La Giornata Internazionale della Visibilità Transgender (International Transgender Day of Visibility) promossa a partire dal 2009 dalla militante Rachel Crandall (Michigan), ricorre il 31 marzo. Durante questa giornata, conosciuta soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra e ancora molto poco in Italia, celebriamo la visibilità delle persone transgender nella società.
Il senso di questa celebrazione può essere efficacemente reso utilizzando le parole di Laverne Cox, attrice transgender americana:
“It is revolutionary for any trans person to choose to be seen and visible in a world that tells us we should not exist.” (In un mondo che dice che noi non dovremmo esistere, per ogni persona trans è rivoluzionario scegliere di essere visibile). La scelta della parola “revolutionary” non sembra ardita se consideriamo un sistema culturale occidentale moderno che riconosce e legittima soltanto due generi, “uomo” e “donna”.
Per i dissidenti di genere esistono solo due alternative possibili: l’adeguamento al dogma binario1, o la marginalizzazione.
O ci adeguiamo ad essere “donne e uomini a tutti gli effetti”, espressione che ricorre spesso nella dinamica discorsiva associata alla condizione trans, aderendo il più possibile a ciò che l’immaginario collettivo pretende da noi, o siamo esclusi, stigmatizzati e spinti verso la morte sociale.
Ricordiamo che, fino a pochissimo tempo fa (solo recentemente, a più di trent’anni dall’approvazione della legge 164/82, diverse sentenze hanno riconosciuto la riattribuzione anagrafica a persone transgender in assenza di interventi demolitivi agli organi sessuali primari.
Un orientamento ufficializzato e rafforzato da recentissime sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale), la prassi giurisprudenziale ha fatto sì che una persona trasgender italiana che volesse ottenere un documento conforme alla sua identità reale, unico lasciapassare per l’esercizio di un pieno diritto di cittadinanza, a partire dall’esercizio del diritto al lavoro, dovesse obbligatoriamente sottoporsi ad una vera e propria “sterilizzazione forzata”.
Solo chi aveva rimosso le gonadi (ghiandole sessuali), mettendosi nella definitiva impossibilità di procreare, vedeva riconosciuti i suoi diritti civili. La pressione che subiamo verso l’omologazione è costante e violenta.
“Sei un uomo/una donna a tutti gli effetti ormai”, ci sentiamo dire con paternalistica approvazione, ma solo quando soddisfiamo completamente le aspettative sociali, pagando l’obolo di interventi chirurgici demolitivi e ricostruttivi sui nostri organi genitali e smettendo di rivendicare il nostro percorso, la nostra identità T*, negando una parte di noi.
In questo quadro, la rivendicazione di una visibilità transgender, se non addirittura di un orgoglio, è sovversiva, liberante e rivoluzionaria sul piano sociale e culturale, oltre che salvifica sul piano personale. Poter finalmente dire: “Sono una persona transgender e rivendico la mia visibilità” significa permetterci di esistere al di fuori dello schema binario, di legittimarci, di amarci.
Un amore verso noi stess* che, portato nel mondo, assume una valenza culturale e politica. E’ anzitutto amando noi stess* per quello che siamo e non per ciò che la società ci impone di essere, che mettiamo in discussione e relativizziamo l’ordine binario, sovvertendo gli stereotipi ricevuti. Un processo, quello della relativizzazione della visione assoluta, limitata e limitante di un mondo a due colori, che riveste una grande importanza per ogni persona transgender. Una persona trans* che ha fatto un lavoro su di sé (un esempio è la vecchia ma sempre validissima “autocoscienza”) per uscire dalle logiche di “adeguamento” e sposare quelle di “affermazione”, non accetterà di sottoporsi ad interventi chirurgici o trattamenti ormonali non desiderati, non cadrà nella trappola del “passing” 2, prenderà posizione e si difenderà dagli episodi di transfobia, difenderà la sua dignità. Vivrà, insomma, una vita migliore.
Ben venga quindi la “Giornata internazionale della visibilità transgender” che, a differenza del 20 novembre, “Transgender Day Of Remembrance” (Giornata della Memoria Transgender), giorno in cui commemoriamo le vitttime di odio transfobico, ci offre l’occasione per sorridere, festeggiare, affermarci con fierezza.
1 Chi non si riconosce nel sesso di nascita ha come unica alternativa il passaggio al sesso opposto, come in Italia prevede la legge 164/82, “Norme in materia di retticazione di attribuzione di sesso”.
2 La convinzione secondo la quale solo la donna o l’uomo transgender che “passino”/”sembrino” donne biologicamente femmine o uomini biologicamente maschi, possibilmente aderenti ai correnti canoni estetici di bellezza e desiderabilità, siano davvero “riusciti”, “venuti bene”. Questa convinzione porta molte persone transgender a sottoporsi ad importanti interventi chirurgici, spesso dannosi per la salute, di chirurgia ricostruttiva. Il fine è la piena “mimetizzazione” nella società, o “modalità stealth”, espressione importata dal linguaggio bellico, che indica gli aerei capaci di rendersi invisibili ai radar.
fonte: http://transgenderfreedom.com di Monica Romano Articolo pubblicato sulla rivista di cultura LGBT “Il Simposio”
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giovedì 17 marzo 2016
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