lunedì 7 ottobre 2019

"Yuli - Danza e Libertà" La storia di Carlos Acosta, in arte Yuli, vera e propria leggenda della danza

La storia di Carlos Acosta, ballerino cubano ritiratosi dalle scene nel 2015 dopo una straordinaria carriera nelle più grandi compagnie del mondo, in particolare presso la Royal Ballet di Londra. 

Bambino indisciplinato che vive coi genitori e le due sorelle a L’Havana, Carlos viene costretto dal padre – che lo ha soprannominato Yuli in onore di una divinità afroamericana – a frequentare la rinomata Escuela Nacional Cubana de Ballet, assecondando così un naturale talento per la danza. 
Dopo anni di esercizi e scontri gli insegnanti, di difficoltà economiche e piccole umiliazioni, Carlos riuscirà a vincere un’importante concorso a Losanna, e da lì a conquistare il mondo, senza mai dimenticare le origini e il legame con la famiglia.

La regista basca Icíar Bollaín porta sullo schermo l’autobiografia di Acosta ‘No Way Home’ replicando nel film la struttura del testo di partenza: lo stesso Acosta è presente in scena come una sorta di narratore interno, commentando la sua vita con alcuni numeri di danza di cui è coreografo o direttamente protagonista.

Nella mitologia yoruba e nei culti afroamericani, Yuli è il figlio di Ogun, semidio della guerra e del fuoco: un combattente, un guerriero. Carlos Acosta, oggi ex ballerino alle soglie dei cinquant’anni, nel mondo della danza contemporanea è stato il primo “principal” di colore del Royal Ballet, un guerriero anche lui, un ballerino rivoluzionario.

Il paragone tra il protagonista e la figura mitologica a cui è stato accostato dal padre («Un uomo che mi ha amato alla sua maniera e secondo le sue regole», dice Acosta), è ribadito a ogni passaggio come la principale chiave di lettura del film: Yuli - Danza e libertà è la storia di una battaglia interiore, la conquista del mondo da parte di un eroe di strada. Dai vicoli di L’Havana e dalla breakdance ballata sull’asfalto, Carlos approda alla danza classica e ai grandi palcoscenici; impara a controllare l’esuberanza caratteriale e traduce la potenza esplosiva del suo fisico in una compostezza di estrema eleganza. Il suo percorso conduce dal caos al controllo assoluto, dall’anarchia all’arte.
Costruito come un classico racconto di formazione, il film è giocato su un doppio binario espressivo: la ricostruzione della vita di un bambino (e poi di un ragazzo) mezzosangue cresciuto in una Cuba impoverita dall’embargo americano – figlio di genitori separati, legato alle due sorelle maggiori e da adulto costretto a soffrire da lontano per la schizofrenia di una delle due – e il lavoro del vero Acosta, che coreografa ed esegue con la sua compagnia una serie di numeri che funzionano da commento alle scene di finzione.

L’intento della regista non è però quello di mostrare la forza scenica della danza di Acosta (magari provando ad avvicinare l’operazione che Wenders ha fatto con l’opera di Pina Bausch), ma di prolungare le emozioni costruite ad arte dalla sceneggiatura: il conflitto tra padre e figlio, tra singolo e autorità, tra libertà e costrizione, e poi, nel corso della vita del protagonista, tra ambizione e amore, vicinanza e oblio.

Il Carlos Acosta raccontato dal film è un personaggio monolitico come il semi-dio a cui s’ispira. Nella parabola narrativa tracciata, la sua debolezza è la sua forza, la sua energia alimenta la sua grazia. Lo stile senza fronzoli di Bollaín, che gestisce abilmente toni e colori, momenti di tensione e di scoramento, di felicità e di dolore, serve semplicemente a illustrare un cammino di gloria. Il risultato è un ritratto onesto, molto simile all’album di ritagli di giornale e di fotografie del figlio che il padre di Carlos ha custodito gelosamente per tutta la vita, guarda caso la prima cosa a vedersi nel film…
fonte: Recensione di Roberto Manassero  www.mymovies.it

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