mercoledì 25 marzo 2015

Lgbt: “Non chiedere. Non dire” Poliziotti diversamente uniformi di Gabriele Ametrano

Donne che amano donne. Uomini che amano uomini. In divisa è ancora difficile dirsi omosessuali. Molti pensano sia meglio tacere ma qualcuno ha cominciato a raccontare la propria storia...

L’ascensore sale al terzo piano della questura. L’ufficio è vicino alla dirigenza della Squadra Mobile. L’appuntamento lo abbiamo preso qui, nella stanza in cui lavora quotidianamente tra i fascicoli e la burocrazia che tratta. Il calendario della Polizia appeso al muro, alcune carte sulla scrivania, un portapenne, un computer, un telefono. Siamo in uno dei tanti luoghi della questura, l’ufficio di un assistente della Polizia di Stato, una donna che da più di dodici anni è in servizio. La chiameremo Elena perché sebbene non ci siano segreti della sua vita preferisce non essere messa in vetrina. Elena è una donna di 36 anni che lavora con passione, che ha i suoi interessi fuori dal servizio, che si diverte e vive le sue giornate come chiunque.
Elena è anche una donna che ama un’altra donna. Da quasi otto anni convive con la sua compagna, Francesca, operaia di una ditta di calzature nella provincia di Pistoia.
“Non ho nessun problema a parlare della mia storia” dice, “ma certamente non ne faccio un argomento pubblico”.

Nel 2013 l’omosessualità nella Polizia di Stato non è più un tabù: sdoganato, l’oggetto sessualità diversa non fa saltare più nessuno sulla sedia sebbene qualcosa di strano ancora avviene. “Don’t ask don’t tell” era il motto nell’Esercito americano fino a quando essere accettati come omosessuali non è diventata una norma. In Italia, nella Polizia di Stato, sembra vigere questo tacito accordo. “Non chiedere, non dire”.

Essere omosessuali non è facile in un’Amministrazione la cui identità - sebbene sempre più paritaria è comunque ordinata secondo regole e concetti di origine militare e con sensibilità che richiamano la mascolinità e, a volte, il machismo. “I tempi sono sicuramente cambiati in questi anni: oggi non c’è più lo sguardo inquisitore dei colleghi, le risatine in corridoio o quelle voci da cui era difficile difendersi”. Oggi lei è più serena rispetto a quando è entrata dodici anni fa. “Forse sono più matura io ma sicuramente la mia sessualità non è più fonte di parole da bar”.

Negli ultimi mesi l’assistente Elena ha vissuto un periodo di grande preoccupazione. Alla sua compagna era stato diagnosticato un tumore al seno e negli ultimi tempi i dottori hanno provveduto alle cure prima di arrivare all’operazione per l’asportazione del male. Oggi Francesca è fuori pericolo ma il periodo non è stato dei più facili, soprattutto perché la possibilità di essere tutelati e agevolati nelle cure sembrava non esistere.
La chemioterapia rendeva Francesca fragile, spossata, stanca ed Elena voleva starle vicino, come era giusto che fosse. “Ho dovuto utilizzare tutte le mie ferie per starle accanto. Fortunatamente il mio dirigente ha avuto comprensione della situazione e mi ha permesso di starle vicino il più possibile, ma senza il suo consenso sarebbe stato impossibile”. L’ordinamento e regolamento della Polizia di Stato non prende in considerazione casi di coppie non riconosciute dalla legge. Così, come nella società, anche nella Polizia di Stato manca una legislazione che possa mettere sullo stesso piano i diritti di chi si ama, convive e vive la quotidianità e coloro che invece hanno potuto dichiararsi per legge uniti.
“I colleghi mi sono stati vicini: molti chiedevano senza mai essere invadenti, altri hanno offerto il loro aiuto”. Durante il momento di necessità “il gruppo” si stringe e non esistono differenze.

Ma prima com’era? Appena entrata in Polizia?
“Diciamo che non ne parlavo. Preferivo tenere separate la sfera lavorativa e quella privata. Naturalmente continuo a farlo sebbene ci siano, dopo tanti anni di lavoro nella stessa questura, persone che sanno della mia sessualità. Ora non ne faccio un segreto ma sono anche una persona discreta. All’inizio era difficile non incontrare il sorrisino: in alcuni momenti ho dovuto tenere duro per non esplodere. Comprendi subito lo sguardo di chi ti vede diversa, di chi se potesse ti metterebbe alla porta solo perché tu hai un amore dello stesso sesso del tuo.
Oggi quelle stesse persone non mi guardano più nello stessa maniera: il rispetto si guadagna mostrandosi con convinzione del proprio essere e con la serietà sul lavoro”. E siamo sicuri che tutto ciò non è sicuramente facile. Oggi Francesca sta bene: l’intervento è andato bene e con Elena è riuscita anche a fare qualche giorno di vacanza. È una coppia che va avanti come tante altre, che hanno dovuto vivere e combattere il male del secolo ma fortunatamente ce l’hanno fatta. Oggi Elena ce lo racconta col sorriso. Come una donna dopo la tempesta.

Emanuele lo incontriamo a Torre del Lago sebbene avremmo potuto incontrarlo un po’ ovunque nelle sue abituali trasferte fuori sede. Anche Emanuele non vuole rivelare la sua identità.
“Certo un po’ di pubblicità mi ci vorrebbe ma preferisco evitare altri problemi con i miei funzionari”.
Non è un ragazzo, ha già superato la quarantina, ma diciamo che i suoi anni li porta bene. Originario della Campania, è oggi in servizio in una piccola questura dopo essere stato per anni in una città Toscana. Lo potremmo incontrare in uno dei corpi di guardia della città: la divisa ci farebbe capire che è un appartenente della Polizia di Stato non le sue parole però, né tantomeno i suoi atteggiamenti. Qui a Torre del Lago, in una delle tante serate estive del “Mamamia” lo potremmo benissimo confondere con i tanti ragazzi che sono qui per divertirsi. Emanuele ama divertirsi, ama giocare con gli sguardi degli altri ragazzi, capisce quando questi posso essere interessati e parte alla ricerca di un momento di felicità.
Non ha una storia e nemmeno l’ha mai cercata. Ama gli uomini ma nelle sue parole cerca sempre di non ammetterlo chiaramente. Purtroppo, però, basta un poco di simpatia e leggerezza che allunga la sua mano sull’avambraccio. “Mmmm, non sai che idee che ho!” dice senza imbarazzo. Alziamo l’indice e ordiniamo un altro drink. Lui sorride e ricominciamo a parlare.

Come vivi la tua sessualità in Polizia?
“Ora che sono qui non ho problemi: in questura ci sono tanti colleghi omosessuali. Dov’ero prima, invece, ho avuto diverse questioni con la dirigenza”. Non diciamo dov’era perché le “questioni” di cui parla Emanuele sono di natura disciplinare e ci sono dei processi in corso. “Mi avevano preso di mira, soprattutto un dirigente, e sono riusciti a farmi trasferire”.
I processi diranno cosa è accaduto realmente, noi in questo articolo riportiamo solo ciò che al tavolo è stato accennato. “Non accettavano il mio modo di fare, le mie amicizie fuori dal servizio, i locali che frequentavo. Non sono mai andato contro i regolamenti della Polizia ma certamente esistono delle regole che non sono più al passo coi tempi. Se pensiamo che per ordinamento dovremmo darci tutti del Lei fa capire come qualcosa dovrebbe essere rivisto”.
Nell’altra città si sentiva oppresso, deriso, a volte insultato. “Alcuni colleghi non mi salutavano neanche, altri mi evitavano. Naturalmente alcuni mi offendevano ma ho sempre cercato di non farmene un problema”.

Ma secondo te perché? Magari i tuoi atteggiamenti erano troppo invadenti?
“Io sono una persona che ama il contatto fisico, anche se stiamo parlando di astronomia. Probabilmente ad alcuni colleghi non piace questo modo di fare ma sempre meglio di alcune cafonate che nelle Squadre dei Reparti avvengono”. Emanuele è laureato in Giurisprudenza, potrebbe essere uno dei tanti funzionari che oggi dirigono gli uffici di Polizia ma dopo aver provato una volta il concorso ha desistito ed è invece riuscito ad entrare nel ruolo Agenti ed Assistenti vincendo il concorso. Non è una persona impreparata. Ha un linguaggio forbito, si veste con eleganza. Ha solo dei modi più gentili degli altri e una soglia di imbarazzo molto bassa.

Oggi invece come vivi il tuo lavoro?
“Io amo il mio lavoro e sebbene non sia un poliziotto operativo, svolgo con perizia il mio servizio. Faccio corpi di guardia, alcune volte sono impegnato in pratiche d’ufficio e spesso sono in servizio fuori sede quando sono previste aggregazioni. Mi piace girare l’Italia e la Polizia ti permette questa possibilità. Qui mi trovo bene, mi sento a mio agio sebbene la città sia piccola. Durante il lavoro non parlo mai della mia vita privata ma con alcuni colleghi i segreti esistono. A volte, senza neanche darci appuntamento, ci ritroviamo negli stessi locali e così capisci che anche l’agente della porta affianco si diverte come te. Durante il servizio taci ma poi ridi al solo pensiero che stai custodendo una verità che nell’ambiente lavorativo dev’essere tenuta sotto chiave”.

Così i colleghi diventano amici?
“No, anzi. Alcuni ti evitano appositamente. L’apparenza in Polizia è tutto: solo uno come me se ne disinteressa, naturalmente sempre nelle regole imposte. Vedere che scambiano qualche parola con me diventa pericoloso per la loro immagine.
Ci sono tante persone interessanti in Polizia ma il collega medio deve mantenere uno status ben preciso: deve essere il miglior amante della terra, avere tante donne, sapere tutto di calcio e motori e, soprattutto, conoscere perfettamente i luoghi dove si mangia di più e a meno costo. Finiti questi argomenti sei considerato un marziano. Quindi più ti omologhi a queste argomentazioni più diventi invisibile e hai possibilità di vivere il lavoro con serenità e farti la tua vita in grande privacy. Figurati se non nascondi la voglia di divertirti come faccio io”.

Divertirti con altri uomini?
“No, divertirti in generale. Prendiamo un altro bicchiere?”
Emanuele lo lasciamo al “Mamamia”: la serata sta per cominciare e noi non vogliamo distogliere la sua attenzione da un bel ragazzo fermo al bancone. Naturalmente lo conoscerà, ci ballerà ma la notte è ancora lunga per sapere quale sarà il suo vero divertimento.

Potremmo incontrare tanti altri appartenenti alla Polizia di Stato che, omosessuali, lavorano al servizio del cittadino e vivono la propria vita nella maniera più serena possibile. Naturalmente il ruolo ricoperto necessita di accortezze negli atteggiamenti e nella deontologia professionale, che va sempre e in ogni momento seguito.
Le problematiche nel vivere la propria sessualità sia dentro che fuori l’Amministrazione pubblica sono quelle che le cronache ci riportano e a cui alcuni politici cercano di dar voce durante il proprio mandato, oggi come nel passato: in Italia manca una legislazione adatta ai tempi, che riconosca i diritti delle coppie omosessuali e ne applichi le regole nella vita civile. Sicuramente superato questo scoglio anche nella Polizia potranno esistere possibilità uguali per tutti.

Nel frattempo, dal 2005, alcuni operatori delle Forze di Polizia e dell’ordine hanno deciso di unirsi in un’associazione chiamata “Polis Aperta”, il cui intento è quello di lottare contro tutte le discriminazioni e in special modo quelle sull’orientamento sessuale.
Parte del European Gay Police Network (Egpa), rete europea di associazioni Lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transgender), “Polis Aperta” mantiene vigile la sua attenzione su quelli che potrebbero essere casi di omofobia all’interno del mondo militare e delle Forze di Polizia, collaborando attivamente con l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro tutti gli atti discriminatori istituito per permettere alle minoranze la possibilità di godere a pieno dei propri diritti di uguaglianza dinanzi alla legge.
Al motto di “diversamente uniformi” questa associazione è attiva sul territorio nazionale con riunioni e viaggi che mettono in luce la possibilità di vedere la Polizia con altri occhi. Ultima azione è stata la partecipazione al Gay Pride 2013 di Palermo, con una delegazione di iscritti che ha portato la propria esperienza alla manifestazione ma anche in momenti di riflessione internazionale come la conferenza biennale dell’Egpa in Montenegro del 2012, nella quale Simonetta Moro, presidente di “Polis Aperta”, è stata chiamata a partecipare come relatrice. Un’associazione attiva, quindi, che cerca di essere al fianco di chi porta la divisa in ogni sua possibile difficoltà ad essere riconosciuto anche per la sua integrità di donna e di uomo. Non è facile essere omosessuali nella Polizia di Stato.

Ciò che ci hanno raccontato Elena ed Emanuele ha sicuramente un taglio netto con la diffidenza e le discriminazioni che un tempo erano connotazione di una società meno pronta culturalmente ad accettare una simile sessualità. Ma ancor oggi devono essere fatti passi importanti per l’uguaglianza civile.
Sicuramente finché la politica non si accorderà in un progetto di legge le coppie omosessuali non potranno vivere con serenità la loro unione, all’interno della Polizia di Stato così come in ogni altro ambito lavorativo. Dovrà essere superato, come lo fu negli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Obama nel 2011, anche il famigerato “Don’t ask, don’t tell” che in Italia e nella Polizia sembra una regola di cui è necessaria l’osservazione per poter essere rispettati nel proprio lavoro.
“Gli omosessuali non vogliono il silenzio” era uno slogan che circolava in un Pride di alcuni anni fa. Ecco, forse oggi, per comprendere pienamente cosa vuol dire non avere pieni diritti dovremmo imparare a chiedere ma soprattutto ascoltare.
Articolo scritto da Gabriele Ametrano
Fonte: http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=articolo&idArticolo=3137

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