domenica 19 dicembre 2021

Spettacolo, Franceschini: a teatro in sicurezza, al via nuova campagna MiC e Agis

Presentata alla Scala la campagna di comunicazione per il ritorno del pubblico in sala
Un cortometraggio diretto da Livermore&Cucco realizzato insieme ad Agis e Cinecittà

A teatro si respira la vita: https://www.youtube.com/watch?v=86sDCRXGR74
Qui tutta la Playlist: https://www.youtube.com/playlist
Qui il video backstage dello spot: http://fotoweb.cultura.gov.it/

È l’acqua la protagonista del cortometraggio “A teatro si respira la vita” diretto da Livermore&Cucco su soggetto di Davide Livermore, Paolo Gep Cucco e Sax Nicosia. Il video, prodotto in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova e realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura, dell’Agis e dell’Istituto Luce Cinecittà, farà parte di una campagna di comunicazione istituzionale per promuovere il ritorno del pubblico in sala in sicurezza.

L’elemento fluido in cui sono immersi attori e attrici, musicisti, direttori d’orchestra, danzatrici e tecnici di scena ne rallenta i movimenti, ne limita i sensi, ne scompiglia le vesti e le acconciature, ne sospende i corpi in un attimo infinito, ma non riesce che ad attutire il suono dello spettacolo. 

Voci e note non sembrano frenate dalla diversa diffusione del suono nell’acqua, e giungono quasi per magia a risvegliare i nostri sensi. Un dialogo sospeso, quello fra il pubblico e gli attori, che qui viene tenuto vivo, oltre che dal suono, dagli sguardi intensi che ci vengono rivolti. 

Un faro di scena illumina gli abissi, una violinista trilla un capriccio di Paganini, un Arlecchino servitore di due padroni compie le sue evoluzioni aquatiche, Titania e Bottom trasformato in asino galleggiano trascinati dal loro amore, la Regina della Notte intona la sua celebre aria in un Flauto magico subacqueo, mentre Agamennone lotta fluttuando contro i suoi fantasmi. 

E ancora musica, con l’Otello verdiano, la Norma di Bellini e la Nona Sinfonia di Beethoven, mentre una danzatrice del Lago dei Cigni cerca, seguita da tutti gli altri, la superficie. E riprende finalmente fiato, proprio come il mondo del teatro dopo diciotto lunghi mesi di simbolica apnea, come qui rappresentata. 

Il video è stato presentato nel ridotto del Teatro alla Scala di Milano dal Ministro della Cultura, Dario Franceschini, insieme al Presidente dell’Agis, Carlo Fontana, e al Sovrintendente Dominique Meyer. La clip è disponibile nella versione integrale di 4’05” e in quella breve di 29”.
Il video, prodotto da D-Wok, è visibile in questa pagina sia nel formato integrale che in quello ridotto. Nel solo formato ridotto verrà diffuso sui canali RAI e le restanti piattaforme televisive nel contesto della comunicazione istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Roma, 18 novembre 2021 Ufficio Stampa MiC © 2021 MiC

Campagna ideata e interamente realizzata da: Ufficio stampa e comunicazione MiC

fonte: https://cultura.gov.it

Musica: Recensione "Adele - 30"

Non sembrerà eccessivo definire "30", il nuovo lavoro di Adele, come uno dei dischi più attesi dell'anno. Di Fabio Ferrara

La cantante inglese è ormai una delle più grandi dive in circolazione: nessun artista ha venduto quanto lei negli ultimi anni, godendo al tempo stesso di un consenso trasversale di critica e pubblico. In più, sono passati ben sei anni dal precedente acclamatissimo album, "25", che aveva fatto incetta di premi in tutto il mondo. Voto 7.5

La pubblicazione di "30" è stata preparata con un'imponente strategia di marketing: cartelloni che ne preannunciavano l'arrivo sono stati posizionati nei monumenti più iconici del mondo anche prima dell'uscita del singolo "Easy On Me". Come prevedibile, la canzone - una ballad lenta con sottofondo di pianoforte e un sound avvolgente - si è posizionata in brevissimo tempo ai primi posti nelle classifiche di diversi paesi. 

Un brano in continuità con lo stile dei suoi precedenti lavori, in particolare con "25" e con il fortunato singolo "Hello", col quale del resto condivide il coautore: il sapiente produttore americano Greg Kurstin. Adele invoca comprensione per le sue scelte, con un testo ispirato dall'evento più doloroso che le è occorso ultimamente: la fine del suo matrimonio con Simon Konecki con cui aveva da poco avuto un figlio.

Non è certo l'unico riferimento autobiografico di "30", già definito come il suo album più personale. In "My Little Love", ad esempio, Adele si rivolge direttamente al figlio chiedendogli di perdonarla per averlo fatto soffrire, recuperando anche registrazioni di dialoghi tra di loro e momenti in cui cede alle lacrime, fragilissima con tutte le sue ansie. È molto particolare l'accostamento di questo materiale dal forte impatto emozionale con una musica soffusa in stile r'n'b, che paradossalmente coinvolge l'ascoltatore forse ancor più di quanto sarebbe accaduto se Adele avesse fatto ricorso solo alle sue incredibili capacità vocali.
È evidente come la collaborazione che la cantante inglese ha intrapreso con il produttore americano Kurstin sia ormai ben consolidata. I due brani sopracitati presentano una struttura classica (seppur con alcuni innesti originali, come le voci dei dialoghi su "My Little Love"); i due successivi sono invece più sperimentali ma ugualmente accattivanti. In "Cry Your Heart Out", la voce di Adele a tratti è distorta elettronicamente, mentre un coro femminile dipinge un'atmosfera vintage anni 60. Altra prova d'eclettismo è invece la giocosa "Oh My God", che innesta la voce di Adele in un sample r&b contemporaneo, con frequenti cambi di ritmo, battiti di mani, cori e un ritornello che difficilmente passerà inosservato al grande pubblico.

L'ultimo brano in cui si avvale del produttore di Los Angeles è "I Drink Wine", in cui la cantante inglese è accompagnata dallo stesso Kurstin al piano in una ballata stile Elton John. Una piccola gemma, inserita subito dopo "Can I Get It", episodio decisamente fuori contesto rispetto al resto dell'album, scelto probabilmente più per esigenze commerciali. La sua breve durata e il fischiettio molto catchy alla Flo Rida lasciano presupporre infatti che presto lo ritroveremo in heavy rotation in tutte le principali emittenti radiofoniche.
Nella prima parte di "30" c'è anche spazio per una collaborazione con Ludwig Göransson, nella traccia d'apertura "Strangers By Nature" in cui il compositore svedese inserisce una sezione d'archi degna di un film Disney, nonostante il testo si riveli ben più funereo ("I'll be taking flowers to the cemetery of my heart/ For all of my lovers in the present and in the dark").
La seconda sezione dell'album è aperta da "All Night Parking", l'unico pezzo in cui la cantante di Tottenham ospita, seppur idealmente, un altro artista leggendario, il pianista di Pittsburgh Erroll Louis Garner. Il brano in realtà è costruito attorno alla base musicale di "Finding Parking" di Joey Pecoraro, che a sua volta utilizza degli estratti della canzone "No More Shadows" di Garner; la base jazz e la voce vellutata ricordano a tratti le sonorità dell'indimenticata Amy Winehouse.

Quasi tutti i brani restanti, invece, sono stati scritti con Inflo, il frontman del collettivo inglese Sault. In "Woman Like Me" Adele, supportata dalla chitarra, si lascia andare a un'invettiva contro il suo ex; mentre in "Hold On" dopo l'iniziale crollo emotivo sembra abbandonarsi alla disperazione, finché - sostenuta da un coro che le chiede di resistere - lentamente si rialza e prende coraggio, fino all'apoteosi finale in cui la sua voce si staglia in mezzo alle altre, proclamandosi pronta a resistere. Simile per struttura, ma decisamente più classica è la successiva "To Be Loved", composta con il musicista canadese Tobias Jesso Jr. Così come nella precedente, dopo un inizio sommesso, pian piano la voce di Adele sale sino a raggiungere timbri da mezzosprano, coronando così l'ennesima prodezza vocale.
Chiude il sipario "Love Is A Game", pezzo più lungo per minutaggio e più complesso per partitura: inizia lento con la voce accompagnata da un organo e da una sezione di archi, poi si inserisce un coro soul e lentamente tutti questi elementi cominciano a dialogare, con il canto di Adele che si fa sempre più determinato declamando di volere ricominciare ad amare. È una canzone che potrebbe essere stata scritta in qualsiasi epoca, ma che allo stesso tempo avrebbe potuto scrivere solo lei.

Serve molta personalità per confezionare un album come "30". Forte della sua classe e dei suoi mezzi vocali superiori, Adele si è sempre circondata di validi professionisti che potessero assecondare al meglio il suo talento. Eppure si era ritrovata in una fase della vita e della carriera dove non era facile restare in equilibrio. Avrebbe potuto subire la pressione delle enormi aspettative da parte dei discografici, abituati ai suoi numeri di altri tempi in termini di dischi venduti. E avrebbe potuto risentire delle difficoltà personali, legate alla fine del suo matrimonio, vissuta come un totale fallimento, anche nei confronti del figlio. Non era scontato, quindi, che l'artista inglese riuscisse a mettere insieme questi dodici pezzi così intimi e personali nei quali, piuttosto che inseguire una facile scalata commerciale, tenta di ampliare e rinnovare la sua proposta musicale.


In "30", Adele dialoga con soluzioni sonore nuove, ma senza mai rinunciare alle sue radici soul e ai tratti che rendono la sua musica inconfondibile. Anche qui, infatti, è possibile ritrovare le sue struggenti ballad, la capacità di coinvolgere emotivamente gli ascoltatori con la sua voce possente e con la malinconia dei suoi testi. Però sovente si avventura anche al di fuori della sua comfort zone, indirizzando la sua arte verso nuove possibilità.

fonte: di Fabio Ferrara  www.ondarock.it

Libri: "Pensavo fosse amore, invece era il gin tonic" di Marco Ferrero

Ho un problema con l'amore, io.  Ci credo troppo.

Come si trasporta un materasso matrimoniale giù per quattro rampe di scale, alle tre di notte, con il cuore letteralmente a pezzi? È questo che si chiede Lorenzo subito dopo aver sorpreso il suo ragazzo nel bel mezzo di un appassionato e rumoroso amplesso. Con una donna. È un tradimento a dir poco inaccettabile e a Lorenzo non resta altra scelta che cacciare il fedifrago di casa e disfarsi di tutto ciò che potrebbe ricordarglielo. 

Compreso il materasso su cui si è consumato l'osceno atto. Per lui è arrivato il momento di voltare pagina: basta con le relazioni tossiche, basta con le storie impossibili, basta con gli uomini sbagliati e palesemente etero. Lorenzo ha collezionato troppe delusioni e ora vuole l'amore vero, quello con la A maiuscola. 

Con l'aiuto di Tinder, della sua Migliore Amica Famosa e dei suoi due eccentricissimi psicologi, si mette quindi alla ricerca del Principe Azzurro. E scopre così che incontrare l'uomo giusto è un po' come trovare un taxi a Milano in una giornata di pioggia: difficile, ma non impossibile.

MARCO FERRERO è nato a Biella nel 1990. Si è poi trasferito a Milano per inseguire il suo sogno di diventare videomaker. Oggi, Marco è un popolarissimo influencer con oltre 600.000 follower che lo seguono con grande affetto sui suoi canali social. Pensavo fosse amore, invece era il gin tonic è il suo atteso romanzo d'esordio

fonte:  www.amazon.it

mercoledì 15 dicembre 2021

Teatro: Roberto Bolle, 'La danza è vittima di scempio, bisogna cambiare'.

 
Roberto Bolle ascoltato alla Camera per l'indagine sulle fondazioni liriche
ANSA RIPRODUZIONE RISERVATA
 L'etoile alla Camera: 'Il mio è un grido di dolore'. Franceschini: 'Ha ragione, basta tagli'

 Basta con lo scempio della danza", basta con i tagli dettati dall'ignoranza, con le risorse negate, i danzatori costretti a lasciare un Paese senza più sbocchi.

 Basta con un'Italia che "calpesta e dimentica il suo grande passato", con le eccellenze maltrattate.

 Arriva dalla sala del Mappamondo di Montecitorio il grido di dolore di Roberto Bolle per il balletto che muore tra l'indifferenza e l'ignoranza di politici e organizzatori. Un j'accuse durissimo che sembra impietrire i deputati della commissione cultura, tutti lì ad ascoltarlo nell'ultima tappa di un'indagine sui teatri lirici italiani. E che alla fine applaudono, sono tutti con lui, abbracciano l'invito a rilanciare un settore troppo a lungo mortificato e reietto, "la Cenerentola delle arti", va giù duro il danzatore, "con Opera lirica e musica sinfonica nel ruolo delle sorelle privilegiate, cui sono riservate le attenzioni e le cure delle Fondazioni". 

Eleganza minimal e tono sempre pacato a dispetto degli occhi che ne tradiscono la passione, Bolle che per entrare nel tempio della politica ha lasciato le prove di "Danza con me", lo show in onda da 5 anni su Rai 1 il primo dell'anno, disegna una realtà di abbandono che fa paura. 

Una situazione "sempre più difficile e arida - dice - fatta di compagnie teatrali sempre più scarne, di corpi di ballo che vengono chiusi, di assoluta mancanza di protezione per la categoria artistica, di ballerini che devono lasciare il proprio Paese per vivere della loro passione e cercare di realizzare i propri sogni". Delle 14 Fondazioni liriche italiane, solo 4 hanno mantenuto un loro balletto, "un depauperamento di cui ci si può solo vergognare", ripete citando quelli che resistono, l'eccellenza de La Scala, certo, e poi l'Opera di Roma, che tra cause e ricorsi ha mantenuto 60 ballerini. 

Due situazioni particolari, alle quali si aggiungono i casi molto meno felici del San Carlo di Napoli e del Massimo di Palermo definiti "in fin di vita", 15 ballerini il primo, 10 di cui 5 in part time il secondo. Una situazione, quella italiana, frutto di tagli sanguinosi, e non sempre dovuta ad una reale mancanza di soldi. Non è l'insostenibilità ma l'ignoranza, sostiene Bolle, il vero nemico del balletto in Italia, "scarsa conoscenza del settore e mancanza di visione di chi ne era responsabile sia a livello governativo che di gestione dei teatri". 

Dito puntato sulla politica, quindi, ma anche sui sovrintendenti, che troppo spesso ne capiscono di musica e non di danza. Il paradosso è un Paese che invece vede fiorire le scuole: in Italia ce ne sono 1.700, conta Bolle, per un totale di 1 milione e 400 ragazzini che vorrebbero danzare, molti di più persino di quelli iscritti alle scuole di calcio, che non superano il milione. 

Senza contare il successo dei talent e i grandi ascolti degli show in tv : "anch'io nel mio piccolo cerco di fare il possibile", minimizza la star, "ma l'interesse per la danza non manca in Italia, il problema semmai è che non c'è il lavoro, le compagnie hanno pochissimi posti, chi si ostina a seguire la sua passione è costretto a partire". 

Cita il caso "vergognoso" dell'Arena di Verona, che nel 2017 ha licenziato tutto il suo corpo di ballo, salvo poi richiamarlo da precario in produzioni tutte esternalizzate. Poi il Maggio a Firenze, che pure ha investito su un nuovo grande teatro, ma non ha più il balletto. Tant'è, è proprio da questi due teatri dove "le ferite sono più recenti" che si dovrebbe ripartire, incalza l'étoile dei due mondi - come l'hanno più volte chiamato - dalla restituzione di un corpo di ballo all'Arena di Verona e al Maggio

Non finisce qui, le richieste sono tante, si va da criteri più equi per la ripartizione delle risorse del Fus ad un Fondo apposito per la salvaguardia dei danzatori, incentivi ai teatri che investono sulla danza e tagli a quelli che invece esternalizzano. Un investimento dovuto, si appassiona Bolle, perché la danza è patrimonio culturale, eccellenza, identità, ma ha anche un'importanza economica e sociale, un grande impatto sui ragazzi. "E' davvero il momento", sorride il maestro ai politici, che poi lo sommergono di applausi e domande. "Bolle ha ragione", commenta in serata il ministro della cultura Franceschini. "In passato troppi tagli". E chissà che davvero stavolta, qualcosa si possa cambiare.

fonte: di Silvia Lambertucci www.ansa.it RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

venerdì 10 dicembre 2021

Lina Wertmüller, first woman nominated for Oscar in directing, has died

Frank Leonardo/The New York Post via Getty Images
Lina Wertmüller's most famous film, Seven Beauties, is about a dissolute Italian Army deserter captured by the Germans during World War II. She's shown above in September 1984.

> Heard on Morning Edition

Italian filmmaker Lina Wertmüller was the first woman ever nominated for an  Oscar in directing. The films she made were extravagant and eye-popping, and she used to say she wasn't surprised to be the first woman nominated for an Oscar in directing — she was only surprised that she didn't win.

 Wertmüller has died at the age of 93, according to a Dec. 9 statement from Italy's minister of culture.

Professor Marguerite Waller, who herself passed away in 2020, told NPR before her death that she loved springing Wertmüller's movies on her students. Students, she said, often expect subtitled European films to be dry and boring, but Wertmüller converted even hardcore haters.

"The films are so much fun, and they're so raucous, and there's so much going on, and they're chaotic, you don't have time to be intimidated," Waller said.

That view was apparently shared by the Academy voters who nominated Wertmüller's movie, Seven Beauties, for four Oscars, including best director in 1976. Set during World War II, the film is about a man from Naples who aspires to be a gangster and a gigolo — but abuses his sister for dancing in a nightclub run by a pimp.

 Over the course of Seven Beauties, our "hero" will commit rape and murder, and be imprisoned in both a mental institution and a concentration camp. He survives there by servicing its sadistic, grotesque female commandant. Hard as it might be to believe, Seven Beauties is a comedy. It's also strange and sad. Hollywood, uncharacteristically, loved it.

"When I begin to write a story, it's the story that carries me, not me that carries the story."
Lina Wertmüller


In Wertmüller's notorious 1974 film, Swept Away, a wealthy socialite gets shipwrecked on an island with a handsome communist deckhand. They hate each other's guts and the screaming is fortissimo. He slaps her around; she falls in love with him anyway. After they're rescued, the unforgiving class system maroons them again, this time on separate economic islands. In an NPR interview in 1992, Wertmüller was asked, why all the violent sexual behavior between men and women in her films?

 

The DVD Room  'Swept Away' — Twice

"In my story there is a sort of passionality," she explained. "Too much passion is a different point of view."

But the question, again, why?

"I can't explain because when I begin to write a story, it's the story that carries me, not me that carries the story," she said.

That answer didn't satisfy everyone. Waller, who taught women's studies as well as comparative literature, said many feminists excoriated Wertmüller as a pointless provocateur.

"I think a lot of feminists couldn't see beyond what looked like a man dominating a woman," she said.

But Waller saw heavy irony in the director's circus of control. "Nobody wins, and that's hard to do — that's surprisingly hard to do — with two characters," she says.

Wertmüller came from a family of Swiss nobility and grew up in Rome, the daughter of a wealthy lawyer. She rebelled by joining an avant-garde puppet theater and apprenticing herself with the masters of Italian neo-realism.

With her trademark white glasses, she was an unmissable icon on the festival circuit for decades. She kept making movies, though fewer and fewer were screened in the U.S. When asked why, the director, whose films sharply criticized capitalism, did not hesitate to explain.

"Money, money, money," she told NPR with a laugh. "It's always the same problem, I think."

The problems Wertmüller found most interesting — fascism, sex, anarchy, love — were for her an opportunity to leave an outrageous, audacious stamp on world cinema.

source: by    for https://www.npr.org/

domenica 5 dicembre 2021

Scala, a pochi giorni dal Macbeth, stato di agitazione in solidarietà al Corpo di ballo: "Ballerini e mimi arruolati all'esterno è aggravio di costi"

I lavoratori della Scala proclamano lo stato di agitazione in solidarietà al Corpo di ballo a pochi giorni dal Macbeth di Giuseppe Verdi che aprirà la stagione lirica del Piermarini il prossimo 7 dicembre. 

 

Motivo della protesta la decisione del teatro definita "inspiegabile"  di ricorrere a personale esterno circa 18-20 mimi/ballerini, per la "pantomima" del terzo atto del capolavoro verdiano, "escludendo il Corpo di Ballo con un notevole aggravio di costi per il teatro".

Si tratta dei mimi voluti dal regista dell'opera Davide Livermore che saranno tra i protagonisti della sua messa in scena in chiave contemporanea dell'opera. Sale la tensione anche tra i ballerini scaligeri e il direttore del ballo Manuel Legris. A poche settimane  dalla prima rappresentazione de La Bayadère con la storica coreografia di Rudolf Nureyev, che inaugurerà la stagione del balletto il prossimo 14 dicembre.

In un comunicato firmato dalle segreterie di Slc Cgil, Fiestel Cisl e Uilcom Uil e Fistal Cisal e dalle rappresentanze sindacali della Scala si legge che "In riferimento alle decisioni assunte dal Direttore del Corpo di Ballo di non riconoscere il ruolo di étoile e i conseguenti avanzamenti di ruolo nel classico e storico allestimento "La Bayadère", nonostante sia previsto dall'art 99 e dall'art 100 del contratto unico Teatro alla Scala, prendono atto anche della non disponibilità del direttore ad un confronto con i delegati e con il Corpo di Ballo".

Ecco perché i lavoratori riuniti in assemblea hanno deciso di aprire lo stato di agitazione. E di fare proprie le determinazioni dei lavoratori e dei delegati del Corpo di Ballo "con riserva di assumere tutte le iniziative che si rendessero necessarie".

Non è la prima volta che le danze del terzo atto di Macbeth sono protagoniste di una polemica. In occasione dell'apertura della stagione d'opera e balletto 1975/76  con il capolavoro di Verdi, diretto allora da Claudio Abbado il balletto del terzo atto fu cancellato, non per questioni sindacali, ma per volontà di Giorgio Strehler che firmava la regia dello spettacolo.   

fonte:

Pisa: A Palazzo Blu, la mostra "Keith Haring" fino al 17 Aprile 2022

“L’arte è vita. La vita è arte. L’importanza di entrambi è esagerata e fraintesa”
Keith Haring, Diari

La Nakamura Keith Haring Collection, in collaborazione con la Fondazione Pisa e Palazzo Blu, è orgogliosa di presentare il progetto di mostra intitolato Keith Haring.


Curata da Kaoru Yanase, Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection in Giappone, questa mostra si concentrerà sull’arte e la vita di Haring attraverso una ricca selezione di opere, con un focus sul suo dipinto murale pisano del 1989 “Tuttomondo”.
La Nakamura Keith Haring Collection è la collezione personale del Dr. Kazuo Nakamura, oggi esposta nel museo dedicato all’artista che si trova Giappone. Essa raccoglie opere che vanno dai primi giorni fino agli ultimi lavori di Haring, tra cui molte serie complete di stampe come Apocalypse (1988), Blueprint Drawings, (1990) e diversi altri disegni, sculture e grandi opere su tela come Untitled (1985).

Ampiamente riconosciuto per le sue opere d’arte dai colori vivaci e giubilanti, l’arte di Haring presenta anche messaggi forti sulla nostra società. In questa mostra il pubblico sarà invitato a scoprire un altro lato della sua creatività, il messaggio visivo dei caotici anni ’80 il quale, trasmesso attraverso la sua arte, continua a risuonare con noi oggi, 31 anni dopo la sua morte.

Keith Haring ha vissuto gli sconvolgimenti della New York degli anni ’80.
L’economia americana era in cattive condizioni, soprattutto a New York, dove molti problemi sociali come la violenza, la droga, la discriminazione e la povertà affliggevano la città. Senza Internet, telefoni cellulari o social media, Haring ha cercato di comunicare con un pubblico il più ampio possibile. Per rendere l’arte disponibile a tutti, ha rotto la tradizione dell’arte e ha riversato tutto se stesso nel suo lavoro.
Tragicamente questo è durato solo poco tempo poiché è morto per complicazioni legate all’AIDS all’età di soli 31 anni. Tuttavia le sue opere e il suo messaggio rimangono ancora rilevanti, specialmente nel mondo di oggi con i problemi globali che affrontiamo: la pandemia di COVID-19, il cambiamento climatico e disuguaglianze crescenti, solo per citarne alcune.

L’esposizione ha il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Toscana e del Comune di PisaTutte le INFO >> QUI

La mostra presenta per la prima volta in Europa una ricca selezione di opere, oltre 170, provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, che si trova nel museo dedicato all’artista, in Giappone. Fanno parte della collezione, e sono in mostra a Pisa, opere che vanno dai primi lavori di Haring fino agli ultimi, molte serie complete quali Apocalypse (1988), Flowers, (1990) e svariati altri disegni, sculture nonché grandi opere su tela come Untitled (1985). Ampiamente riconosciuto per le sue opere d’arte dai colori vivaci e giubilanti, i lavori di Haring sono familiari e noti anche a chi non conosce la sua breve parabola artistica perché i suoi omini stilizzati e in movimento, i suoi cuori, i suoi cani e i suoi segni in generale fanno parte del bagaglio di immagini pubbliche e non solo, in tutto il mondo, e sono proprio queste ad averlo reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta.

L’esposizione ripercorre l’intera carriera artistica di Haring e l’ampia gamma di tecniche espressive da lui indagate – pittura, disegno, scultura, video, murales, arte pubblica e commerciale – iniziando dai disegni in metropolitana, Subway Drawings, 1981-1983 (gesso bianco/carta/pannelli di legno) che restano tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle diciassette serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, la sua ultima serie su carta che riproduce le prime e più pure narrazioni visive nate nel 1981, pubblicata nel 1990, un mese prima della sua morte.  

Il percorso di mostra, allestito nelle sale di Palazzo Blu dagli architetti di Panstudio, si divide in nove sezioni: dal PRINCIPIO, prima sezione, in cui si raccontano gli inizi e la vita nella città di New York, dove Haring si trasferisce nel 1978 per studiare alla School of Visual Arts. In quel periodo fa coming out. Inizia con semplici segni grafici a disegnare bambini, animali, cuori, televisori, angeli, piramidi e omini, con il gesso bianco, sopra i pannelli pubblicitari inutilizzati delle stazioni metropolitane di New York. Le foto dei suoi lavori iniziano a circolare e il suo stile diventa subito molto riconoscibile perché crea un linguaggio che si legge a colpo d’occhio, il “codice Haring”. E la sua fama presso il pubblico cresce rapidamente. 

La sezione OLTRE I LIMITI, ci porta dentro i colori fluorescenti che brillano sotto la luce nera dell’artista, attraverso una serie di cinque serigrafie, Untitled (Fertility Suite), pubblicata dalla Tony Shafrazi Gallery nel 1983, in cui Haring da spazio alle sue icone, simboli di vitalità e fertilità, sempre in movimento, forse agitate. 

Subito dopo LE STORIE, in cui è esposta l’opera The Story of Red + Blue, 1989, una serie di litografie realizzata espressamente per i bambini divenuta così nota da essere usata per diversi concorsi di storytelling e inserita nei programmi educativi in molte scuole americane. 

HARING A PISA, racconta l’avventura pisana di Keith Haring, l’amicizia dopo l’incontro fortuito con Piergiorgio Castellani, e il lavoro corale per la realizzazione del murale “Tuttomondo” su una parete del Convento di Sant’Antonio: la Chiesa che mise a disposizione la superficie da dipingere, il Comune e la Provincia che coordinarono il progetto, gli studenti dell’università che aiutarono l’artista come assistenti.

Si passa poi alla MUSICA; ovunque Haring lavori, sulla strada o nel suo atelier, c’è sempre. Le sue opere incarnano il suono delle strade di New York e dei locali più cool. Collabora alla creazione di un gran numero di cover, una delle più note è per un album di David Bowie del 1983 che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio. Insieme alla musica la sezione MESSAGGIO: l’obiettivo di Haring è raggiungere il maggior numero di persone possibile e i poster sono uno strumento in grado di stabilire una connessione immediata col pubblico. Il Poster for Nuclear Disarmament, del 1982, è senza parole, ma invoca visivamente la fine dell’energia nucleare. Da allora Haring realizza oltre cento poster per pubblicizzare le proprie esposizioni, concerti, prodotti o per sensibilizzare le persone ai temi che ha particolarmente a cuore: la prevenzione dell’AIDS, i diritti dei gay, l’apartheid, il razzismo, l’uso delle droghe, la guerra, la violenza e la salvaguardia ambientale. 

In SIMBOLI E ICONE, troviamo Radiant Baby, Dog, Angel, Winged Man, Three-Eyed Face, la serie pubblicata nel 1990, che include i personaggi più iconici della sua intera opera. Come si legge nei diari, The Radiant Baby simboleggia l’innocenza, la purezza, la bontà e il potenziale di ognuno.

DISTOPIA RIVELATA è una sezione dedicata a una fase di maturazione e consapevolezza di Haring. Come si nota in Apocalipse, 1988, la materia della sua arte si fa più profonda e complessa. Come omosessuale che convive con l’AIDS, la politica e la paura diventano i temi dominanti dei suoi lavori. In collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs lavora a questa serie, offrendo un assaggio del suo inferno personale: ogni immagine realizzata con la tecnica del collage, riprende la poesia, e utilizza pubblicità, referenze di storia dell’arte e teologia cattolica per amplificare le scene di caos. 

ENERGIA PRIMORDIALE: piramidi affollate di omini, animali, soli, maschere, il body painting e i totem. L’opera di Keith Haring diventa uno spazio fra arte vernacolare e arte accademica, fra creazione e appropriazione. I suoi lavori celano poteri misteriosi di provenienza non occidentale, ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché a simboli antichi e mitologici. 

LA FINE DELL’INIZIO, chiude la mostra con le immagini che meglio raffigurano il linguaggio iconico di Haring: piramidi, dischi volanti, cani, serpenti e bambini che si mescolano a figure erranti ed extraterrestri. Nel 1990, poco prima di morire, Haring pubblica la sua ultima edizione su carta, The Blueprint Drawings. «Questi 17 disegni sono nati in poche settimane fra dicembre 1980 e gennaio 1981. Gli originali li ho realizzati su pergamena con inchiostro Sumi perché avevo intenzione di riprodurre tutti i disegni in cianografia. Li portavo regolarmente al cianografo locale, dove mi divertivo a cercare di spiegarne il contenuto agli addetti ai macchinari. Nel giro di qualche settimana, in negozio, tutti avevano grande familiarità con i miei disegni. (…) Quelle stampe sono una perfetta capsula del tempo dei miei inizi a New York City», Keith Haring New York City 4 gennaio 1990. 

Keith Haring ha vissuto gli sconvolgimenti della New York degli anni ’80 quando l’economia americana era in crisi e la città era preda di violenza, droga, discriminazione e povertà.

Haring si è sempre impegnato attraverso le sue opere a sensibilizzare il pubblico su temi quali l’energia nucleare, gli aspetti negativi dell’era tecnologica, la salvaguardia dell’ambiente, il razzismo dilagante, l’uso delle droghe e la prevenzione contro l’AIDS. Sin dall’inizio della sua carriera Haring trova il modo di fondere ciò che è inequivocabilmente riconosciuto come arte con la vita di tutti i giorni. 

E con il soggetto del bambino, individua il mezzo più efficace per assicurarsi l’immortalità. Nessuno sa quanti bambini abbia disegnato. Due giorni prima di morire, troppo debole anche per parlare, prende un pennarello e tenta ripetutamente di disegnare qualcosa, poi finalmente ci riesce: è il bambino radiante. Un neonato che sprigiona raggi di potere ricevuto dall’universo; che possiede un’energia infinita; che gattona incessantemente, senza fermarsi mai, verso ogni dove, sfidando ogni pericolo. E dopo la morte di Keith, nel corso degli anni Novanta fino al caos dei giorni nostri, questa immagine iconica continua a trasmettere il suo messaggio di gioia. Il bambino radiante rappresenta Keith Haring stesso.

fonte:  https://palazzoblu.it

3 idee di viaggio LGBTQ+ friendly per il tuo ponte dell’Immacolata 2021

Il ponte dell’Immacolata si avvicina e non sai ancora cosa fare? Oggi ti proponiamo 3 idee di viaggio LGBTQ+ friendly per trascorrere qualche giorno lontani dalla solita routine giornaliera.

Matera  

Matera è sicuramente una delle città più affascinanti e caratteristiche d’Italia. Città della Cultura nel 2019, Matera è famosa per il suo Centro dei Sassi (patrimonio mondiale UNESCO).

Il periodo natalizio è l’ideale per lasciarvi stupire dalla sua atmosfera magica, quando scende il buio, la città si illumina e i suoi negozietti vi offriranno prodotti d’artigianato locale, squisite specialità gastronomiche e bellissimi souvenir. Un viaggio ideale per acquistare i vostri regali di Natale e lasciare a bocca aperta chi li riceverà. Qui potrete soggiornare in un autentico sasso, scoprire i locali gay friendly della città (Area 8, Wine&Coffee 9.1, Charlie’s…) e provare il ristorante BurBaCa situato nel centro di Matera.  Per maggiori info: https://bit.ly/319A3Y6

Venezia

Trascorrere il ponte dell’Immacolata a Venezia è un classico che non stanca mai. La sua bellezza fa sempre emozionare. Culla di arte, storia e cultura è sicuramente l’ideale per un soggiorno romantico. Soggiornare al Boutique Hotel Ca Maria Adele nel sestiere di Dorsuso renderà il tutto ancora più speciale. Affacciato sul Canale della Salute, fonde levante e ponente, barocco e minimalismo, in un pentagramma dal motivo inaspettatamente armonico. A Venezia vi consigliamo di organizzare un tour guidato per scoprire la sua lunga storia LGBTQ+. Per maggiori info: https://bit.ly/32M92e8

Berlino 

Se non siete mai stati a Berlino e amate il Natale, potreste approfittare dell’atmosfera natalizia che contraddistingue la città durante il mese di dicembre per visitarla. Completamente rasa al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale, la città di Berlino è una metropoli recente ma con una difficile storia alle spalle. Qui potrete vedere i resti del muro che per anni ha diviso la città, il monumento dell’olocausto costruito per commemorare le vittime del periodo nazista e l’Isola dei Musei. Situata nel centro storico di Berlino, quest’ultima è patrimonio mondiale dell’UNESCO e racchiude cinque musei di fama internazionale e la James-Simon-Galerie.

Non potrà mancare una visita al quartiere Schoneberg, il primo quartiere LGBTQ+ al mondo, tutt’oggi punto di incontro della comunità gay locale.

Se invece siete alla ricerca di divertimento, non preoccupatevi, la città di Berlino è anche famosa per i suoi locali (SchwuZ, Connection, ISO 36, Cafè Fatal…) e per i divertentissimi party. Per maggiori info: https://bit.ly/3rmWZhp

fonte: by Redazione    https://quiikymagazine.com

Milano: “TVBOY. La mostra” al Mudec – Museo delle Culture. Fino al 9 gennaio 2022

2 Mudec – Museo delle Culture
via Tortona 56, Milano, dicembre 2021 – 9 gennaio 2022
> Ingresso gratuito

Il suo nome d’arte è TVBOY.
Lo street artist Salvatore Benintende è a livello internazionale uno degli esponenti principali del movimento Street Art di matrice Neo Pop.

Le sue opere sono esposte in diversi Paesi, dalla strada alle mostre museali. Ora Mudec Photo lo ospita per la prima volta a Milano in una personale dell’artista che svela al visitatore l’occhio ironico e satirico ma sempre attento alla riflessione con cui TVBOY reinterpreta i vari trend seguiti dalla società moderna attraverso la sua street art.

TVBOY. La mostra” racconta – attraverso più di 70 tele – il percorso di questo giovane e prolifico artista, soffermandosi sulle sue principali tematiche: l’amore, il potere, gli eroi, l’arte. La mostra, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura, è a cura dell’esperto di street art e giornalista Nicolas Ballario ed è realizzata in collaborazione con Studio TVBOY.

La collaborazione tra il Mudec e l’artista è stata – come spesso accade in questi casi con artisti ‘disruptive’ nei confronti della società e delle istituzioni – assolutamente casuale.

In occasione della mostra del Mudec dedicata a Banksy nel 2018 “A Visual Protest. The Art of Banksy” (21 novembre 2018 – 14 aprile 2019), TVBOY realizzò nottetempo un primo murale di protesta sul muro di cinta del museo, in via Tortona 56.

Il murale rappresenta (è ancora oggi visibile) uno street artist incappucciato, ritratto di spalle, che gioca sull’ambiguità Official/Un-official, riferendosi alla mostra non ufficiale di Banksy che si svolgeva all’interno delle sale del museo. Dallo “scontro” è nato un dialogo interessante, che al contrario ha visto lavorare il Museo delle Culture e TVBOY insieme, per un progetto molto ambizioso all’interno del distretto Tortona.

Il Comune di Milano e il Mudec colsero l’occasione spontanea invitando TVBOY a replicare l’opera durante una performance pubblica in Museo realizzando una serie di opere successivamente vendute, il cui ricavato finanziò il progetto “Un muro che unisce”, in collaborazione con Municipio 6.

INFO:  infoline 02 54917 (lun-ven 9.00-18.00)

ORARI: 2.12.2021 – 9.01.2022
Lunedì 14.30 – 19.30
Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30 – 19.30
Giovedì – sabato 9.30 – 22.30
ULTIMO INGRESSO UN’ORA PRIMA

Ingresso gratuito

A partire dal 6 dicembre, l’accesso alle mostre e agli spazi espositivi è consentito solo tramite esibizione del Green Pass rafforzato.corredato da un valido documento di identità per accedere al museo.
Le disposizioni non verranno applicate ai bambini di età inferiore ai 12 anni e ai soggetti con certificazione medica specifica.
Rimangono in vigore le prescrizioni di sicurezza anti-Covid: all’ingresso è necessaria la misurazione della temperatura al Termo-scanner, rimane in vigore l’obbligo di indossare la mascherina, rimane in vigore l’obbligo del distanziamento interpersonale di almeno 1 mt 
 
fonte:  www.mudec.it

martedì 30 novembre 2021

Libri: "L'arte del trucco" scritto dalla Make Up Artist, Elisa Calcinari

La natura umana è asimmetrica e discromica. 

Se, con l'intervento pittorico di trucco, proviamo a rimettere in asse i lineamenti del viso, rischiamo di rendere il soggetto "finto" e artefatto, togliendone la naturalezza e mettendone addirittura in evidenza dei "difetti" che non si notavano a pelle struccata. 

Ma il make-up può veramente enfatizzare la bellezza di una persona, se si applica un metodo di trucco diverso da quelli tradizionali. 

In questo libro vi verranno svelate queste nuove teorie e capirete che non vi siete mai visti come vi vedono gli altri, che l'immagine che voi avete di voi stessi non è quella reale e perché non siete come credete di essere.

 

Elisa Calcinari, docente alla >  MBA Making Beauty Academy

Trucco artistico, Body painting e FX
Dopo aver studiato trucco artistico con Stefano Anselmo, Elisa  si trasferisce a Roma per intraprendere una carriera nel cinema e lavorare presso il Laboratorio di Effetti Speciali di Rino Carboni (truccatore di F. Fellini).

Grazie alla sua tenacia, fonda il proprio laboratorio di effetti speciali, lo “Studio Artefare”, e inizia la sua attività in RAI e MEDIASET come truccatrice in numerosi programmi. Qui ha l’occasione di affiancare registi del calibro di Wim Wenders, Maurizio Nichetti e Dario Argento e, artisti come Anna Oxa, Gianna Nannini e Renato Zero. 

Per più di 10 anni è stata responsabile del reparto di trucco e parruccheria dell’Arena di Verona e del Teatro Filarmonico. Attualmente si dedica alla televisione, alla pubblicità e al cinema. Ideatrice di nuove tecniche di trucco di base è autrice del libro” L’ARTE DEL TRUCCO”.

fonte: https://mbacademy.it   www.amazon.it

Cinema: 'Divergenti', a Bologna la rassegna a tematica trans. Dal 2 al 4 dicembre l'11/a edizione, dieci opere in concorso

Torna a Bologna dal 2 al 4 dicembre 'Divergenti', l'unico festival cinematografico in Italia, e uno dei pochi nel mondo, interamente dedicato alla narrazione e rappresentazione dell'esperienza trans: l'11/a edizione - dal titolo 'Trans, e basta' - si svolgerà in presenza al Cinema Lumière di Bologna e online su Docacasa.it

Progettato e realizzato dal Mit-Movimento Identità Trans, direzione artistica di Nicole De Leo e Porpora Marcasciano, il festival seleziona e propone il meglio della cinematografia internazionale dedicata all'immaginario trans, "con l'ambizione di offrire uno spaccato dell'identità trans in continuo mutamento, sfidando gli stereotipi negativi e stimolando il superamento dei pregiudizi e delle paure".

In programma proiezioni, incontri con gli autori, seminari e tavole rotonde.

Nucleo centrale del festival il Concorso internazionale, che proporrà dieci opere, tra documentari e fiction (con una prima assoluta e due anteprime italiane) che mostrano la resilienza e la forza delle comunità trans, con una gamma di generi e tematiche che vanno dalle storie di donne trans in lotta da una vita per la loro identità e i loro diritti al percorso di 'coming-of-age' di un'adolescente trans nel Brasile di oggi, dal ritratto di un'icona queer come Pedro Lemebel alle lotte per il riconoscimento e la giustizia delle trans latinoamericane di New York City, fino ai pionieri del movimento transgender. 

L'anteprima assoluta (domenica 4) è quella di 'Porpora' di Roberto Cannavò, viaggio nell'avventura umana di Porpora Marcasciano, storica attivista, scrittrice e fondatrice del Mit. 

In questa edizione il festival entrerà anche nelle carceri: grazie alla collaborazione con il Dap-Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, una selezione di film di 'Divergenti' sarà proiettata in alcune carceri con strutture dedicate alle persone trans. La prima sarà quella di Reggio Emilia nella seconda metà di dicembre. (ANSA). 

fonte: Redazione ANSA www.ansa.it   RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Libri: "Non volevo diventare un boss" di Salvatore Esposito

Salvatore Esposito è diventato famoso con il volto di Genny Savastano nella serie tv Gomorra. Ma chi si nasconde dietro quegli sguardi gelidi e spietati? Forse qualcuno che ha conosciuto direttamente il contesto del degrado e della criminalità e che, magari anche per questo, si rivela così convincente nel ruolo? 

In questo libro Esposito ha deciso di raccontarsi perché trova che la sua storia personale abbia un che di particolare e possa ispirare un po’ tutti, specialmente i giovani. Salvatore è un figlio della Napoli popolare: cresciuto senza vizi, ha dovuto presto cominciare a darsi da fare.

Tuttavia, diversamente da tanti coetanei che nella speranza di guadagni facili si sono lasciati tentare dalla sirena pericolosa della Camorra, ha sempre creduto, come i suoi genitori, nello studio e nel lavoro. Ma in questa vita, onesta e normale, a un tratto ha fatto irruzione una passione incontenibile, assoluta: quella per la recitazione. All’epoca Salvatore, per mantenersi, lavorava da McDonald’s: diventare un attore sembrava impossibile. Eppure, con determinazione, umiltà, spirito di sacrificio, ci è riuscito.

Non volevo diventare un boss racchiude un messaggio importantissimo e positivo per i ragazzi: non cercate facili scorciatoie, ma inseguite le vostre passioni perché così i vostri sogni potranno diventare realtà. Allo stesso tempo, questo libro rappresenta un omaggio di Salvatore a Napoli, la sua città che gli ha dato tanto, e che non va identificata con la Camorra, ma semmai con la gentilezza della gente, o con il suo teatro e la sua musica, o magari semplicemente con la cortesia di un caffè sospeso.

fonte: www.salvatore-esposito.com

A Firenze: il 1 Dicembre "I'm Still Here" in prima nazionale al Cinema La Compagnia

In occasione del World aids day [Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids 2021] il film: "I’m Still Here"

A dieci anni dalla sua nascita, nonché a quaranta dalla prima diagnosi di HIV/AIDS, l’associazione PLUS Persone LGBT+ Sieropositive di Bologna racconta la sua storia, che si intreccia con quella del movimento LGBT italiano, ripercorrendo le vicende del sieroattivismo in Italia.

Evento in collaborazione con il Florence Queer Festival e Associazione Ireos

I’m Still Here racconta la storia dell’associazione PLUS – Persone LGBT+ sieropositive, nell’anno del suo decennale, nonché nella ricorrenza dei 40 anni dalla prima diagnosi dell’HIV/AIDS. Le vicende dei protagonisti, intrecciate con la storia del movimento LGBT, vengono ripercorse da un punto di vista storico, sociale e politico ed arricchite da prezioso materiale d’archivio. Evidenziare tutti gli aspetti sociali di HIV, dallo stigma alla paura, dalla solitudine alla consapevolezza, significa rimettere al centro i corpi e le storie delle persone, occupando lo spazio pubblico con i propri bisogni e i propri desideri, anche attraverso performance artistiche, che diventano momenti di rivendicazione, di visibilità e di riscatto.

l tema di HIV è oggi molto invisibilizzato, e i bisogni delle persone con HIV non considerati all’interno del discorso pubblico. Riuscire a rimettere al centro i corpi e le storie delle persone che vivono con HIV è quindi soprattutto oggi fondamentale, così come porre la questione della visibilità degli stessi all’interno dello spazio pubblico, affinché non vengano relegati solamente ai convegni istituzionali e scientifici.

Il film sarà preceduto da un video di presentazione della regista.

"I'm Still Here"
Regia: Cecilia Fasciani
INGRESSO: 6€ intero / 5€ ridotto 

MERCOLEDÌ 1 DICEMBRE 2021
🎥 ORE 21:00 📌 CINEMA LA COMPAGNIA - FIRENZE Via Camillo Cavour, 50/R

TRAILER 👉 https://youtu.be/Kq5avwN1UVk

WORLD AIDS DAY – 1 dicembre 2021
Giornata Internazionale di lotta all’AIDS.
Il 5 giugno del 1981 fu descritta per la prima volta su una pubblicazione scientifica la patologia che poi fu chiamata “sindrome da immunodeficienza acquisita”. A 40 anni dalla prima diagnosi di HIV tanta strada è stata fatta sui temi della prevenzione, della cura e del contrasto al virus.

Prima della proiezione intervengono:
Mimma Dardano – Comune di Firenze – presidente della Commissione IV politiche sociali e della salute, sanità e servizi sociali
Maria Stagnitta – CAT Coop. Sociale e Rete enti terzo settore Firenze Fast Track City
Massimo Di Pietro – USL Toscana Centro – dirigente malattie infettive Area fiorentina ed empolese
Barbara Caponi – presidente IREOS
BRUNO CASINI – direttore Florence Queer Festival

fonte: www.cinemalacompagnia.it

martedì 23 novembre 2021

Cinema > Eddie Redmayne su The Danish Girl: “Accettare quel ruolo è stato un errore”

L'attore che nel 2016 ottenne la candidatura all’Oscar per la sua interpretazione della pittrice transgender Lili Elbe (una delle prime persone al mondo a subire un intervento per diventare donna biologicamente), oggi si dice pentito di quella scelta. “Non toccava a me. Nel cinema ci vuole più uguaglianza”, ha affermato a The Times l’interprete 39enne, ora d’accordo con chi al tempo contestò il fatto che non fosse stata scritturata un’attrice trans per il ruolo

Eddie Redmayne ha dichiarato che accettare il ruolo nel film The Danish Girl è stato un errore.

Nel 2015 l’attore (che aveva vinto l’anno prima il premio Oscar al miglior attore interpretando Stephen Hawking ne La teoria del tutto, film uscito nel 2014) ha accettato la parte da protagonista di The Danish Girl, la pellicola diretta da Tom Hooper che adatta il romanzo La danese (The Danish Girl), scritto nel 2000 da David Ebershoff e liberamente ispirato alle vite delle pittrici danesi Lili Elbe e Gerda Wegener.

Redmayne si è calato nei panni di Lili Elbe, nata Einar Wegener, una delle prime persone al mondo a subire un intervento per diventare donna biologicamente. Si tratta infatti della seconda persona a essere identificata come transessuale e a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale.
Nata biologicamente uomo, con il nome di Einar Mogens Andreas Wegener, è stata la seconda persona, seguendo la primissima donna transgender: Dora Richter. Lili Elbe si sottopose all’iter di transizione di genere nel lontano 1930, recandosi in Germania (lei era danese, come lo stesso titolo di romanzo e film ben illustra) per sottoporsi all'intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, all'epoca ancora sperimentale. Andò incontro a cinque operazioni chirurgiche.

Redmayne pentito: “Non toccava a me”

“Non toccava a me”, afferma oggi l’attore 39enne in occasione di un’intervista rilasciata al magazine The Times. “Nel cinema ci vuole più uguaglianza”.

Benché quella parte gli fece ottenere una candidatura gli Oscar nel 2016, ora concorda con le tante voci critiche che all’epoca avevano contestato la scelta di non scegliere un'attrice transgender.

“Ho interpretato quel ruolo con le migliori intenzioni, ma accettarlo fu un errore. Il grande dibattito sul casting che si è aperto è legato al fatto che realmente ancora oggi troppe persone sono escluse dalle decisioni, ci dovrebbe essere più uguaglianza in questo senso, altrimenti continueremo a discutere sempre di questi argomenti”, ha spiegato l’attore britannico.

La scelta di Redmayne contestata anche dalla co-protagonista, Alicia Wikander

La scelta di casting che ha decretato Redmayne nella parte di Lili Elbe è stata già ampiamente criticata perfino dalla co-protagonista dell'attore, Alicia Wikander. L'attrice - che ha vinto la statuetta gli Academy Awards per la sua interpretazione di Garda, la moglie di Einar Wegener (nome con cui Lili Elbe nacque all’anagrafe) - alcuni mesi fa ha rilasciato dichiarazioni a Insider in cui afferma di essere d'accordo con chi contestava la scelta di un uomo nei panni di un personaggio di donna transgender.

“C’è bisogno di un cambiamento. Bisogna fare in modo che uomini e donne transgender riescano a trovare spazio nel settore. E il cambiamento sarà completo solo quando attori trans interpreteranno personaggi cisgender”, queste le parole di Alicia Wikander sull’argomento.

Un tema che dovrebbe essere trattato come il blackface

Oggi una nuova sensibilità sta facendo intravedere la proverbiale luce in fondo al tunnel: sta sorgendo un'alba che rischiara finalmente l'oscurità su alcuni temi che nel 2021, quasi 2022, sembra assurdo esser qui a dibattere ancora.

Negli ultimi mesi il politically correct ha incominciato a farsi sentire a gran voce, spingendo le produzioni cinematografiche e televisive a limitare il cosiddetto “blackface”, benché sia scorretto parlarne in questi termini.

In senso stretto, infatti, questa parola rimanda allo stile di trucco teatrale, diffuso nel XIX secolo, che consiste nel truccarsi in modo non realistico per assumere le sembianze stilizzate e stereotipate di una persona nera.

Oggi “blackface” viene più che altro usato in senso lato, per riferirsi ai casi in cui attori e doppiatori si ritrovano a dover interpretare persone di diversa etnia rispetto a quella cui appartengono, marcando in maniera esagerata, stereotipata e denigrante tratti considerati luoghi comuni, stereotipi offensivi. Intendiamo riferirci con questo termine a qualsiasi caso di stereotipizzazione di genere, a livello razzista, religioso o sessuale che sia.  

Oggi le produzioni del piccolo e del grande schermo incominciano a tener conto della questione, optando per scelte di casting che siano fedeli alla provenienza geografica, all’appartenenza etnica e religiosa del personaggio in questione.

Due esempi arrivano da I Simpson, che alcuni mesi fa hanno annunciato un cambiamento epocale ingaggiando nuovi doppiatori per due personaggi storici ricorrenti, ossia Apu e il dottor Julius Hibbert. Questi ultimi sono affidati oggi a doppiatori della medesima etnia (Apu è indiano e il Dr. Hibbert afroamericano).

Recentemente anche l'interpretazione di personaggi con orientamento sessuale e identità sessuale diversa da quella eterosessuale viene assegnata preferibilmente ad attori caratterizzati dallo stesso orientamento e dalla medesima identità. Tra i prodotti televisivi più attenti a far combaciare interprete e ruolo in maniera rispettosa per quanto riguarda l'identità sessuale possiamo citare Grey’s Anatomy.

Basta ruoli LGBTQ+ affidati ad attori che non appartengono alla comunità LGBTQ+

Il pubblico chiede ormai a gran voce di non scritturare più attori eterosessuali per ruoli LGBTQ+. Non si tratta solamente di politically correct ma anche di buon cinema e buona televisione, di buona arte in generale: solo chi fa davvero parte di questa comunità saprà interpretarla al meglio, senza stereotipizzazioni e caricature. Affidare parti LGBTQ+ a interpreti non LGBTQ+ è da bandire poiché non rispetta i diritti delle persone, non omaggia la diversità e l’inclusività, si basa su una forma di stereotipizzazzione (che ormai è da bandire sempre, trattandosi di qualcosa di altamente dannoso, come ormai avremmo dovuto capire da decenni).

Personaggi LGBTQ+ affidati ad attori che appartengono alla comunità: il caso Grey's Anatomy

Grey's Anatomy è indubbiamente uno degli show più inclusivi e rispettosi della diversità.
Nel medical drama ideato da Shonda Rhimes è stato annunciato alla fine di ottobre 2021 l’arrivo del primo medico della serie dichiaratamente non-binary.

A interpretare il personaggio del dr. Kai Bartley è E.R. Fightmaster, attore, produttore e scrittore statunitense non binario anche nella vita reale. Era già apparso nella serie “Shrill”, su Hulu. Si tratta dell’ennesima riprova di come questo show punti sull'inclusività: da anni Grey's Anatomy contempla nel cast interpreti e personaggi che fanno parte comunità LGBTQ+.

L'arrivo di un medico dichiaratamente non-binary è una svolta importante per il mondo delle serie, della televisione, dello spettacolo in generale e per il mondo.
Da anni la serie si conferma come altamente inclusiva, accogliendo persone appartenenti alla comunità LGBTQ+, sia come guest star occasionali sia come membri del cast fisso. Oltre a contemplare tra gli interpreti persone che appartengono alla comunità LGBTQ+, chiaramente Grey's Anatomy abbraccia anche personaggi che fanno parte della stessa comunità, affidando ad attori LGBTQ+ ruoli LGBTQ+.

Ci sono state Callie Torres e la sua fidanzata Arizona Robbins. La prima era il primario di ortopedia, dichiaratamente bisessuale, mentre la seconda era il chirurgo pediatrico dichiaratamente omosessuale, rispettivamente interpretate da Sara Ramírez e Jessica Capshaw. Quest'ultima è una interprete eterosessuale che si è calata nella parte di un personaggio gay, cosa che ultimamente non è ben vista.

La tendenza è quella di fare interpretare personaggi LGBTQ+ da persone facenti parte realmente di quella comunità, per evitare deprecabili stereotipizzazioni.
 
Invece Sara Ramírez, che ha interpretato Callie Torres, è lei stessa dichiaratamente bisessuale dall'ottobre 2016. Nel 2020 ha fatto coming out come genderqueer e ha affermato di adottare il pronome femminile e il pronome neutro "they singolare”.


Ricordiamo anche il dott. Levi Schmit, il primo personaggio gay maschile fisso della serie, a cui spetta il principale ruolo di appartenente alla comunità LGBTQ+ dopo i ruoli uscenti di Callie Torres e Arizona Robbins, uscite di scena rispettivamente nella stagione 12 e nella 14.

Il dott. Levi Schmit è interpretato da Jake Borelli, attore che ha dichiarato di essere omosessuale pubblicamente sul suo profilo ufficiale di Instagram nel novembre 2018. E, cosa da non sottovalutare, è che il suo annuncio sui social network è arrivato pochi istanti dopo la messa in onda del sesto episodio della quindicesima stagione di Grey's Anatomy's, quello in cui il suo personaggio fa esattamente lo stesso coming out.

Questa cosa è meravigliosa e, tra le tante soddisfazioni che in diciotto stagioni ha avuto la sceneggiatrice e produttrice Shonda Rhimes (diventata una celeb mondiale proprio grazie a Grey's Anatomy's), probabilmente anche pensare di aver aiutato Jake Borelli nel proprio percorso è una gratificazione enorme.



C'è stato anche il dottor Casey Parker, uno dei sei specializzandi della quattordicesima stagione che è stato il primo dottore transgender del medical drama. Arrivato nello show nel 2018, questo personaggio è interpretato da Alex Blue Davis, attore e musicista transgender che già aveva recitato nelle serie televisive NCIS e Two Broke Girls.

fonte: Camilla Sernagiotto https://tg24.sky.it

Prosa: "FERZANEIDE" Uno spettacolo di e con Ferzan Ozpetek, Teatro Arcimboldi Milano, il 27 novembre 2021

“É nata una stella, si chiama Ferzan Ozpetek”. Per la prima volta a Milano, in esclusiva al TAM!

FERZANEIDE è un viaggio sentimentale attraverso il racconto dei miei ricordi, delle suggestioni e delle figure umane che hanno ispirato molti dei miei film. Vorrei parlare alle persone che hanno incontrato il mio cinema, ai molti che hanno letto le pagine dei miei tre romanzi, agli altri ancora che hanno ascoltato l’opera lirica delle mie dame straziate d’amore, Aida Traviata Butterfly. Poco meno di un anno fa ho trasferito dal cinema al teatro le Mine Vaganti a me sempre care. E proprio su Mine Vaganti il sipario all’improvviso è calato dolorosamente. Finalmente nel prossimo periodo natalizio si rialzerà il sipario su quella bizzarra commedia della quotidianità.

In un periodo di sconcerto e sospensione, come è stato l’anno trascorso, ho pensato spesso ai tanti operatori e protagonisti del panorama teatrale, del palcoscenico in generale ma pure del comparto musicale, che vivono più di altri se possibile la sorte avversa dei tempi, il disagio delle loro famiglie, la condizione critica della precarietà materiale di un lavoro a cui si sono sempre prestati con passione ed entusiasmo. Anche per questo insieme al produttore Marco Balsamo ho deciso di impegnarmi in prima persona per lanciare un segnale di ripresa di un settore che ha bisogno di sostegno e soprattutto di fiducia. Nei prossimi mesi porterò questo spettacolo FERZANEIDE in date sparse qua e là in tutta Italia.

Questa volta sul palco ci sono io, io solo, ad incontrare il pubblico con il racconto della mia carriera artistica e del mio sentimento per la vita, la mia e quella degli altri. Nell’amore, nell’amicizia, nello stupore, in tutti quei gesti e luoghi illuminati dalla passione. Negli anni ho sposato molte cause all’insegna del coraggio. Coraggio. Forse in questa parola è racchiuso il senso di quello che dirò sera dopo sera. Il coraggio di inseguire i propri sogni. Il coraggio di sfidare i pregiudizi. Il coraggio di essere felici. E sperare di tornare ad esserlo di nuovo. A teatro, al cinema, ai concerti, ai musei. Ovunque.

-Ferzan Ozpetek

27 novembre 2021 ore 21

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fonti:  www.teatroarcimboldi.it

Cultura: Tra Muti e Pompei ITsART debutta in tutta Europa. Piattaforma sigla anche accordo con Cinecittà per Archivio Luce

Il meglio dell'arte e della cultura italiana, comodamente in poltrona (ma anche in treno, in ufficio, in coda al supermercato) ora in tutta Europa.

È il nuovo debutto di ITsART, la piattaforma streaming nata a ridosso della pandemia, quando i luoghi della cultura erano forzatamente inaccessibili e promossa dal ministero della cultura, finora disponibile solo in Italia e Regno Unito, ma che da oggi alza il sipario in tutti e 26 i Paesi dell'Unione Europa.

Un vero palcoscenico virtuale, con un catalogo da oltre 1250 eventi e spettacoli, dal vivo e on-demand (divisi tra Palco, Luoghi e Storie, ) che vanno dai monumenti virtuali alle visite ai musei, l'Opera, il pop, danza, teatro e cinema, con cui ITsART (il cui nome deriva dalla crasi di "Italy is art") ora potenzialmente può raggiungere una platea da 500 milioni di abitanti. 

"Siamo il primo servizio streaming pensato per sostenere la fruizione del patrimonio culturale italiano - sottolinea l'ad Guido Casali - Il nostro obbiettivo è diventare una piattaforma globale, avere la platea più vasta possibile di utenti e appassionati". 

Certo, prosegue, "l'esperienza dal vivo è un'altra cosa: nulla può sostituire l'emozione di toccare una pietra del Colosseo o di essere in platea davanti a un attore che recita. Ma lo streaming, oltre a ricordarci la bellezza del nostro patrimonio, può essere un'occasione per rendere disponibili contenuti a chi per motivi diversi, non può muoversi, far scoprire luoghi meno conosciuti e, dopo la visione, attirare nuovo pubblico, soprattutto giovane. 

Ci sono tanti mercati interessati alla cultura italiana, all'Opera, ai film storici", dice, e a partire dal prossimo anno si punta ad altre aree, come Stati Uniti e Cina. Per avere un'idea della trasformazione in atto, illustra ancora Casali, "durante la pandemia il fatturato degli istituti culturali in Italia è calato del 90%, ma l'83% ha impiegato servizi digitali. Non solo, le stime sul mercato degli Ottp prevedono una crescita da 20 miliardi di dollari del 2018 a 75 nel 2026". 

In soli sei mesi la piattaforma vanta già la collaborazione con oltre 100 istituti di cultura italiani dagli Uffizi all'Opera di Roma, La Scala o il Museo Egizio di Torino, e 100 mila utenti registrati (non prevede abbonamento, ma registrazione gratuita) ITsART >> QUI

Ora si arricchisce di una nuova stretta collaborazione con Cinecittà, grazie alla quale i celeberrimi studi cinematografici italiani forniranno un accesso esclusivo all'Archivio Storico Istituto Luce. "Salvaguardare questo tesoro non basta - spiega la presidente Chiara Sbarigia - Bisogna dare maggior valore a questa memoria visiva, condividendola". Entrato nel 2013 nel Registro Memory of the World dell'Unesco, l'archivio del Luce si arricchirà di nuovi documentari originali, mostre e podcast, disponibili in streaming dal 2022. 

Tra le altre perle di It'sArt, anche Paolo Conte Live alla Venaria Reale, Claudio Baglioni in Questa storia che è la mia, Roberto Bolle alla Scala con Madina, i "Meets" con grandi Maestri come Riccardo Muti e "Inedita", il documentario biografico su Susanna Tamaro presentato all'ultima Festa del cinema di Roma. Oltre a nuovi ed esclusivi contributi dal Parco Archeologico del Colosseo e di Pompei. 

"La pandemia è stata un momento molto difficile ma è stato anche eccitante vedere come i musei abbiano continuato a lavorare - commenta Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei - Questo è stato possibile grazie alla riforma del ministero, qualche anno fa non sarebbe stato possibile". "Sin dalla nascita del Parco archeologico del Colosseo - aggiunge la direttrice Alfonsina Russo - abbiamo scelto di condividere tutto con i nostri utenti, on site e on line. L'auspicio è che nuove professioni possano potenziare l'aspetto di contributi digitali, realizzando prodotti che rafforzeranno il legame tra la visita in presenza e lo spettatore on line".

fonte: www.ansa.it  Di Daniela Giammusso RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

domenica 21 novembre 2021

Libri: "L'uomo senza sonno" di Antonio Lanzetta

Un grande thriller

L’assassino si nutre delle tue paure

Secondo dopoguerra. Bruno ha tredici anni e vive in un orfanotrofio vicino a Salerno, sottoposto alle continue angherie degli altri ragazzi.
Solo l’amicizia con Nino, il nuovo arrivato che prende a difenderlo, riesce a rendere tollerabile la sua permanenza nell’istituto.L’estate porta con sé un momento di libertà per tutti i ragazzi: Bruno e Nino saranno scelti per andare a lavorare insieme nella tenuta degli Aloia, una ricca famiglia del circondario. È qui che Bruno conosce Caterina, una strana bambina che vive all’ultimo piano della casa e che lo guida a esplorare i recessi dell’imponente edificio. Il gioco assume però ben presto contorni sinistri: Bruno inizia a essere tormentato da incubi inspiegabili, che al risveglio lo lasciano profondamente spossato.

Il ritrovamento, all’interno della proprietà degli Aloia, di alcuni cadaveri in avanzato stato di decomposizione, getta sulla villa e su chi la abita ombre inquietanti. A chi appartengono quei corpi? E perché tutti sembrano a conoscenza di qualcosa che non deve essere rivelato?
Questo romanzo è la storia di un’amicizia, di ricordi spezzati e di un brutale assassino che si nutre di paure. È la storia di Bruno e dell’estate in cui divenne l’uomo senza sonno.

Un’antica villa dall’atmosfera inquietante.
Due ragazzi che provengono da un orfanotrofio.
Una verità sepolta pronta a riemergere dal passato.

Hanno scritto dei suoi libri:
«Un libro consigliatissimo a tutti gli amanti del thriller e del noir.»
Milano Nera

«La sua scrittura è sempre molto fluida e i colpi di scena ben dosati e mai banali.»
MangiaLibri.com

Antonio Lanzetta
Vive a Salerno. Ha iniziato a scrivere fantasy/young adult, poi ha virato verso il thriller, prima con il racconto breve Nella pioggia, finalista al premio Gran Giallo di Cattolica, e poi con Il buio dentro, romanzo tradotto in Francia, Canada e Belgio. Il buio dentro è stato anche citato dal «Sunday Times» come uno dei cinque migliori thriller non inglesi del 2017.

fonte:  www.ibs.it

sabato 20 novembre 2021

News: Martin Scorsese a lavoro su un docufilm sui Grateful Dead.

Il celebre regista Martin Scorsese dirigerà e produrrà un biopic che racconterà la storia dei grandissimi Grateful Dead.

Sul set, assieme al regista, torna anche Jonah Hill, che dopo la grande performance in “The Wolf of Wall Street” interpreterà il ruolo del chitarrista e frontman dela band, Jerry Garcia.

Al momento sono ancora poche le indiscrezioni sulla pellicola e su quale sarà il periodo della band preso in esame. L’unica certezza è che sarà prodotto da Apple e che la sceneggiatura sarà affidata a Scott Alexanader e Larry Karaszewski.

Da quello che si dice, sembra che i membri rimasti dei Grateful Dead abbiano dato la loro benedizione al progetto, approvando all’unanimità le idee di Martin Scorsese. Oltretutto Bob Weir, Bill Kreutzmann, Phil Lesh e Mickey Hart saranno anche produttori esecutivi del film insieme a Trixie Garcia (la figlia del frontman della band) e Bernie Cahill, il loro manager.

Ad onor del vero non è la prima volta che lo storico regista si occupa dei Grateful Dead: nel 2017 ha lavorato alla produzione esecutiva della docuserie “Long Strange Trip” che ripercorreva la storia della band in sei episodi.

Scorsese da parte sua ha definito il celebre gruppo come “un pianeta popolato da milioni di fan devoti”; dato questo rispetto, quindi, non sorprende che il regista abbia intenzione di continuare quanto fatto con Grateful Dead fino a questo momento.

Grateful Dead, la storia della band

Per chi non lo sapesse i Grateful Dead sono stati uno dei gruppi di punta delle celebre Summer of Love, con il loro rock psichedelico diventato un simbolo di quegli anni di grandi cambiamenti.

La formazione raggiunse il successo sul finire degli anni ’60, arrivando poi in tutto il mondo con capolavori come “America Beauty”. “Live/Dead”, “Workingman’s Dead” e moltissimi altri.

Grateful Dead - Woodstock 1969 video >> QUI

Secondo la rivista Rolling Stone, occupano il 56esimo posto nella lista die 100 più grandi artisti di sempre.

Una delle caratteristiche fondamentali della produzione dei Grateful Dead è stato questo loro grande “trasformismo” sonoro, che li ha portati a sperimentare soluzioni molto diverse tra loro soprattutto durante il ive. Il concerto, infatti, era una componente fondamentale per la band, che spesso si trasformava in un momento dedicato all’improvvisazione e alla creazione di un “flusso sonoro continuo” tra i brani.

Oltretutto questo gruppo ha passato la maggior parte della sua vita in tour, arrivando a registrare decine e decine di concerti in giro per il mondo.

Ai Grateful Dead va anche il merito di aver creato il cosiddetto “Muro del suono” un sofisticato sistema di amplificazione da concerto che permetteva alla band di avere una migliore resa sonora durante il live.

Martin Scorsese, mito del cinema moderno

Martin Scorsese è uno dei più grandi registi della storia del cinema contemporaneo. A lui si devono capolavori come “Taxi Driver”, “Quei bravi ragazzi”, “The Wolf of Wall Street”, “The Irishman” e moltissimi altri.

Oltretutto il regista ha lavorato anche a una serie infinita di documentari, tra cui quelli ormai celebri dedicati ai The Rolling Stones, Bob Dylan e George Harrison.

Un regista leggendario che con il suo occhio critico ha saputo portare sul grande schermo non solo storie leggendarie, ma anche i grandi nomi della musica. Per questo il docufilm sui Grateful Dead non poteva essere in mani migliori. 

fonte: www.songsnews.com   By Mirco Calvano