lunedì 6 febbraio 2012

Lgbt: Libri “Invidia”: il peccato più comune, di Giuseppe Benassi

Il terzo riuscitissimo romanzo psicologico e filosofico di Giuseppe Benassi, di Sassoscritto editore.

L’invidia è un peccato capitale o il grande motore della vita sociale?

E ancora: è l’invidia un sentimento così feroce in grado di rovinare un’intera esistenza? E noi siamo così sicuri di essere immuni da quell’invidia che tanto disprezziamo negli altri?

Alla sua terza prova da romanziere, dopo “Omicidio a Calafuria ed altri putiferi” e l’ottimo giallo metafisico “L’omicidio Serpenti o il segreto del bosco sacro” (Bastogi ed.), l’avvocato reggiano Giuseppe Benassi decide di dedicarsi ad uno dei sentimenti più profondi dell’uomo: l’invidia. Tra i peccati il più inconfessabile e malgrado (o grazie a) questo, il più comune.

La storia si svolge a Livorno, dove ritroviamo l’avvocato Borrani, geniale e misantropo, alle prese con un architetto che odia la moglie perché troppo invidiosa. Un banale caso di divorzio. Ma ecco la scintilla: “Ci sarebbe un’altra strada, forse più rischiosa”. E come sempre l’imprevedibile Borrani genera una storia affascinante che, lontana dalle carte processuali risolverà problemi ben più alti delle procedure di un divorzio, e lo farà ovviamente in modo così insospettabile che il finale risulterà inatteso anche per lo stesso burattinaio.

Sì, perché giocando con i destini delle persone si possono incontrare giocatori altrettanto abili: il contraltare di Borrani è infatti l’avvocatessa Ruzzi, femminista coriacea, intelligente e capace di tenere testa alle regressioni e alle misoginie di Borrani, che si troverà a consigliare alla moglie “invidiosa” un’alternativa efficace alle mosse dello stimatissimo nemico.

Tutto questo gioco troverà poi altri protagonisti, il barbaro Ninci, il maestro di vita Iannuccelli, ma soprattutto un particolare anfitrione, un’esegeta dei dubbi, che libererà la moglie invidiosa facendole apprezzare un universo più ampio delle vetrine dei negozi, discorsi più profondi delle vanterie tra colleghe e un mondo più vivo della compagnia sterile di un marito “invidioso”.

E’ un libro riuscitissimo, dove l’equilibrio tra una narrazione divertente e brillante (pezzi di bravura sono i battibecchi tra Borrani e Ruzzi ma soprattutto il flusso di coscienza dell’architetto “in prigione”) si fonde con la profondità di una riflessione filosofica e psicologica. Non si curano con le medicine o con le carte bollate, infatti, i mali dello spirito: chi vuol rinascere deve farlo attraverso un percorso di autocoscienza che è prima di tutto un intimo percorso culturale. Per curare gli invidiosi non gli si strappano certo gli occhi, ma si può insegnar loro a vedere oltre i consueti orizzonti: dentro di sé, per esempio.

Davvero un bel romanzo. Consigliatissimo agli invidiosi, magari per cominciare a curarsi, ma soprattutto a chi pensa di non esserlo, intanto per capire:
poi in un secondo momento, magari, per guarire
fonte http://www.reporter.it di Nico Biagianti

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