Una nuova boss gira per le strade della capitale Francese. È Isabelle Huppert in un’altra sfida dove potrebbe interpretare tre personaggi contemporaneamente. Tratto dal romanzo ‘La bugiarda' di Hannelore Cayre.
Comincia come un poliziesco con un’operazione delle forze
dell’ordine nelle scale di un palazzo. Con loro c’è Patiente Portefeux,
un’interprete giudiziaria arabo-francese abilissima nelle
intercettazioni telefoniche. In centrale, mentre sta traducendo, subisce
anche l’aggressione di uno degli spacciatori fermati che le sputa in
faccia.
Ci si potrebbe trovare dalle parti di un polar sporco e disilluso dalle parti di Maurice Pialat dove i colori blu scuro richiamano la fotografia di Luciano Tovoli in Police. All’interno
del genere però si costruisce la figura della protagonista che si crea
progressivamente una doppia vita per far fronte alle numerose spese che
deve affrontare.
Un giorno, mentre sta ascoltando una conversazione telefonica per
un’indagine, si accorge che il pusher sorvegliato è il figlio
dell’infermiera che si occupa della madre nella costosissima casa di
riposo (3200 euro al mese) dove alloggia e, di nascosto, cerca di
aiutarlo. Dopo aver recuperato la partita di droga, avviene la
trasformazione e si crea un’altra identità. In centrale sorvola sulle
intercettazioni che possono riguardarla segnalandola come “conversazione
senza interesse per l’attuale indagine” e depista anche il comandante
Philippe, interpretato da Hippolyte Girardot,
con cui ha una relazione. Dall’altra invece costruisce una rete
criminale dove può smaltire il carico di droga sottratto e riesce a far
perdere le sue tracce anche grazie alle sue conoscenze in ambito
giudiziario.
Una nuova boss gira per le strade di Parigi. È Isabelle Huppert
in un’altra sfida dove potrebbe interpretare tre personaggi
contemporaneamente. Nei primi due convivono il suo presente monotono
(l’interprete) ed elettrizzante (la metamorfosi nella spacciatrice nella
scena del cambio del look) che esplode nella scena dove canta, come se
fosse riposseduta, #Fêter di Panama Bende mentre sta guidando e viene
avvicinata da un ragazzo in motorino che la guarda divertito, poi le
bussa sul vetro, e le fa un gesto come se avesse capito che si è fumata
qualcosa che l’ha fatta sballare. Poi c’è il terzo personaggio che non
si vede ma si può immaginare e riguarda il passato della protagonista,
rimasta vedova giovane dopo che il marito è morto a 34 anni. C’è una
fotografia di Patiente ragazza sul lago di Ginevra. Lì dentro c’è
nascosta l’esistenza avventurosa trascorsa insieme ai suoi genitori, la
possibilità di una vita che poteva essere differente e ora le apre nuove
strade. Isabelle Huppert
possiede più volti e più corpi. Può trasformarsi da un’inquadratura
all’altra, essere al centro di una scena d’azione, comica o intima.
Il film, tratto dal romanzo "La bugiarda" di Hannelore Cayre
che è ispirato alla storia personale dei suoi genitori, è certamente
dipendente dalla performance dell’attrice che lo porta su più direzioni
contemporaneamente.
Jean-Paul Salomé, dopo aver attraversato il fantasy horror (Belfagor. Il fantasma del Louvre), il giallo (Arsenio Lupin) e il filone bellico (Fatal Agents), trova il mix giusto tra poliziesco e commedia dirigendo per la prima volta Isabelle Huppert. Nel personaggio Patiente compare lo spettro di Michèle in Elle di Verhoeven dove il suo gioco perverso con l’assalitore somiglia a quello della protagonista di La padrina con il sottobosco degli spacciatori.
Si contamina, al tempo stesso, con alcune delle escursioni nella
commedia della protagonista come nella figura dell’attrice di Il
condominio dei cuori infranti e della donna metodica e precisa di Il mio
migliore incubo!. Huppert, che non parla arabo, ha dovuto imparare le battute foneticamente. Al tempo stesso Salomé ha incontrato due interpreti giudiziari per poter approfondire alcuni passaggi narrativi decisivi. C’è quindi in La padrina
una ricerca di realismo combinata con il ritmo sostenuto della vicenda,
evidente soprattutto in alcune sequenze come quello della chiave nel
supermercato, nei filmati video registrati dalle telecamere, nella
contagiosa follia che potrebbe arrivare da un film di Francis Veber degli anni ’80 nel continuo rimpallo tra equivoci e malintesi.
In più mostra come il cinema francese guarda, anche se in questo caso non in maniera diretta, la spy-story, tra alcuni film di Belmondo (L’uomo di Rio, L’uomo di Hong Kong) e recenti riaggiornamenti come l’agente speciale 117 al centro della trilogia con protagonista Jean Dujardin. In effetti, La padrina avrebbe tutte le carte in regola per un sequel.
LA PADRINA: VAI ALLA RECENSIONE
fonte: Simone Emiliani www.mymovies.it
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