“Sei la mia vita. Così mi avevi scritto, ricordi?”
Comincia tutto con questa frase. La magia, l’incanto, l’amore. Ferzan Ozpetek in questo libro ripercorre i suoi anni romani, lo fa con una leggerezza che non è superficialità ma intensità.
Gioca con le luci, il tavolo, la cucina, le sedie. Il senso della famiglia è accogliere e lui nella sua Estate romana si sente accolto e a suo modo apre, spalanca la porta agli amici.
La libertà lo renderà ancora di più abitante di un mondo che vuole scoprire. Si sente parte di una generazione spensierata, non c’erano censure o limiti. Nessuno dei protagonisti del libro immaginava che quel loro senso di volare si poteva infrangere in un qualunque modo.
I baci sono lunghi, notturni. Gli amici entrano ed escono dalla porta. Vera. È stata la prima ad arrivare. Una trans estrosa, il corpo tozzo e muscoloso e un miniabito che l’avvolgeva. Vera era al centro di un palcoscenico invisibile ma che tutte le sere veniva allestito. La sua vita era a cavallo tra due realtà che la rendeva unica. Vera.
Valerio, destinato a restare. Con una profonda prima persona Valerio diventa il fulcro da dove partire. Sono i rami e radici di un albero che ha voglia solo di spalancare finestre. E mentre la città, Roma è rumorosa, il loro appartamento sembra essere immerso in qualcosa che nel cinema è quasi finzione. Surreale realtà.
“E’ solo quando riesci a mettere radici in un luogo che puoi davvero andare lontano. Perché sapere da dove vieni ti aiuta a tenere a mente chi sei, ovunque ti trovi.”
L’amore è dipinto come un battito d’ali di farfalle che si libera nell’aria ma anche che rimane dentro due anime leggiadre. Una reazione a catena che da amore porta solo altro amore. Ci troviamo di fronte a due persone gay eppure quello che l’amore traduce è lo steso sentimento potente che accumuna tutti. E’ speciale, mai banale.
“La vita mi ha insegnato che non sempre desideriamo davvero ciò che crediamo di volere.”
A volte è il caso a determinare un evento e sulla casualità giochi, bari, rimetti carte che potevi nascondere ma quando la vita sorprende non puoi che riprenderti. Reinventarti. E la fama di un regista si incontra con la vita vera. Rimane fermo sui suoi amori, amici. Rimane timoroso. La paura che ti impedisce di pensare a qualsiasi cosa.
“Una paura che vedi guardandoti allo specchio, ma che riconosci anche sul volto dei tuoi amici più cari, tanto da diventare uno stato d’animo collettivo.”
E poi arriva l’Aids. Un mostro che miete vittime, fa perdere l’amore, i cari, spegne le vite. Sergio e Adriano. La mancanza, il coraggio di essere se stessi. Il destino che si diverte a creare ostacoli ma che poi è solo una palestra d’allenamento. E il ricordo di quando ha girato il film d’esordio. Quel destino poi che ha tifato solo per lui.
“Perché ogni film è una storia d’amore che finisce.”
Le emozioni sono quelle che rimangono nel cuore della gente. E le emozioni sono i luoghi cari che si scontrano con la malattia di Valerio. Il rifugiarsi per destreggiarsi con l’impotenza. “Sei la mia vita”, gli aveva scritto una sera e il libro a suo modo si chiude.
“Ogni volta che cerco di salire la china, che mi sforzo di vedere le cose in un’ottica migliore, che inizio ad illudermi che, per incanto, forse ce l’abbiamo fatta, ecco che affondo di nuovo nelle sabbie mobili di una realtà che non potrà mai cambiare.”
Per ricordare. Per vivere ogni istante come fosse l’ultimo. Per amare come se non ci fosse un domani. La verità è che non esiste amore senza follia.
fonte: Scritto da Samantha Terrasi http://www.ilcaffevitruviano.it
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