Abbracciando un periodo di circa quarant’anni e i suoi profondi
cambiamenti socio-politici, Porpora traccia la propria genealogia trans
aggiungendo tasselli essenziali alla ricostruzione storica di una
cultura spesso relegata al margine. E lo fa da protagonista del percorso
collettivo, ancora privo di una lettura condivisa, di chi si è posto
consapevolmente nello spazio di confine tra i generi.
Con una scrittura “visiva” in grado di rendere in immagini ciò che ha
visto e vissuto, Porpora ci accompagna in un mondo popolato di
leggendarie trans che hanno dato vita, forma, scena e sceneggiatura a
un’esperienza per molti versi più vicina alla dimensione spettacolare o
performativa che a quella della vita reale, da cui erano del resto
assolutamente escluse.
Vivere quella vita presupponeva avere muscoli, calli, scorza dura.
L’assenza di riconoscimento e di diritti non poteva che favorire
l’illegalità, e la prostituzione – fenomeno per molti aspetti con
caratteristiche differenti da quelle odierne – diveniva l’asse portante
dell’esistenza. Ma proprio questo percorso ha prodotto la capacità di
parlare di sé in un tempo in cui esisteva solo lo sprezzante appellativo
di “travestito” e nel vocabolario non c’erano ancora parole come
transgender o gender variant. Gli aneddoti, i miti, le storie
“scandalose” che Porpora racconta con il suo stile ironico e “favoloso”,
si intrecciano con le riflessioni sulla presa di coscienza collettiva,
sulla nascita del Mit (Movimento identità trans) e sulla conquista del
riconoscimento giuridico con la legge 164 del 1982.
Porpora recupera l’epica trans delle origini per rivendicare il percorso
straordinario di persone perseguitate, violentate, ferite nella loro
dignità umana, che hanno avuto la forza di incrinare la narrazione
dominante che fa della transessualità una dimensione patologica,
raccontando un’esperienza di vita unica. Che rifugge anche i tentativi
di normalizzazione dell’epoca postmoderna.
Se ti battezzano come disforica è chiaro che disforicamente ti
costruisci, se ti definiscono patologica è chiaro che come malata ti
muovi, se ti considerano criminale, depravata, degenerata non potevamo
essere sante, tantomeno diventarlo, benché oggi tra molte consorelle
l’aspirazione più diffusa sembra sia diventata quella di essere o
sentirsi normali. «Io sono una persona normale», si precisa, ripetendolo
affannosamente a un mondo la cui unica monolitica normalità resta
esclusivamente la propria, ma sembra che tutto questo non sia chiaro.
Proporrei di farcene una ragione, per vivere più tranquillamente senza
affanni da perfezione. Essere non normali lo trovo più agibile, pratico,
coerente se di coerenza si può parlare. Eviterei anche la parola
diversi, perché essa presuppone l’altro da sé, quello non diverso,
quindi uguale, quindi normale. Sarebbe come svilire, privare di senso le
tantissime meravigliose creature che negli anni ho incontrato,
svuotandole della loro splendente dignità. Dall'8 febbraio 2018 in libreria.
Autrice: Porpora Marcasciano, presidente onorario Mit (Movimento identità trans), ha pubblicato per Alegre AntoloGaia. Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta (2015). È autrice anche di Tra le rose e le viole – La storia e le storie di transessuali e travestiti (Manifestolibri, 2002) e di Favolose narranti. Storie di transessuali (Manifestolibri, 2008), e a curato insieme ad altri Elementi di critica trans (Manifestolibri, 2010).
fonte: http://ilmegafonoquotidiano.it
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