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Vittorio Emanuele di Savoia - Netflix |
Recensione di Claudia Catalli. La nuova docuserie su Vittorio Emanuele di Savoia è un racconto corale
su una vicenda complessa e controversa, dal punto di vista umano e
giudiziario. E merita di essere vista.
Le docuserie di Netflix come Il Principe,
disponibile da oggi sulla piattaforma, sono in genere molto seguite per
almeno due ragioni: approfondiscono personaggi e vicende controversi e
sanno raccontarli alle nuove generazioni che non li conoscono ancora.
È
stato così per Vincenzo Muccioli, al centro di SanPa, per Wanna Marchi protagonista di Wanna e adesso per Vittorio Emanuele di Savoia nella nuova docuserie diretta da Beatrice Borromeo Casiraghi. Come in Wanna anche qui c’è il diretto interessato a parlare in prima persona,
insieme a membri della famiglia Savoia (da Marina di Savoia a Emanuele
Filiberto) e ai testimoni della tragedia accaduta la notte del 18 agosto
del 1978 all’Isola di Cavallo, in cui perse la vita Dirk Hamer. Ne Il Principe la narrazione, volutamente e doverosamente corale, risulta interessante sin dal primo episodio, segue un ritmo incalzante
e persegue il chiaro intento di far luce sulla vicenda sospendendo ogni
giudizio e lasciando piuttosto ai protagonisti la possibilità di
raccontare la vicenda per come l’hanno vissuta, nel bene e nel male.
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Vittorio Emanuele di Savoia - Netflix |
Al centro della serie c’è un delitto che potrebbe ispirare un gangster movie da grande cinema,
con al centro l’ultimo erede al trono d’Italia,
un principe allora in esilio accusato di omicidio. Attorno a lui, in
una gravitazione accusatoria perenne, una serie di testimoni che
denunciano sparizioni misteriose di prove cruciali, tentativi di far
passare l’omicidio come “
un incidente insignificante”, il trasferimento di un giudice a Tahiti e una serie di altre anomalie piuttosto clamorose che culminano in
un’assoluzione alla Corte di Assise di Parigi, malgrado l’instancabile lavoro di denuncia e protesta della sorella della vittima. Ex top model,
Birgit Hamer
diventa una sorta di eroina decisa a lottare affinché suo fratello
ottenga giustizia. Una vicenda così complessa, dal punto di vista
giudiziario e umano, meritava
un racconto altrettanto multistratificato, accurato e interessante come questa serie, decisamente da vedere.
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La famiglia Hamer - Netflix |
Perché
pur trattando una vicenda del 1978, la visione resta attuale per una serie di motivi,
dagli infiniti stratagemmi e privilegi di una classe sociale ormai
sulla carta inesistente, quella monarchica (siamo orgogliosamente
repubblicani), fino al senso di impunità che ogni delitto senza castigo
trascina con sé. Ognuno si farà una sua idea in merito alla vicenda e al
protagonista, coinvolto in altri casi molto controversi. Resta che dopo
l’arcinota
confessione involontaria intercettata in cella,
che lui ancora oggi nega, così potente che avrebbe potuto decostruire
ogni linea difensiva (ma così non è andata), sentirlo affermare di non
avere rimorsi fa male. “
Anche se avevo torto... devo dire che li ho
fregati. È davvero eccezionale: venti testimoni, e si sono affacciate
tante di quelle personalità importanti. Ero sicuro di vincere“. Fa male,
come fa male quel suo “Chi vuole uno champagnino?” nel finale,
che in un attimo rievoca l’odore stantio di abuso di potere e
arroccamento sui propri privilegi che una certa classe sociale ha a
lungo portato con sé. Ieri la chiamavamo monarchia, oggi potrebbe avere
altri nomi.
fonte: Recensione di Claudia Catalli www.wired.it
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