Un ritratto audace di Ornella Vanoni e della sua carriera multiforme e colossale, tra metafora acquatica e cornice elegante. Recensione di Raffaella Giancristofaro
Un film di Elisa Fuksas con Ornella Vanoni, Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Paolo Fresu, Elisa Fuksas.
Un ritratto, un omaggio ma soprattutto la ricerca del modo giusto di raccontare Ornella Vanoni
La scrittrice e regista Elisa Fuksas aspetta in un autogrill Ornella Vanoni, per girare un film di cui lei sarà protagonista. Il set è l'elegante l'Health Clinic & Grand Hotel di Castrocaro (Forlì-Cesena), struttura termale inaugurata alla fine degli anni '30, oggi spa e albergo a cinque stelle. Qui la cantante è accolta anche da un medico, a cui riferisce delle sue abitudini di vita, da dietro un vetro opaco.
Tra un centrifugato di frutta, un bagno in piscina, una lezione di postura e un'indicazione di scena, un po' si confida, molto spesso accenna canzoni, riceve la visita degli amici Paolo Fresu, Vinicio Capossela e Samuele Bersani. Intanto, regista e troupe, per lo più, rispettano e aspettano i suoi tempi, con ovvie conseguenze sul piano di produzione.
Scritto da Elisa Fuksas e Monica Rametta, così come il precedente e più personale iSola (2020), Senza fine è prima di tutto una manifestazione d'audacia: tentare di incorniciare in un film una carriera multiforme e colossale e una personalità esuberante come Ornella Vanoni richiede una certa spavalderia. Anche qualcosa di più, se si viene da fuori Milano.
Ma Fuksas non teme di mettersi
in campo dall'inizio, da sola e a fianco al suo oggetto di ricerca:
nella sua stanza, provvista di vasca sinuosa a un passo dal letto, ai
vari tavoli dell'albergo, tra terrazze e ricercati angoli déco, in
passeggiata nel parco, immersa in una piscina d'acqua verde.
Mentre raccoglie confidenze, come un'amica giovane, acquisita di
recente, parimenti anticonvenzionale, inanella dettagli, l'occhio per
l'inquadratura non manca. La chiave per avvicinare la creatura quasi
mitologica che è "la Vanoni" - che in "Toy Boy" modula "È tardi, tardi,
tardi / per me sirena tra la gente" e che ha come sorella d'elezione
un'inseparabile barboncina di nome Ondina - è assecondarne la natura
spontaneamente acquatica.
Inquadrare un corpo (da sempre) alieno, sessualmente anfibio, e
immaginarlo gradualmente mutarsi in pesce. Idea che infatti, per quanto
non praticata con sufficiente convinzione, regala il momento migliore
del film - il finale - a cui da grande performer Vanoni si presta.
Almeno, fino a un certo punto. Perché, nonostante la chimica evidente
tra regista e primattrice, lo scambio tra personalità forti fa
scintille, o più semplicemente perché il tempo a disposizione è troppo
poco: non tanto per riformulare per l'ennesima volta ciò che è già stato
detto in decine di tour, interviste, libri ("Una bellissima ragazza"),
film (Ricetta di donna),
ma perché il gioco abbia una sua rotonda compiutezza, uno scarto
effettivo rispetto alla classica intervista di carriera che la regista
dice di voler evitare.
E così, sotto la fotografia nitida, di Simone D'Arcangelo e Emanuele
Zarlenga, che padroneggia contrasti cromatici e cattura simmetrie, si
percepisce un certo caos: mentre la celebrazione del passato sembra
respinta al mittente, irrompono tra una scena e l'altra, come tuffi al
cuore, alcuni grandi successi, in ricercate esibizioni di classici
dell'era televisiva in bianco e nero ("Eternità", "Senza fine", "Un'ora
sola ti vorrei", "Domani è un altro giorno").
Quando, in più occasioni, il filo si perde, il montaggio di Michelangelo Garrone
trova delle accelerazioni improvvise, aggregando momenti di un set
evocativo e sofisticato quanto il vibrato della protagonista.
Ambientazioni che, con buona pace dell'approccio "alla Guadagnino",
molto fanno ma non risolvono il film.
Cronaca di uno splendido fallimento, di dialoghi autoreferenziali e rari
momenti irresistibili (il medico: "Com'era, quand'era giovane?". Lei:
"Giovane quando?"), Senza fine lascia un sapore di
frustrazione, come quando registra le presenze piuttosto decorative dei
tre musicisti compagni di viaggio, schiacciati da una Vanoni larger than life,
sempre ironica, leggera, eppure ancora in parte sovrastata da
quell'immagine di sé che campeggia nel grande schermo del prefinale. Il making of di un film forse impossibile, concluso in acqua, recitando un'Ave Maria di protezione.
fonte: Raffaella Giancristofaro www.mymovies.it
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