Nasser Mohamed ha ottenuto asilo negli Usa: "Infantino non sa – o sceglie di ignorare – che i gay sono fisicamente torturati". E durante i Mondiali "tutti sono sotto controllo"
La comunità Lgbtq+ in Qatar è in pericolo. Aiutate le persone che
vogliono andare via a trovare asilo. E parlate con i governi dei vostri
Paesi”.
E’ questo l’appello che arriva da Nasser Mohamed, l’unico qatarino ad aver fatto coming out in maniera pubblica. In foto: Nasser Mohamed, Qatar
Ha 35 anni. E 11 fa ha deciso di lasciare il proprio Paese per completare la propria formazione come medico negli Stati Uniti, ma anche per essere finalmente libero di dichiararsi pubblicamente omosessuale.
“Nel 2015 ho chiesto asilo perché sono gay, e mi è stato ufficialmente riconosciuto nel 2017, per ‘ragioni di orientamento sessuale’ “.
Tutta
la sua famiglia è in Qatar: “Quando nel 2015 ho deciso di dire loro che
sono gay, loro hanno interrotto ogni rapporto con me, mi hanno tagliato
fuori dalla famiglia.
Quindi ora per me è impossibile tornare nel mio Paese. Perché la mia famiglia sa. Perché ora il mio orientamento sessuale è pubblico. E quindi sarei in pericolo”.
In Qatar l’omosessualità è considerata un reato.
“Nel
mese di maggio ho deciso di rendere pubblico che sono gay perché la
comunità Lgbtq+ in Qatar è realmente in pericolo. Se sei gay e vivi in
Qatar o vivi nel silenzio o devi andare via. Io non sono l’unico ad
essere andato via. Molte persone si sono rifugiate negli Stati Uniti, in Canada, in Germania.
Ho
deciso di parlare pubblicamente perché fino a pochi mesi fa non
esistevano rapporto ufficiali sul trattamento riservato agli omosessuali
in Qatar. E anche la campagna di comunicazione della Fifa in
vista dei mondiali non dice la verità, non racconta tutta la storia, non
dice ciò che subiamo realmente.
Così quest’anno c’era
l’opportunità per dire: ok, ci sono i mondiali in Qatar, ma voi dovete
sapere anche quello che accade qui agli omosessuali e il motivo per cui
noi continuiamo a scappare. Era una opportunità unica per far uscire dal silenzio il tema della persecuzione dei gay in Qatar.
Io
ho parlato con il governo americano, con il Dipartimento di Stato, con
alcuni governi europei. E alcuni realmente non sapevano qual è la
situazione nel mio Paese. E questo ha permesso di inviare dei
ricercatori. E ora finalmente esistono dei rapporti ufficiali. Dei
documenti. Delle prove”.
Dicevi che anche altre persone sono scappate dal Qatar perché gay. Ma tu sei l’unico che parla pubblicamente. Perché?
“Anche altre persone stanno parlando. Ma preferiscono non mostrare il loro viso e il loro nome perché sono spaventati. Se le loro famiglie scoprono in quale Paese sono andati, corrono il rischio di essere raggiunti da loro per essere riportati in Qatar. Conosco casi in cui è successo. In particolare, a donne.
Nel mio caso, invece, io ho potuto parlare pubblicamente perché la mia famiglia ha deciso di non volerne sapere più nulla di me, di tagliarmi fuori. Non abbiamo più alcun tipo di rapporto. E questo mi ha dato la possibilità di fare coming out pubblicamente”.
In questo momento in Qatar ci sono migliaia di giornalisti. Perché fino ad ora nessuno della comunità Lgbtq+ ha parlato?
“In
questo momento parlare con gay che ancora vivono in Qatar è
impossibile. In vista dei Mondiali, il governo di Doha ha aumentato la
cyber-sorveglianza su tutti i cittadini. Tutti sono sotto controllo. Anche le conversazioni provate vengono lette.
E se un abitante del Qatar parla con un giornalista per qualunque
motivo può essere accusato di ‘crimine informatico’, e per questo
rischierebbe la prigione”.
Ma quando dopo la finale si
spegneranno i riflettori, il rischio è che la persecuzione della
Comunità Lgbtq+ tornerà nel silenzio.
“La speranza è che ora le
organizzazioni per i diritti umani, i governi continuino a tenere accesa
l’attenzione. Quella dei media andrà calando, lo sappiamo. Ma ora che
esistono rapporti ufficiali speriamo che prosegua la pressione sul Qatar
da parte di ong e governi stranieri”.
In occasione della
conferenza stampa alla vigilia dei mondiali, il presidente della Fifa
Gianni Infantino ha detto che ‘oggi si sente gay’. Cosa hai pensato
ascoltando quel discorso?
“Quel discorso è così sbagliato. E’
così lontano dalla realtà. Dicendo ‘oggi mi sento qatarino, arabo,
disabile, gay’, ha paragonato diversi tipi di discriminazione. Ma non
c’è tra di loro alcuna analogia. Infantino non sa – o sceglie di ignorare – che i gay qatarini sono fisicamente torturati e alcuni hanno perso la vita per questo”.
Però,
in quella occasione il responsabile dei rapporti con la stampa, Bryan
Swanson, che era con lui ha detto pubblicamente di essere gay
“Nessuno nega che il Qatar tratti in maniera diversa i gay stranieri rispetto a quelli qatarini.
Il Qatar ha sempre un doppio standard. Voi pensate che un americano o
un britannico che lavora in Qatar venga minacciato come accade a un
nepalese o un filippino? No.
Perché il Qatar ha un modo diverso di
trattare le persone in base al Paese di provenienza e ai rapporto con i
governi di quei Paesi.
Il Qatar non perseguita i gay di altri Paesi. Noi invece siamo vittime di una vera persecuzione”.
Quando eri in Qatar sei stato fidanzato?
“No.
Allora vivevo nel silenzio. Perché era un rischio troppo grande.
Esistevano chat per incontri, per appuntamenti. Ma già allora sapevo che
erano frequentate anche dalla polizia che le usava per invididuare gay, e arrestarli quando si incontravano. E’ successo ad alcuni miei amici. Per questo non ho mai provato. Era un rischio troppo grande”.
Cosa può fare la comunità internazionale per la comunità Lgbtq+ del Qatar?
“Prima di tutto aiutare le persone. Se ci sono Paesi pronti ad ospitarle, aiutarle ad andare via.
Poi sostenere e diffondere il lavoro delle organizzazioni in difesa dei diritti umani che raccontano quello che accade nel mio Paese.
E, infine, parlare con i governi. Perché la diplomazia può fare molto”.
fonte: di Vittorio di Trapani, inviato a Doha www.rainews.it
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