Queers, intersex, eccetera.
Si allungano gli acronimi inventati dalle giovani avanguardie della liberazione sessuale. Ma più di quattro, per un acronimo, sono troppe, anche per una lesbica
La voglia di inclusività non conosce limiti.
Nemmeno l’estetica o il buon gusto riescono a contenere la proliferazione di acronimi che le nuove categorie di generi, identità, orientamenti sessuali, che tanto entusiasma le giovani avanguardie del movimento di liberazione sessuale.
Più lettere per tutti, dunque: dall’acronimo LGBT al LGBTQIIAA.
Ne parla il New York Times, che prova a tracciare sull’evoluzione delle questioni di genere fra i giovani americani.
DA LGBT A LGBTQIIAA.
Non ci sono soltanto lesbiche, gay, bisessuali-bigender, transessuali-transgender. Il nuovo che avanza si fa chiamare LGBTQIIAA.
«I giovani di oggi non si sentono definiti dai LGBT», ha dichiarato Shane Windmeyer, uno dei fondatori di Pride Campus, un gruppo nazionale di difesa degli studenti “diversi”.
Così in università e sui social-media, nascono i nuovi acronimi.
LGBTQIA e LGBTQIIA, per esempio, dove “Q” significa sia “questions” sia “queer” (travestiti), “I” per “intersex”, persone che hanno anatomia sia maschile che femminile, e “A” per “alleato” (amico della causa di liberazione sessuale) o “asessuato” (persona definita dalla mancanza di attrazione sessuale).
LE UNIVERSITÀ SI APRONO.
A chi è riuscito a liberarsi dal regime binario dell’eterossessualità egemonica, qualche università americana offre servizi sempre più specifici, che non si sottraggono dall’uso dei nuovi acronimi.
L’Università del Missouri, Kansas City, per esempio, ha un LGBTQIA Resource Center, che, tra le altre cose, aiuta gli studenti a trovare servizi igienici “gender-neutral”.
Al Vassar College si trovano molti gruppi di discussione sui LBGTQIA e la Lehigh University ospiterà la sua seconda edizione della conferenza intercollegiale LGBTQIA.
L’Amherst College ha un centro LGBTQQIAA, dove ogni genere può ricevere la propria lettera dell’alfabeto.
Inoltre, secondo New York Times e Pride Campus, «almeno 203 campus consentono agli studenti transgender di ottenere una stanza del proprio genere elettivo».
«Quarantanove danno il permesso di cambiare il proprio nome e il proprio sesso nel curriculum universitario, 57 offrono una copertura finanziaria per la terapia ormonale».
NON-CISGENDER.
Cisgender significa aderente al proprio genere.
Non-cisgender, quindi, si adatterebbe a una folta platea di persone che non vi si riconoscono.
Ma non si applica a Kate Campbell, una giovane appartente alle avanguardie, che ritiene la propria identità sessuale alla stregua di un blob amorfo.
Si definirebbe agender o bigender, dunque, e non potrebbe far parte della definizione non-cisgender.
Essere bi-genere, spiega un altro studente, è «come avere un pene staccabile». Dipende dal giorno.
Ogni tanto ci si sveglia pensando di essere un maschio, ogni tanto una femmina.
ACRONIMI CACOFONICI.
In un corso di scrittura creativa alla PENN University, la professoressa e giornalista Gail Shister, una lesbica, ha criticato alcuni studenti per l’utilizzo dei vari acronimi. Gli studenti hanno protestato: non capisci l’idea (inclusività assoluta).
Ma per Shister, che pure condivide gli ideali del nuovo movimento di liberazione sessuale, che non si limita a trasgredire la Legge del Fallo, ma aspira alla sua abolizione, questi acronimi di cinque, sei lettere, sono semplicemente brutti.
fonte http://www.tempi.it
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