è indotto al suicidio dalle persecuzioni a scuola e un suo coetaneo a Vicenza è martoriato dai suoi compagni. Non importa verificare la presunta omosessualità delle due vittime, in un’età così tenera della psicologia evolutiva dove nulla è così certo, in una fase delicata di interrogativi alla ricerca di aiuto e di affetto.
Ogni volta io sento riverberare non tanto il dolore fisico della bacchettata sulle mani quanto il ricordo di un vuoto attorno a me, proprio adesso che sono famosa e riverita. Io sono sopravvissuta, qualcun altro non ce l’ha fatta.
Ti senti solo quando ti insultano e i maestri non ti difendono, quando sei vittima e le istituzioni ti ignorano, quando il Parlamento si rifiuta di approvare una legge sull’omofobia, sulla violenza motivata per orientamento sessuale o identità di genere.
Gli epiteti gay sono i più usati tra gli adolescenti e l’educazione civica al rispetto manca nelle direttive scolastiche.
Chi preme il pulsante rosso a Montecitorio affossando una legge contro l’omofobia riverbera il dolore di quegli adolescenti che si svegliano di notte in preda all’incubo di un pugno o di un insulto sferrato.
Può essere rosa il colore di un nostro pantalone ma deve essere roseo il nostro futuro: le associazioni, la solidarietà di amici, l’affetto di genitori coraggiosi che, come a Vicenza, denunciano ai Carabinieri le vessazioni subite dal figlio.
Sarà solo quando nessuno girerà la testa dall’altra parte con omertà che il branco degli omofobi rientrerà dove merita: nella specie in via di estinzione.
fonte http://pubblicogiornale.it/ da Pubblico del 2/12/2012
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