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lunedì 18 maggio 2020

Lgbt: Cosa è l’OSCAD, Osservatorio contro gli atti discriminatori

L'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) è nato nel 2010, a seguito di un incontro tra l'allora prefetto di polizia Antonio Mangnelli e una delegazione di associazioni LGBT.

L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) è nato nel 2010, a seguito di un incontro tra l’allora prefetto di polizia Antonio Mangnelli e una delegazione di associazioni LGBT.

Queste ultime chiedevano un aiuto alle forze di polizia a causa delle numerose aggressioni ai danni di membri della comunità che si stavano verificando molto frequentemente in quel periodo. L’OSCAD è nato da questo appello, a seguito dell’aver preso atto di una situazione di carenza di prevenzione e contrasto rispetto ai reati e crimini di odio.

 

Obiettivi dell’OSCAD

L’obiettivo principale dell’OSCAD è quello di contrastare l’under-reporting, ovvero la mancata denuncia, e favorire l’emersione del fenomeno degli hate crimes.
L’OSCAD ha una email alla quale tutti possono scrivere, dalle istituzioni al mondo associazionismo, dalle vittime di discriminazione ai testimoni di discriminazione.
La peculiarità di questo strumento è che le vittime possono scrivere anche in forma anonima. All’indirizzo oscad@dcpc.interno.it

 

Uno strumento speciale contro le discriminazioni

Nel nostro ordinamento non esiste denuncia in forma anonima e da questo punto di vista L’Oscad è uno strumento speciale. Strumento che vuole affrontare nello specifico le cause che possono portare all’under reporting, spesso dovuto alla paura di denunciare, e alla mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine.

Una peruliarità dell’Oscad è che può funzionare da ponte rispetto alle associazioni, raccogliento le segnalazioni di chi si sente vittima di discriminazione e crimini di odio.
Appena l’associazione segnala un hate crimes, l’Oscad può contattare l’ufficio territoriale di competenza. Questo affinché si predisponga un ambimente accogliente per favorire la vittima alla denuncia del fatto.
In quest’ambito è importante che operino agenti di polizia informati sul tema dei crimini di odio contro l’omosessualità e l’identità di genere.
Oscad raccoglie annualmente dati relativi a reati di matrice discriminatoria, etnica, razziale, religiosi, e in base all’orientamento sessuale o identità di genere.

 

Il monitoraggio dei dati

Questi dati vengono elaborati anche dal database ufficiale delle forze di polizia. I dati raccolti da Oscad non hanno copertura normativa quindi non sono ufficiali ma solo statistici. Però permettono di far uscire dal cono d’ombra reati di matrice omotransfobica.
Durante gli anni il percorso di monitoraggio dell’Osservatorio si è affinato, portando ad avere una fotografia sempre più realistica della società. Contribuendo alla consapevolezza e prontezza sul fenomeno volte ad attuare politiche di prevenzione e contrasto sul problema.

Oscad inoltre organizza corsi di formazione e sensibilizzazione per gli operatori di polizia su questo fenomeno. Oltre all’under reporting Oscad vuole contrastare anche il problema dell’under recording.
Ovvero quei casi in cui la polizia non è formata per riconoscere un reato di pregiudizio e quindi non viene registrato come tale.
fonte:  Scritto da Dario Lapenta   www.cinquecolonne.it

mercoledì 25 marzo 2015

Lgbt: “Non chiedere. Non dire” Poliziotti diversamente uniformi di Gabriele Ametrano

Donne che amano donne. Uomini che amano uomini. In divisa è ancora difficile dirsi omosessuali. Molti pensano sia meglio tacere ma qualcuno ha cominciato a raccontare la propria storia...

L’ascensore sale al terzo piano della questura. L’ufficio è vicino alla dirigenza della Squadra Mobile. L’appuntamento lo abbiamo preso qui, nella stanza in cui lavora quotidianamente tra i fascicoli e la burocrazia che tratta. Il calendario della Polizia appeso al muro, alcune carte sulla scrivania, un portapenne, un computer, un telefono. Siamo in uno dei tanti luoghi della questura, l’ufficio di un assistente della Polizia di Stato, una donna che da più di dodici anni è in servizio. La chiameremo Elena perché sebbene non ci siano segreti della sua vita preferisce non essere messa in vetrina. Elena è una donna di 36 anni che lavora con passione, che ha i suoi interessi fuori dal servizio, che si diverte e vive le sue giornate come chiunque.
Elena è anche una donna che ama un’altra donna. Da quasi otto anni convive con la sua compagna, Francesca, operaia di una ditta di calzature nella provincia di Pistoia.
“Non ho nessun problema a parlare della mia storia” dice, “ma certamente non ne faccio un argomento pubblico”.

Nel 2013 l’omosessualità nella Polizia di Stato non è più un tabù: sdoganato, l’oggetto sessualità diversa non fa saltare più nessuno sulla sedia sebbene qualcosa di strano ancora avviene. “Don’t ask don’t tell” era il motto nell’Esercito americano fino a quando essere accettati come omosessuali non è diventata una norma. In Italia, nella Polizia di Stato, sembra vigere questo tacito accordo. “Non chiedere, non dire”.

Essere omosessuali non è facile in un’Amministrazione la cui identità - sebbene sempre più paritaria è comunque ordinata secondo regole e concetti di origine militare e con sensibilità che richiamano la mascolinità e, a volte, il machismo. “I tempi sono sicuramente cambiati in questi anni: oggi non c’è più lo sguardo inquisitore dei colleghi, le risatine in corridoio o quelle voci da cui era difficile difendersi”. Oggi lei è più serena rispetto a quando è entrata dodici anni fa. “Forse sono più matura io ma sicuramente la mia sessualità non è più fonte di parole da bar”.

Negli ultimi mesi l’assistente Elena ha vissuto un periodo di grande preoccupazione. Alla sua compagna era stato diagnosticato un tumore al seno e negli ultimi tempi i dottori hanno provveduto alle cure prima di arrivare all’operazione per l’asportazione del male. Oggi Francesca è fuori pericolo ma il periodo non è stato dei più facili, soprattutto perché la possibilità di essere tutelati e agevolati nelle cure sembrava non esistere.
La chemioterapia rendeva Francesca fragile, spossata, stanca ed Elena voleva starle vicino, come era giusto che fosse. “Ho dovuto utilizzare tutte le mie ferie per starle accanto. Fortunatamente il mio dirigente ha avuto comprensione della situazione e mi ha permesso di starle vicino il più possibile, ma senza il suo consenso sarebbe stato impossibile”. L’ordinamento e regolamento della Polizia di Stato non prende in considerazione casi di coppie non riconosciute dalla legge. Così, come nella società, anche nella Polizia di Stato manca una legislazione che possa mettere sullo stesso piano i diritti di chi si ama, convive e vive la quotidianità e coloro che invece hanno potuto dichiararsi per legge uniti.
“I colleghi mi sono stati vicini: molti chiedevano senza mai essere invadenti, altri hanno offerto il loro aiuto”. Durante il momento di necessità “il gruppo” si stringe e non esistono differenze.

Ma prima com’era? Appena entrata in Polizia?
“Diciamo che non ne parlavo. Preferivo tenere separate la sfera lavorativa e quella privata. Naturalmente continuo a farlo sebbene ci siano, dopo tanti anni di lavoro nella stessa questura, persone che sanno della mia sessualità. Ora non ne faccio un segreto ma sono anche una persona discreta. All’inizio era difficile non incontrare il sorrisino: in alcuni momenti ho dovuto tenere duro per non esplodere. Comprendi subito lo sguardo di chi ti vede diversa, di chi se potesse ti metterebbe alla porta solo perché tu hai un amore dello stesso sesso del tuo.
Oggi quelle stesse persone non mi guardano più nello stessa maniera: il rispetto si guadagna mostrandosi con convinzione del proprio essere e con la serietà sul lavoro”. E siamo sicuri che tutto ciò non è sicuramente facile. Oggi Francesca sta bene: l’intervento è andato bene e con Elena è riuscita anche a fare qualche giorno di vacanza. È una coppia che va avanti come tante altre, che hanno dovuto vivere e combattere il male del secolo ma fortunatamente ce l’hanno fatta. Oggi Elena ce lo racconta col sorriso. Come una donna dopo la tempesta.

Emanuele lo incontriamo a Torre del Lago sebbene avremmo potuto incontrarlo un po’ ovunque nelle sue abituali trasferte fuori sede. Anche Emanuele non vuole rivelare la sua identità.
“Certo un po’ di pubblicità mi ci vorrebbe ma preferisco evitare altri problemi con i miei funzionari”.
Non è un ragazzo, ha già superato la quarantina, ma diciamo che i suoi anni li porta bene. Originario della Campania, è oggi in servizio in una piccola questura dopo essere stato per anni in una città Toscana. Lo potremmo incontrare in uno dei corpi di guardia della città: la divisa ci farebbe capire che è un appartenente della Polizia di Stato non le sue parole però, né tantomeno i suoi atteggiamenti. Qui a Torre del Lago, in una delle tante serate estive del “Mamamia” lo potremmo benissimo confondere con i tanti ragazzi che sono qui per divertirsi. Emanuele ama divertirsi, ama giocare con gli sguardi degli altri ragazzi, capisce quando questi posso essere interessati e parte alla ricerca di un momento di felicità.
Non ha una storia e nemmeno l’ha mai cercata. Ama gli uomini ma nelle sue parole cerca sempre di non ammetterlo chiaramente. Purtroppo, però, basta un poco di simpatia e leggerezza che allunga la sua mano sull’avambraccio. “Mmmm, non sai che idee che ho!” dice senza imbarazzo. Alziamo l’indice e ordiniamo un altro drink. Lui sorride e ricominciamo a parlare.

Come vivi la tua sessualità in Polizia?
“Ora che sono qui non ho problemi: in questura ci sono tanti colleghi omosessuali. Dov’ero prima, invece, ho avuto diverse questioni con la dirigenza”. Non diciamo dov’era perché le “questioni” di cui parla Emanuele sono di natura disciplinare e ci sono dei processi in corso. “Mi avevano preso di mira, soprattutto un dirigente, e sono riusciti a farmi trasferire”.
I processi diranno cosa è accaduto realmente, noi in questo articolo riportiamo solo ciò che al tavolo è stato accennato. “Non accettavano il mio modo di fare, le mie amicizie fuori dal servizio, i locali che frequentavo. Non sono mai andato contro i regolamenti della Polizia ma certamente esistono delle regole che non sono più al passo coi tempi. Se pensiamo che per ordinamento dovremmo darci tutti del Lei fa capire come qualcosa dovrebbe essere rivisto”.
Nell’altra città si sentiva oppresso, deriso, a volte insultato. “Alcuni colleghi non mi salutavano neanche, altri mi evitavano. Naturalmente alcuni mi offendevano ma ho sempre cercato di non farmene un problema”.

Ma secondo te perché? Magari i tuoi atteggiamenti erano troppo invadenti?
“Io sono una persona che ama il contatto fisico, anche se stiamo parlando di astronomia. Probabilmente ad alcuni colleghi non piace questo modo di fare ma sempre meglio di alcune cafonate che nelle Squadre dei Reparti avvengono”. Emanuele è laureato in Giurisprudenza, potrebbe essere uno dei tanti funzionari che oggi dirigono gli uffici di Polizia ma dopo aver provato una volta il concorso ha desistito ed è invece riuscito ad entrare nel ruolo Agenti ed Assistenti vincendo il concorso. Non è una persona impreparata. Ha un linguaggio forbito, si veste con eleganza. Ha solo dei modi più gentili degli altri e una soglia di imbarazzo molto bassa.

Oggi invece come vivi il tuo lavoro?
“Io amo il mio lavoro e sebbene non sia un poliziotto operativo, svolgo con perizia il mio servizio. Faccio corpi di guardia, alcune volte sono impegnato in pratiche d’ufficio e spesso sono in servizio fuori sede quando sono previste aggregazioni. Mi piace girare l’Italia e la Polizia ti permette questa possibilità. Qui mi trovo bene, mi sento a mio agio sebbene la città sia piccola. Durante il lavoro non parlo mai della mia vita privata ma con alcuni colleghi i segreti esistono. A volte, senza neanche darci appuntamento, ci ritroviamo negli stessi locali e così capisci che anche l’agente della porta affianco si diverte come te. Durante il servizio taci ma poi ridi al solo pensiero che stai custodendo una verità che nell’ambiente lavorativo dev’essere tenuta sotto chiave”.

Così i colleghi diventano amici?
“No, anzi. Alcuni ti evitano appositamente. L’apparenza in Polizia è tutto: solo uno come me se ne disinteressa, naturalmente sempre nelle regole imposte. Vedere che scambiano qualche parola con me diventa pericoloso per la loro immagine.
Ci sono tante persone interessanti in Polizia ma il collega medio deve mantenere uno status ben preciso: deve essere il miglior amante della terra, avere tante donne, sapere tutto di calcio e motori e, soprattutto, conoscere perfettamente i luoghi dove si mangia di più e a meno costo. Finiti questi argomenti sei considerato un marziano. Quindi più ti omologhi a queste argomentazioni più diventi invisibile e hai possibilità di vivere il lavoro con serenità e farti la tua vita in grande privacy. Figurati se non nascondi la voglia di divertirti come faccio io”.

Divertirti con altri uomini?
“No, divertirti in generale. Prendiamo un altro bicchiere?”
Emanuele lo lasciamo al “Mamamia”: la serata sta per cominciare e noi non vogliamo distogliere la sua attenzione da un bel ragazzo fermo al bancone. Naturalmente lo conoscerà, ci ballerà ma la notte è ancora lunga per sapere quale sarà il suo vero divertimento.

Potremmo incontrare tanti altri appartenenti alla Polizia di Stato che, omosessuali, lavorano al servizio del cittadino e vivono la propria vita nella maniera più serena possibile. Naturalmente il ruolo ricoperto necessita di accortezze negli atteggiamenti e nella deontologia professionale, che va sempre e in ogni momento seguito.
Le problematiche nel vivere la propria sessualità sia dentro che fuori l’Amministrazione pubblica sono quelle che le cronache ci riportano e a cui alcuni politici cercano di dar voce durante il proprio mandato, oggi come nel passato: in Italia manca una legislazione adatta ai tempi, che riconosca i diritti delle coppie omosessuali e ne applichi le regole nella vita civile. Sicuramente superato questo scoglio anche nella Polizia potranno esistere possibilità uguali per tutti.

Nel frattempo, dal 2005, alcuni operatori delle Forze di Polizia e dell’ordine hanno deciso di unirsi in un’associazione chiamata “Polis Aperta”, il cui intento è quello di lottare contro tutte le discriminazioni e in special modo quelle sull’orientamento sessuale.
Parte del European Gay Police Network (Egpa), rete europea di associazioni Lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transgender), “Polis Aperta” mantiene vigile la sua attenzione su quelli che potrebbero essere casi di omofobia all’interno del mondo militare e delle Forze di Polizia, collaborando attivamente con l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro tutti gli atti discriminatori istituito per permettere alle minoranze la possibilità di godere a pieno dei propri diritti di uguaglianza dinanzi alla legge.
Al motto di “diversamente uniformi” questa associazione è attiva sul territorio nazionale con riunioni e viaggi che mettono in luce la possibilità di vedere la Polizia con altri occhi. Ultima azione è stata la partecipazione al Gay Pride 2013 di Palermo, con una delegazione di iscritti che ha portato la propria esperienza alla manifestazione ma anche in momenti di riflessione internazionale come la conferenza biennale dell’Egpa in Montenegro del 2012, nella quale Simonetta Moro, presidente di “Polis Aperta”, è stata chiamata a partecipare come relatrice. Un’associazione attiva, quindi, che cerca di essere al fianco di chi porta la divisa in ogni sua possibile difficoltà ad essere riconosciuto anche per la sua integrità di donna e di uomo. Non è facile essere omosessuali nella Polizia di Stato.

Ciò che ci hanno raccontato Elena ed Emanuele ha sicuramente un taglio netto con la diffidenza e le discriminazioni che un tempo erano connotazione di una società meno pronta culturalmente ad accettare una simile sessualità. Ma ancor oggi devono essere fatti passi importanti per l’uguaglianza civile.
Sicuramente finché la politica non si accorderà in un progetto di legge le coppie omosessuali non potranno vivere con serenità la loro unione, all’interno della Polizia di Stato così come in ogni altro ambito lavorativo. Dovrà essere superato, come lo fu negli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Obama nel 2011, anche il famigerato “Don’t ask, don’t tell” che in Italia e nella Polizia sembra una regola di cui è necessaria l’osservazione per poter essere rispettati nel proprio lavoro.
“Gli omosessuali non vogliono il silenzio” era uno slogan che circolava in un Pride di alcuni anni fa. Ecco, forse oggi, per comprendere pienamente cosa vuol dire non avere pieni diritti dovremmo imparare a chiedere ma soprattutto ascoltare.
Articolo scritto da Gabriele Ametrano
Fonte: http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=articolo&idArticolo=3137

venerdì 12 ottobre 2012

Lgbt: Ministero degli Interni cambia circolare: sono famiglie anche coppie gay

Dopo l'intervento di Certi Diritti e dell'Oscad, il Ministero degli Interni ha tolto dalla circolare sui trasferimenti il riferimento alle coppie di fatto come solo etero. Punteggi a coppie gay.

A seguito dell'intervento dell'Oscad, sollecitato dall'associazione Certi Diritti, il Ministero dell'Interno ha modificato una circolare sulla mobilità del personale di polizia, cancellando una parte che poteva risultare discriminatoria nei confronti delle coppie omosessuali.


A renderlo noto è proprio l'associazione radicale che in una nota spiega che "il Viminale ha modificato la circolare del 14 maggio scorso del Dipartimento Pubblica sicurezza 'Disciplina della mobilità a domanda del personale della Polizia di Stato dei ruoli di sovrintendenti, assistenti, e agenti, che aspirano a cambiare sede di servizio'.

"Nella circolare - spiega la nota -, era scritto che 'I punteggi previsti per le esigenze del nucleo familiare si intendono estesi alle analoghe esigenze per le eventuali famiglie di fatto, intendendosi per tale quella costituita da due persone di sesso diverso che convivono, more uxorio, coabitando stabilmente insieme agli eventuali figli naturali riconosciuti o dichiarati dall'uno o da ambedue nella sede per cui si richiede il trasferimento, ovvero in sede limitrofa a quest'ultima'".

Letta la circolare, Certi Diritti e il senatore radicale Marco Perduca hanno scritto all'Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) e all'Unar (Ufficio nazionale anti discriminazioni) e in un incontro con i vertici dell'Osservatorio hanno evidenziato quanto la circolare fosse "contraria al principio di uguaglianza e oggettivamente discriminatoria nei confronti delle coppie dello stesso sesso, soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2010 e della Corte di Cassazione del 2012".

Qualche giorno fa l'Oscad ha comunicato all'associazione che il Ministero ha cancellato la frase indicata accogliendo, quindi, la richiesta.

Nella nota, l'associazione ringrazia l'Oscad per l'intervento e rilancia rivolgendo al Viminale la richiesta urgente di ritirare la cosiddetta circolare Amato del 18 ottobre 2007, con la quale il Ministero dichiarava l'impossibilità di trascrivere matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all'estero per motivi di "ordine pubblico".

"L'argomento non è mai stato fondato - sostiene il segretario di certi Diritti Yuri Guaiana - e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione oggi è completamente destituito di ogni fondamento".
fonte http://www.gay.it/

lunedì 9 luglio 2012

Lgbt: "Caro Generale sono militare e gay. Lei indietro di decenni"

L'Appuntato Scelto della Guardia di Finanza Marcello Strati scrive al Generale Gasparri secondo il quale dichiarare di essere gay non si addice ad un Carabiniere.

Polis Aperta: "L'Europa si indigna"


"Buongiorno Generale, non so se sono io il “graduato” della Guardia di Finanza a cui si riferisce nel suo discorso che ha “ammesso” (come se si trattasse di una colpa) di essere gay.

Forse sì o forse no, chissà. In ogni caso, caro Generale, eccomi qua, Appuntato Scelto della Guardia di Finanza Strati Marcello in servizio nel Corpo da 26 anni, attualmente a Como, al Gruppo di Ponte Chiasso, fiero di appartenere alle Fiamme Gialle. Servo il mio Paese con onestà e senso del dovere. Ah, dimenticavo, sono omosessuale".

Inizia così la lettera aperta che Strati scrive al vice comandante generale dell'Arma dei Carabinieri e Generale di Corpo d'Armata Clemente Gasparri, fratello dell'ex ministro Maurizio, che qualche giorno fa aveva dichiarato che "ammettere di essere gay, magari facendolo su un social network, come un graduato della Guardia di Finanza, non è pertinente allo status di Carabiniere".


"Ho “ammesso” questa vergogna (perché Lei, Generale, sembra considerarla tale) - continua Strati che è stato il primo finanziere ad aver raccontato la vita da gay in caserma - già da parecchio tempo.

In caserma sanno di me da circa 12 anni e, Le sembrerà strano, ma pare che ai colleghi e soprattutto ai miei Superiori gerarchici non interessi proprio nulla del mio orientamento sessuale.

E’ per questo che nell’anno del Signore 2012 mi ha fatto impressione leggere certe affermazioni da parte del Vice Comandante di una delle più importanti Istituzione della nostra Repubblica, l’Arma dei Carabinieri. Cosa vuol dire, che “ammettere di essere gay non è pertinente allo status di Carabiniere”?
Io non vado in giro con un cartello appeso al collo con su scritto “omosessuale” nè quando mi presento dico “piacere, sono l’App. Sc. Strati e sono gay”
.

"Le sue affermazioni - prosegue l'appuntato scelto - ci riportano indietro di decenni. Il suo “consiglio” a non palesare il proprio orientamento sessuale è un macigno che cade in testa a quei militari che magari dopo tanta fatica e sofferenza interiore avevano deciso di uscire alla luce del sole. Di essere e di vivere finalmente la loro vera natura senza dover più fingere di essere quello che non sono. Sperando di essere giudicati non per chi si portano a letto o per chi amano ma solo in quanto buoni militari".

Strati spiega poi di far orgogliosamente parte di Polis Aperta, l'associazione che raggruppa gli appartenenti alle Forze dell'Ordine e Forze Armate gay e invita il generale a incontrare l'associazione assicurandogli che "si troverà di fronte ad un Carabiniere come tutti gli altri, con gli stessi pregi e gli stessi difetti. Non impedisca ad un suo militare di amare".

"Nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è - conclude Strati -. Io non sono fiero di essere gay, così come non sarei fiero di essere etero. Io sono fiero di essere quello che sono. Punto. Non so se la Sua posizione sia condivisa dal Comandante Generale dell’Arma ma spero vivamente di no".

Ed è proprio da Polis Aperta che sono giunte parole di forte critica alle posizioni di Gasparri giudicate "gravissime".

"Come rappresentanti delle forze di polizia - dice la presidente di Polis Aperta, Simonetta Moro - ci interroghiamo sulla coerenza di tali affermazioni con gli obbiettivi dell' Oscad (l'osservatorio contro gli atti discriminatori, al quale partecipano polizia e carabinieri, ndr) e ci chiediamo come una persona gay possa essere motivata a denunciare un crimine subito per il proprio orientamento sessuale presso una caserma dei Carabinieri, sapendo che una delle figure apicali dell'Arma stessa giudica tale condizione come sporca e vergognosa".

"Ci auguriamo che l'Arma dei Carabinieri e il Ministero della Difesa prendano una posizione chiara al riguardo e censurino le parole espresse dal generale Gasparri - continua Moro -. Polis Aperta è in questi giorni a Dublino, dove una sua delegazione è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica Irlandese in occasione della VI Conferenza della European Gay Police Association (Egpa - rete europea di Polizia di cui Polis Aperta fa parte).

Il Presidente dell'Egpa, Herman Renes, della Polizia Nazionale Olandese, informato dell'accaduto, ha condiviso il nostro disappunto esprimendo il suo appoggio incondizionato nel contrasto a questo tipo di affermazioni omofobiche ed auspicando una ferma presa di posizione da parte delle autorità italiane".
fonte http://www.gay.it

giovedì 7 giugno 2012

Lgbt: Rompere il velo del silenzio: le forze dell'ordine contro l'omofobia e la discriminazione

Spesso i gay hanno paura di denunciare un’aggressione omofoba, magari in famiglia o sul lavoro nessuno conosce il loro orientamento.
Questo rende difficile dare la caccia ai criminali.



È qui che l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) sta dando buoni risultati.

Abbiamo una mail, un fax e una linea telefonica e siamo in contatto costante con chi svolge le indagini.
Gay, lesbiche e trans devono sapere che a quel telefono risponderanno agenti preparati. E questo romperà il velo del silenzio.


Dice così a L’Espresso il prefetto Francesco Cirillo, vice direttore generale della pubblica sicurezza che presiede l’OSCAD,
osservatorio nato nel 2010 a seguito di un incontro tra Antonio Manganelli, capo della polizia, con le associazioni GayLib e Arcigay.


Si tratta di una task force – composta “da autorevoli rappresentati della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri” come leggiamo sul sito della Polizia – che non è rimasta una lettera morta, ma, stando a Cirillo, si muove su un duplice binario:

"Abbiamo due obiettivi, uno interno e uno esterno. Quello interno è cancellare l’immagine della polizia manganello e machismo, l’altro è prevenire e combattere ogni traccia di discriminazione, omofobica e non, tra le nostre donne e i nostri uomini. Prima dell’OSCAD di questi problemi si discuteva poco e forse ce ne siamo accorti in ritardo. Ma adesso le cose stanno cambiando rapidamente: qui non esiste il “Don’t Ask, Don’t Tell”, non c’è discriminazione nella carriera, né nei rapporto interpersonali."
Rompere il velo del silenzio è sempre un bene. Promuovere i diritti di tutti, lo è ancora di più.
fonte http://www.queerblog.it da Roberto Russo