Le sagre, spesso nate o rinate negli anni ’90, sono feste di partito senza partito. Alle elezioni vincerebbe la Pro Loco.
Enrico Dal Buono è un millennial fatto e finito.
Infatti è nato nel 1982 e ha le stimmate nevrotiche della sua
generazione: ansie, impazienze, mania per le serie tv, ecc. Ma a tutto
ciò aggiunge dei tratti da giovane anziano che ne fanno un curioso e
puntiglioso e implacabile cronista dell’Italia padana. Di quell’Italia
dalla quale è bello scappare almeno quanto ritornare, per immergersi,
certe domeniche d’afa, nella Festa della Salama da sugo, del tortello di zucca, della braciola di castrato, del trattore cingolato e via dicendo tra le sagre di paese.
Giornalista,
professore di scrittura creativa alla Naba e per la Scuola Holden, è
scrittore alfieriano nella disciplina. Uno di quelli che se si inchioda
alla sedia per scrivere qualcosa non lo porterete a bere una birra manco
se vi presentate in compagnia di Charles Bukowski, Bret Easton Ellis e
Irvin Welsh, pronti per una sbronza.
Audace romanziere, con La Vita Nana (Baldini & Castoldi) ha bombardato diversi tabù. Ma è con questo breve saggio in libreria dall'8 marzo, La provincia è Sagra - resistenza culinaria di un mondo in disfatta (Historica, in libreria dall'8 marzo 2018),
che offre una visuale quasi metafisica di quell’Italia dei comuni e
delle fattorie saccheggiata da Farinetti e Slow food, ma dimenticata,
con un po’ di snobismo, dalla smart community contemporanea. Il che però
finisce per essere un bene: Uber, Amazon Prime, Airbnb qui sono
forestieri. Scordateveli ed entrate in una balera sudata in pieno
agosto, sfidate le zanzare-drone sotto le tensostrutture dove si respira
grasso fritto, affinate la tecnica della posata di plastica e
moderatevi nell’arbitrare l’entertainment locale. Se ne siete capaci.
O no, che ne dice professore?
Dico che l'esperienza più
estrema è stata frequentare le sagre con i miei genitori. Mio papà che
pretendeva di fare un critica musicale dei famigerati "duo" delle sagre
(una donna che canta e un uomo che...vive), mia mamma che pretendeva di
ballare il tango sulle note di Ivana Spagna.
La Sagra oggi si fa perché si deve fare o è un sabato del villaggio contemporaneo?
Con
lo spegnersi delle ideologie novecentesche, con l'indebolirsi delle
grandi feste di partito, le sagre sono diventate la principale occasione
di ritrovo delle piccole comunità. Dall’epica all’ortica, il canto del
cigno della provincia è un grande rutto. Le sagre, spesso nate o rinate
negli anni Novanta, sono feste di partito senza partito. Alle elezioni vincerebbe la Pro Loco.
Se atterra un marziano nella Bassa a quale Sagra gli consiglia di non mancare mai, assolutamente?
Sagra
della Vongola Verace di Goro. Hanno il padellone per vongole più grande
del mondo, da fare invidia a un disco volante venusiano. Tiene sei
quintali e settantacinque chili di molluschi. Aggiungono 30 litri di
olio, 25 di vino bianco, 15 limoni, qualche badilata di prezzemolo e di
peperoncino, poi rigirano e raspano le vongole col rastrello.
Che cosa non va oggi nelle sagre?
Vorrà dire chi non
va. Non ci va chi ha voglia di postare e di postarsi su Instagram.
Niente selfie, niente tag. Sono serate disconnesse della maggioranza
rumorosa.
Durante le sagre si cucca ancora?
Eccome. Alla Sagra della Salama da Tai
di Guarda Ferrarese, mentre il solito duo suonava Tozzi, il bullo del
paese, sui sessanta, sradicava dalle sedie coetanee su coetanee e le
faceva volteggiare, poi guardava di sbieco tutt’attorno per valutare
l’effetto prodotto.
Quale potrebbe essere un modo geniale per svecchiare il concetto di sagra?
Secondo me la sagra
non va svecchiata. Sono eventi fighi proprio perché sono le
manifestazioni più sfigate e anacronistiche del mondo. Sta tutta qui la
poesia. Già quelle dove prendevano l'ordine coi tablet mi indisponevano.
Modernizzarle sarebbe come mettere il motore ai pedalò romagnoli.
Di che cosa parla la gente in fila per la salsiccia?
Più che
parlare, c’è chi passa davanti facendo finta di niente. Chi gonfia il
petto con aria minacciosa per inibire i furbetti. Nelle sagre
dove ti servono a tavola, la gente è rilassata. In generale, quando si
sta seduti a tavola, lo stomaco si decontrae, la nostra natura
predatoria si appisola. Nelle sagre da posa eretta, il nostro
organismo si prepara all’attacco. La competizione per il cibo, per il
primo boccone della preda, torna manifesta (ciò vale anche per gli
eventi alla moda delle grandi città, dove il cameriere, col suo vassoio,
viene come smembrato da ogni parte da signore ingioiellate e
fameliche). C’è chi si lamenta, chi contesta l’organizzazione gerarchica
del branco.
Le sagre di paese muovono soldi?
Sono tutti volontari. La
principale preoccupazione economica è quella di sostentare le squadre di
calcio locali. “Più soldi mettiamo da parte, più aiutiamo la nostra
squadra, l’Eridania, che è scesa dalla I alla III categoria" mi ha detto
l'organizzatore della Sagra dello Storione di Ficarolo.
"L’iscrizione al campionato costa comunque tre mila euro. Ogni volta che
tracci le righe sono venti euro. Venticinque palloni che finiscono nel
Po ogni due o tre rinvii. E vuoi non dare un rimborso mensile da ottanta
euro ai ragazzi?”.
Qual è la caratteristica comune a tutte le sagre?
L'orgoglio
per il piatto tipico del rispettivo paese. L'Italia è fatta così. Per
mantenere un senso di comunità ci si stringe attorno alla minestra. Gli
ingredienti cambiano di chilometro in chilometro. Lo statuto del partito
è diventato una ricetta. Del tortellino, dello gnocco fritto, della
rana con polenta. Resta il bisogno di sentirsi parte di qualcosa. Se non
tutti votano, però tutti mangiano. Il populismo è sempre
gastropopulismo. Al di là dell’ideologia, c’è lo stomaco. Noi siamo
quelli che nella pasta ripiena mettono il prosciutto, voi ci mettete la
goletta. L’Italia che lavora di ganasce.
Tra 50 anni esisteranno ancora le sagre?
Sì, ma forse saranno sagre del cous cous e del burrito.
fonte: Davide Burchiellaro per http://www.marieclaire.it -courtesy Historica
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mercoledì 14 marzo 2018
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