sabato 26 febbraio 2022

Cinema:"Senza fine"di Elisa Fuksas, un ritratto audace di Ornella Vanoni

Un ritratto audace di Ornella Vanoni e della sua carriera multiforme e colossale, tra metafora acquatica e cornice elegante. Recensione di Raffaella Giancristofaro

Un film di Elisa Fuksas con Ornella Vanoni, Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Paolo Fresu, Elisa Fuksas.
Un ritratto, un omaggio ma soprattutto la ricerca del modo giusto di raccontare Ornella Vanoni

La scrittrice e regista Elisa Fuksas aspetta in un autogrill Ornella Vanoni, per girare un film di cui lei sarà protagonista. Il set è l'elegante l'Health Clinic & Grand Hotel di Castrocaro (Forlì-Cesena), struttura termale inaugurata alla fine degli anni '30, oggi spa e albergo a cinque stelle. Qui la cantante è accolta anche da un medico, a cui riferisce delle sue abitudini di vita, da dietro un vetro opaco.

Tra un centrifugato di frutta, un bagno in piscina, una lezione di postura e un'indicazione di scena, un po' si confida, molto spesso accenna canzoni, riceve la visita degli amici Paolo Fresu, Vinicio Capossela e Samuele Bersani. Intanto, regista e troupe, per lo più, rispettano e aspettano i suoi tempi, con ovvie conseguenze sul piano di produzione.

Scritto da Elisa Fuksas e Monica Rametta, così come il precedente e più personale iSola (2020), Senza fine è prima di tutto una manifestazione d'audacia: tentare di incorniciare in un film una carriera multiforme e colossale e una personalità esuberante come Ornella Vanoni richiede una certa spavalderia. Anche qualcosa di più, se si viene da fuori Milano.

Ma Fuksas non teme di mettersi in campo dall'inizio, da sola e a fianco al suo oggetto di ricerca: nella sua stanza, provvista di vasca sinuosa a un passo dal letto, ai vari tavoli dell'albergo, tra terrazze e ricercati angoli déco, in passeggiata nel parco, immersa in una piscina d'acqua verde.

Mentre raccoglie confidenze, come un'amica giovane, acquisita di recente, parimenti anticonvenzionale, inanella dettagli, l'occhio per l'inquadratura non manca. La chiave per avvicinare la creatura quasi mitologica che è "la Vanoni" - che in "Toy Boy" modula "È tardi, tardi, tardi / per me sirena tra la gente" e che ha come sorella d'elezione un'inseparabile barboncina di nome Ondina - è assecondarne la natura spontaneamente acquatica.

Inquadrare un corpo (da sempre) alieno, sessualmente anfibio, e immaginarlo gradualmente mutarsi in pesce. Idea che infatti, per quanto non praticata con sufficiente convinzione, regala il momento migliore del film - il finale - a cui da grande performer Vanoni si presta. Almeno, fino a un certo punto. Perché, nonostante la chimica evidente tra regista e primattrice, lo scambio tra personalità forti fa scintille, o più semplicemente perché il tempo a disposizione è troppo poco: non tanto per riformulare per l'ennesima volta ciò che è già stato detto in decine di tour, interviste, libri ("Una bellissima ragazza"), film (Ricetta di donna), ma perché il gioco abbia una sua rotonda compiutezza, uno scarto effettivo rispetto alla classica intervista di carriera che la regista dice di voler evitare.

E così, sotto la fotografia nitida, di Simone D'Arcangelo e Emanuele Zarlenga, che padroneggia contrasti cromatici e cattura simmetrie, si percepisce un certo caos: mentre la celebrazione del passato sembra respinta al mittente, irrompono tra una scena e l'altra, come tuffi al cuore, alcuni grandi successi, in ricercate esibizioni di classici dell'era televisiva in bianco e nero ("Eternità", "Senza fine", "Un'ora sola ti vorrei", "Domani è un altro giorno").

Quando, in più occasioni, il filo si perde, il montaggio di Michelangelo Garrone trova delle accelerazioni improvvise, aggregando momenti di un set evocativo e sofisticato quanto il vibrato della protagonista. Ambientazioni che, con buona pace dell'approccio "alla Guadagnino", molto fanno ma non risolvono il film.

Cronaca di uno splendido fallimento, di dialoghi autoreferenziali e rari momenti irresistibili (il medico: "Com'era, quand'era giovane?". Lei: "Giovane quando?"), Senza fine lascia un sapore di frustrazione, come quando registra le presenze piuttosto decorative dei tre musicisti compagni di viaggio, schiacciati da una Vanoni larger than life, sempre ironica, leggera, eppure ancora in parte sovrastata da quell'immagine di sé che campeggia nel grande schermo del prefinale. Il making of di un film forse impossibile, concluso in acqua, recitando un'Ave Maria di protezione.

fonte: Raffaella Giancristofaro  www.mymovies.it

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