domenica 6 agosto 2023

Il Principe arriva su Netflix: “qualcuno vuole uno champagnino?”

Vittorio Emanuele di Savoia - Netflix
 Recensione di  

 La nuova docuserie su Vittorio Emanuele di Savoia è un racconto corale su una vicenda complessa e controversa, dal punto di vista umano e giudiziario. E merita di essere vista. 

 Le docuserie di Netflix come Il Principe, disponibile da oggi sulla piattaforma, sono in genere molto seguite per almeno due ragioni: approfondiscono personaggi e vicende controversi e sanno raccontarli alle nuove generazioni che non li conoscono ancora. 

È stato così per Vincenzo Muccioli, al centro di SanPa, per Wanna Marchi protagonista di Wanna e adesso per Vittorio Emanuele di Savoia nella nuova docuserie diretta da Beatrice Borromeo Casiraghi. Come in Wanna anche qui c’è il diretto interessato a parlare in prima persona, insieme a membri della famiglia Savoia (da Marina di Savoia a Emanuele Filiberto) e ai testimoni della tragedia accaduta la notte del 18 agosto del 1978 all’Isola di Cavallo, in cui perse la vita Dirk Hamer. Ne Il Principe la narrazione, volutamente e doverosamente corale, risulta interessante sin dal primo episodio, segue un ritmo incalzante e persegue il chiaro intento di far luce sulla vicenda sospendendo ogni giudizio e lasciando piuttosto ai protagonisti la possibilità di raccontare la vicenda per come l’hanno vissuta, nel bene e nel male.

Vittorio Emanuele di Savoia - Netflix
 Al centro della serie c’è un delitto che potrebbe ispirare un gangster movie da grande cinema, con al centro l’ultimo erede al trono d’Italia, un principe allora in esilio accusato di omicidio. Attorno a lui, in una gravitazione accusatoria perenne, una serie di testimoni che denunciano sparizioni misteriose di prove cruciali, tentativi di far passare l’omicidio come “un incidente insignificante”, il trasferimento di un giudice a Tahiti e una serie di altre anomalie piuttosto clamorose che culminano in un’assoluzione alla Corte di Assise di Parigi, malgrado l’instancabile lavoro di denuncia e protesta della sorella della vittima. Ex top model, Birgit Hamer diventa una sorta di eroina decisa a lottare affinché suo fratello ottenga giustizia. Una vicenda così complessa, dal punto di vista giudiziario e umano, meritava un racconto altrettanto multistratificato, accurato e interessante come questa serie, decisamente da vedere.

La famiglia Hamer - Netflix
Perché pur trattando una vicenda del 1978, la visione resta attuale per una serie di motivi, dagli infiniti stratagemmi e privilegi di una classe sociale ormai sulla carta inesistente, quella monarchica (siamo orgogliosamente repubblicani), fino al senso di impunità che ogni delitto senza castigo trascina con sé. Ognuno si farà una sua idea in merito alla vicenda e al protagonista, coinvolto in altri casi molto controversi. Resta che dopo l’arcinota confessione involontaria intercettata in cella, che lui ancora oggi nega, così potente che avrebbe potuto decostruire ogni linea difensiva (ma così non è andata), sentirlo affermare di non avere rimorsi fa male. “Anche se avevo torto... devo dire che li ho fregati. È davvero eccezionale: venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità importanti. Ero sicuro di vincere“. Fa male, come fa male quel suo “Chi vuole uno champagnino?” nel finale, che in un attimo rievoca l’odore stantio di abuso di potere e arroccamento sui propri privilegi che una certa classe sociale ha a lungo portato con sé. Ieri la chiamavamo monarchia, oggi potrebbe avere altri nomi. 

fonte: Recensione di   www.wired.it

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