La parola più abusata per eccellenza del ventunesimo secolo è: crisi.
Un concetto ampio, che si è esteso in qualsiasi campo, dal governo alle
relazioni, sino al campo ideologico.
Una parola che spesso rimbomba
anche nei corridoi del cinema italiano, per descrivere in sintesi un
momento creativo preoccupante. Ma come se ne esce?
Una risposta prova a
darla il regista indipendente Andrea Castoldi, che con il suo ultimo
lavoro Non si puo’ morire ballando conferma come le idee, quelle su cui scommettere, sono ancora il miglior antidoto all’apatia artistica. La sua è un’opera coraggiosa, una boccata d’aria fresca che ci fa respirare a pieni polmoni – o almeno con quel che ne resta.
Il film è un turbinio emotivo non indifferente che,
nonostante un inizio eccessivamente lento, trasporta lo spettatore in
un’analisi sentimentale in cui è difficile non ritrovarsi e, chissà,
magari anche riconoscersi. Il merito è da spartire in diversi e uguali
parti.
Prima di tutto una sceneggiatura puntuale e profonda, che
attraverso dialoghi carichi di significati raggiunge il suo scopo: stimolare i sentimenti del pubblico.
E poi un’orchestra di attori, professionisti e non, capaci di
interpretare ognuno lo spessore del proprio ruolo in maniera davvero
convincente.
Non si può morire ballando è un lavoro di grande qualità anche a livello tecnico nonostante
i mezzi sicuramente limitati, che spesso per forza maggiore diventano
un limite per il film stesso, ma non è questo il caso. Nel suo piccolo e con le sue possibilità, Andrea Castoldi ci aiuta a respirare un po’, lasciandoci persino con una microscopica speranza per il futuro.
fonte: Fabrizio la Sorsa
www.1977magazine.com
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