venerdì 3 febbraio 2012

Lgbt libri “Il gioco delle parti” Intervista a Laura Schettini, Tracce, percorsi e trasformazioni di identità e culture: i femminielli e la Candelora”

In vista della “Giornata di approfondimento sui femminielli e la Candelora” prevista per Mercoledì 1 febbraio a partire dalle ore 17:30 al Circolo della Stampa, pubblichiamo qui un’intervista alla storica Laura Schettini sul suo libro ”Il gioco delle parti”, che verrà presentato durante la giornata di studi e precederà il seminario “Il transito delle tradizioni.

Tracce, percorsi e trasformazioni di identità e culture: i femminielli e la Candelora”.

XXD incontra la trentasettenne Laura Schettini, ricercatrice e autrice del libro Il gioco delle parti, un appassionante racconto storico sui travestimenti di genere, di estrema attualità in questi giorni di Europride a Roma.

Come sei arrivata a scrivere un libro su questo tema?

La passione per la storia e la ricerca nasce da un’esperienza collettiva, del collettivo femminista “Il colpo della strega” di Roma. Nei primi anni Novanta scoprimmo il femminismo e ci mettemmo a studiarlo e insieme a studiare la storia delle donne, leggendo e scambiandoci libri, facendo interviste a donne di altre generazioni che avevano fatto politica, organizzando seminari e iniziative.

È stata un’esperienza esaltante e da allora la passione per la storia è proseguita fino alla laurea e poi al dottorato in Storia delle donne e dell’identità di genere. Credo che ancora da più lontano venga la mia curiosità per il travestitismo e per le ansie culturali di fronte a quanti e quante confondono i modelli di genere.

Da piccola giocavo a pallone e vestivo i pantaloni e per questo per anni, fino all’adolescenza, sono stata per tutti “la masculona”.

Infatti il tuo libro non parla solo di travestite o travestiti e delle loro “eccentriche biografie” ma anche e soprattutto di come la società reagisce alla loro presenza.

Quello che mi ha colpito nel corso delle mie ricerche è proprio la veemenza con cui i passanti insorgono alla vista di una donna in abiti maschili a Napoli come a Firenze, o l’ostinazione con cui la pubblica sicurezza tallona un noto travestito romano per quasi vent’anni, per fare solo due esempi.

Se i travestiti e le travestite sono sempre esistiti, come le fonti scritte e iconografiche testimoniano, ed essi sono stati di volta in volta sacralizzati, catalogati come eccentricità della natura, stigmatizzati o al contrario mitizzati a seconda delle epoche e degli ambienti, a fine Ottocento cambia radicalmente qualcosa: i travestiti e le travestite diventano un pericolo sociale.

I principali attori sociali del periodo − gli scienziati positivisti, la stampa, i nuovi ceti popolari urbani, i primi sociologi, la pubblica sicurezza − si affollano tutti intorno alle vicende di travestimento, facendone un vero e proprio affaire pubblico.

Perché in quei decenni si dà tanta importanza ai travestimenti di genere rispetto, per esempio, a epoche precedenti?

Sono molti gli elementi che portano a questo passaggio. Prima di tutto l’Italia a cavallo tra i due secoli è un paese in profonda trasformazione, non solo dal punto di vista politico e amministrativo perché è da poco diventata un Regno unito. Insieme c’è l’industrializzazione, lo sviluppo delle città, l’inurbamento di una parte della popolazione, la circolazione di nuove mode e consumi culturali, la nascita della stampa popolare.

È un periodo di grande fermento e grandi cambiamenti e a essere sollecitati, come ovvio, sono anche le strutture familiari e i modelli di genere. E sono anche le più temute.

Ad esempio, che le donne stessero “mascolinizzandonsi”, vale a dire entrando in spazi sociali e assumendo ruoli, comportamenti, occupazioni e costumi fino ad allora prerogativa degli uomini, così come che gli uomini si stessero “infiacchendo” per via di nuovi lavori e stili di vita, è un sentimento assai diffuso nel periodo. Le autorità, la scienza positivista, la stampa reagiscono tentando una rigida codificazione dei modelli di genere.

In questo quadro si può comprendere il ruolo-chiave che finiscono con il giocare, a volte loro malgrado, i travestiti e le travestite. L’esistenza di persone che mutano la loro identità di genere finisce con il rappresentare la sfida alla staticità e alla stabilità dei ruoli assegnati a uomini e donne.

Come mostro nel libro, il campo dei travestimenti finisce per rappresentare nell’Italia fin de siécle uno dei terreni più importanti di confronto/conflitto tra istanze di rinnovamento e di conservazione rispetto ai modelli di sessualità e di genere. Tanto che il travestitismo viene scelto negli stessi anni come terreno di sperimentazione di nuove forme di soggettività e libertà da una nuova leva di attori sociali.

Le «donne nuove», circoli di artiste o donne sulla via dell’emancipazione, ma anche le prime comunità di omosessuali, ricorrono ampiamente in quei decenni al travestitismo come pratica di costruzione e svelamento dell’identità, sfidando loro per primi, sul piano simbolico, le autorità e i modelli di mascolinità e femminilità dominanti.

Cosa è cambiato secondo te oggi?

Credo che come al solito ci siano persistenze e discontinuità. Sicuramente una grossa novità degli ultimi sessant’anni è la diffusione della chirurgia plastica e dei trattamenti ormonali, la nascita della categoria del “transgender” e del transessuale.

Quindi da una parte c’è l’irreversibilità delle scelte e l’ancoraggio ancora una volta del genere al sesso e al corpo, dall’altra non è secondo me molto cambiato il modo in cui queste figure dal “sesso incerto”, come venivano definite cento anni fa, sono percepite: continuano a essere delle figure minacciose e pericolose su cui si appunta in modo morboso l’attenzione pubblica. Una prova estrema sono le polemiche che ogni anno si scatenano intorno alla presenza vistosa e scostumata delle trans durante i Pride.

Ciò su cui occorrerebbe riflettere è che alcune componenti del mondo gay e del femminismo si sentano minacciate da questi corpi ostentati. Ancora una volta, secondo me, si incappa nell’errore di scavalcare completamente la soggettività trans o dei travestiti e di farne delle figure che rimandano sempre ad altro, che sono la cartina tornasole dei modelli di genere socialmente accettati o faticosamente conquistati, ma mai dei soggetti in sé e per sé.

In questo senso c’è chi polemizza con le trans perché propongono un modello di femminilità che si vorrebbe superare, tutto tette e seduzione, e chi lo fa perché tradiscono il tentativo di una parte del mondo gay di comunicare normalità. Forse la storia dovrebbe insegnarci che non solo i generi sono più di due, ma anche che la propria libertà e affermazione non passa attraverso l’esclusione e la creazione di nuove gerarchie.
fonte http://candelora.wordpress.com L’intervista è tratta da XXD-Rivista i varia donnità

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