martedì 8 ottobre 2019

Cinema: "La scomparsa di mia madre" di Beniamino Barrese. Nelle sale da giovedì 10 ottobre 2019

Un corpo a corpo tra Benedetta Barzini, prima italiana a posare per Vogue, e la macchina da presa di suo figlio. Beniamino Barrese racconta sua madre, Benedetta Barzini, top model negli anni 60, musa di fotografi e artisti, da Irving Penn a Richard Avedon, da Andy Warhol a Salvador Dalì.

Durante il casting per un film a lei dedicato, alcune modelle cercano di entrare nel personaggio della top model Benedetta Barzini, la prima modella italiana a comparire nel 1963 su "Vogue" America per volere della leggendaria fashion editor Diana Vreeland (immortalata nel documentario di Lisa Ammordino). 
Ma quest'inizio in chiave fiction, con luce artefatta da photoshooting è un depistaggio: qualcosa che, per contrasto, faccia risaltare la reale natura di Barzini, imponendosi con forza su quella bidimensionale, amplificata dalle passerelle, dalle cover di riviste come "Harper's Bazaar" agli altri media.

"Ho passato la vita a filmare e fotografare mia madre, senza sapere perché. È stata la mia prima modella, la mia preferita. Quando mi ha detto di aver deciso di andarsene e di non tornare mai più, ho capito che non ero pronto a lasciarla andare".  Beniamino Barrese.  PER IL TRAILER CLICCA QUI

Come esergo al suo lungometraggio d'esordio, selezionato dal Sundance 2019 nella sezione World Cinema Documentary, Beniamino Barrese (1986), figlio della fotomodella di fama mondiale nata nel 1943, pone questa dichiarazione per spazzare via ogni equivoco: La scomparsa di mia madre non vuole essere biopic di fiction né documentario informativo, celebrativo o testamentario (alla Franca: Chaos and Creation di Francesco Carrozzini). Anzi, è quasi chirurgico nel non dare coordinate su famiglie e parentele, e sbrigativo nel sintetizzare il periodo newyorkese trascorso a braccetto con star dell'arte e del jet set tanto quanto nel motivare una recente sessione di lavoro alla London Fashion Week.

È molto concentrato sulla ricerca di riappropriazione di un'immagine nella sua autenticità, sul tentativo di sottrarre un viso, un corpo, allo sguardo del sistema moda e alla sua rappresentazione convenzionale per restituirlo ai momenti più ordinari, agli atteggiamenti meno glamour. Al tempo stesso è il sogno di comporre e trattenere, da figlio, l'essenza di una "super madre", per di più riluttante, per non dire recalcitrante, ad essere ripresa (anche se come attrice è comparsa come madre di Luca Marinelli in Tutti i santi giorni di Paolo Virzì). Ad essere seguita nella sua quotidianità post hippie (che qui comprende anche una visita pseudo estemporanea della collega e coetanea Lauren Hutton), vissuta però con la stessa ieratica nonchalance di quando - cigno, donna aliena, scultura di Giacometti - posava davanti agli obbiettivi di noti fotografi. 

Mentre Edipo impazza e riecheggia quasi ad ogni inquadratura, il regista - ma meglio sarebbe dire i registi, visto che ciò che deve stare in campo è frutto di una negoziazione continua tra madre e figlio - rende conto della loro relazione fusionale ma anche di un percorso emblematico di emancipazione: l'evoluzione di una donna che si è sottratta consapevolmente allo stesso sistema capitalista di cui è stata meccanismo per oltre un decennio. E che poi da giornalista, docente di antropologia della moda, femminista (recuperare l'intervista in Lievito madre di Concita De Gregorio ed Esmeralda Calabria per approfondire le sue posizioni) ne ha smontato il linguaggio e la violenza.

Se al centro del discorso, oltre al desiderio di fuga e anonimato della protagonista, c'è un conflitto sui limiti del rappresentabile, non c'è dubbio che un elemento invisibile risalti con forza: l'amore incondizionato e parossistico tra i due.
Nell'ossessività connaturata a questo corpo a corpo, letteralmente esclusivo, tra il giovane filmmaker e la ex modella, che oggi sono agli antipodi quanto a desiderio di visibilità, il ritratto di donna anticonvenzionale, che qui gioca sempre a depotenziare, demistificare se stessa ("la mia faccia non è in vendita", o "la bellezza non è un merito", dice preparandosi a ricevere un'onorificenza ufficiale) trova una propria forma anche nella scelta di usare il più possibile la luce naturale e nell'armonia tra materiali e supporti diversi: il digitale della camera a mano, la pellicola a 16 e 35mm degli anni del successo e della prima maternità, gli home movies video sgranati di Barrese ragazzino, gli inserti televisivi.
Che il desiderio di scomparire sia effettivo o simbolico non è poi così rilevante: resta un insistente, liberatorio appello a rivendicare la propria indipendenza e individualità, che si muove tra filtratissimi cenni biografici, gesti prosaici in spregio all'ossessione estetica e rari, abbacinanti lampi di tenerezza e gioco.
fonte:  Recensione di Raffaella Giancristofaro www.mymovies.it

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