domenica 18 aprile 2010

Lgbt, Nichi Vendola: "Più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito"


In tempi di riflessione sul cattolicesimo, sul rapporto tra chiesa e fede, sull’essere cristiani e cattolici non rinnegando la propria condizione omosessuale, una delle voci più autorevoli del Movimento lgbtq, un poeta dei ragionamenti, parla del suo rapporto con i sacerdoti e il cattolicesimo, in forme quasi nuove di ecumenismo. In una intervista pubblicata dal “Corriere della Sera”, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, eletto per la seconda volta, nonostante gli strali di una certa sinistra, si lascia andare a riflessioni che riguardano la sua omosessualità e il rapporto con preti illuminati come il cardinal Carlo Maria Martini che, da arcivescovo di Milano, difese gli omosessuali; come il suo vescovo, Tonino Bello, ma anche figure femminili con cui ha cercato di relazionare il suo essere omosessuale con la fede. Un giovane omosessuale di altri tempi, Nichi; un politico dalle sensazioni forti, irrinunciabili, che riesce a dar valore, raccontando se stesso, alla vita degli altri.

Pietre di paragone uomini di altri tempi e riflessioni: Sergio Quinzio, Pier Paolo Pasolini, Fassbinder e Giovanni Testori; ovvero la cultura fatta passione e raccontata audacemente con la carnalità e la spiritualità. Soggetti fatti propri da Nichi che, però avverte di rifiutare la loro visione del senso di colpa. Lo ebbe Pasolini che quella omosessualità la incarnò nella madre verso il Golgota; e lo ebbe Testori nelle sue tante preghiere-teatro che cercano un pudore, quasi un perdono. Per non parlare di Fassbinder che trascinava tutto nell’autodistruzione dei sensi.

“Sono sempre stato cattolico e omosessuale, non l’ho mai nascosto - dice Nichi -. E dichiararsi non è pettegolezzo. È carne, fatica, sangue, dolore, emarginazione, offese, violenza. Sono sempre stato anche cattolico e comunista, come la mia famiglia. Ed è stato forse più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito. Ho parlato della mia omosessualità con molti preti, con uomini e anche con donne di Chiesa — racconta Vendola —. Non mi sono mai sentito rifiutato. Sono state anzi interlocuzioni belle, profonde. La Chiesa è un universo ricchissimo e complicato, non riducibile a nessuna delle categorie politiche che usa la cronaca. Nella Chiesa ci sono molte sensibilità, molte cose; e qualcuna crea dolore e tristezza, quando evoca stereotipi pseudomorali che non hanno solo l’effetto di indicare identità ideologiche, ma anche di ferire la vita delle persone”.

La dice lunga sull’epicità storica tra omosessualità e partiti; sui lontani rifiuti che toccarono a Pasolini, cacciato negli anni ‘50 dal Pci per “indegnità morale”, finito ad essere quello che oggi non si potrebbe azzardare: il peccato e l’espiazione del peccato (”Lui si percepisce come il Cristo della diversità: una condizione vocata al martirio, a causa del senso di colpa“).

Loro, i grandi della cultura, per caso omosessuali, forse non a caso cattolici credenti di una chiesa diversa da quella di recenti commistioni, hanno secondo Vendola: “Il grande merito di tirare la condizione di omosessuale fuori dall’oscurità“; anche se nello specifico Pasolini: “l’ha illuminata con le fiamme dell’inferno“.

Non credo sia blasfemia, trattandosi sempre di un politico, affermare che oggi, Nichi Vendola, rappresenta la speranza di una sinistra persa dentro se stessa e fuori, nel rapporto con la gente. Potrebbe persino far le scarpe al Pdl e a Berlusconi, se in quel Pd la smettessero di scannarsi come Bruti. Se una nuova sinistra si facesse portatrice e incanto di rivendicazioni sociali, culturali, di vita e desideri delle persone. L’omosessualità di Nichi non gli ha impedito di essere il politico che sappiamo e non può continuare ad essere un ostacolo perché omosessuale. A tal proposito, Nichi racconta di quella volta che:

“Un dirigente nazionale di An venne a fare campagna elettorale nel ‘94 e tentò di stroncarmi accusandomi di andare con i ragazzini, peraltro pagati per dirlo. Andò via con le pive nel sacco, mentre io ricevevo migliaia di lettere di ragazzi che mi dicevano grazie per avergli dato coraggio”.

Più recentemente, un politico della levatura di Massimo D’Alema, cercò di frenare la sua rielezione mettendogli contro un altro avversario. Primarie e voto ristabilirono quel che una certa sinistra non voleva, chissà mai perché!

Parlando di un tema caro a molti come l’omogenitorialità, Vendola percepisce e comunica un rifiuto che appare insensato, incomprensibile, per molti un’affabulazione:

“Mi sento di ribadire i l mio desiderio di genitorialità. Sento molto la tutela della vita, la difesa del vivente. Sono contro la mercificazione e la privatizzazione della vita. Il tema fondativo del futuro è la costruzione della vita nelle forme di comunità. Il sangue non c’entra: per me la paternità non è un dato fisiologico, limitato al proprio seme. Allevare un figlio significa accudirlo, conoscerlo, ascoltarlo; amarlo. Dev’essere una cosa bellissima. Per questo, ogni volta che leggo di un neonato abbandonato, provo una stretta al cuore”.

Vallo a raccontare a certi altri politici che raccontano di famiglie desuete, persino violente, di fronte ad un desiderio così cristallino.
fonte queerblog

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