Un’attivista e modella transgender spiega a TPI il cammino ancora lungo della parità in Pakistan, nonostante i nuovi passi avanti dal punto di vista legislativo e social.
Photo: EPA/DIVYAKANT SOLANKI / ANSA
La prima madrasa, una scuola coranica, per sole persone transgender segna un’ulteriore passo avanti per la comunità LGBTQ+ in Pakistan,
dove però la condizione delle persone in transizione non sembra essere
migliorata concretamente nonostante alcune novità dal punto di vista
legislativo, come spiega a TPI una modella e attivista locale transessuale.
Aperto a ottobre a Islamabad, l’istituto conta ancora due sole
aule ma si propone di aiutare tutti gli iscritti non soltanto negli
studi religiosi ma anche a imparare lavori come il cucito e il ricamo,
in primis per raccogliere fondi.
Inaugurata dalla 34enne Rani Khan, che vi ha investito i risparmi di una vita, la madrasa intende offrire alle persone transgender un rifugio dall’ostracismo che ancora sono costrette a vivere nel Paese dell’Asia meridionale. Nonostante in Pakistan non vi siano ufficialmente preclusioni alla frequentazione delle moschee e delle scuole coraniche da parte di persone transessuali, la loro presenza non facilmente accettata.
Dopo aver riscoperto la religione a seguito della scomparsa di un amico, Khan ha deciso di aprire una scuola per “insegnare il Corano e migliorare la vita qui e nell’aldilà”. L’istituto non riceve alcun aiuto dalle autorità ma gode di alcune donazioni private. Tuttavia, la fondatrice insegna anche alle iscritte a cucire e ricamare, nella speranza di raccogliere fondi vendendo capi d’abbigliamento.
L’iniziativa della 34enne pakistana segue l’apertura di una chiesa cristiana nel 2020 da parte di un’associazione transgender nella città di Karachi e il progetto “The Gender Guardian”, un istituto privato di Lahore
che da tre anni si propone di “assicurare pari opportunità alle persone
transgender attraverso l’offerta di corsi gratuiti di formazione
professionale e di istruzione”.
Sebbene nel 2018 il parlamento pakistano abbia riconosciuto il “terzo genere” sessuale, conferendo alle persone in transizione la tutela legale dei propri diritti fondamentali assicurando loro il diritto di voto e di dichiarare il proprio genere sui documenti, i transessuali restano ancora ai margini della società del Paese asiatico.
La stessa legge approvata tre anni fa ha raccolto diverse critiche anche da parte di alcuni esponenti della comunità LGBTQ+ in Pakistan, come la giornalista Marvia Malik, presidente della Khwaja Sira Society nonché prima giornalista transgender pakistana a condurre un telegiornale, secondo cui le transessuali dovrebbero avere “pari diritti ed essere considerate non un terzo genere ma cittadini comuni”.
L’impressione è che i diritti acquisiti e la tutela legale siano assicurati soltanto sulla carta. “Lavoro per la mia comunità dal 2011 e, sebbene la consapevolezza sulla condizione delle persone transessuali sia aumentata, la situazione generale non è cambiata molto negli ultimi dieci anni”, spiega a TPI l’attivista Kami Sid, prima transessuale pakistana a salire alla ribalta come modella. “Come ho sperimentato sulla mia pelle, dobbiamo ancora affrontare il pregiudizio religioso e sociale, nonostante la presenza di tante figure pubbliche progressiste su questo tema, le persone trans devono tuttora lottare per i propri diritti, come d’altra parte accade anche in Europa e negli Stati Uniti”.
Nata in una famiglia della classe media di Karachi, durante l’adolescenza Sid ha dovuto affrontare la morte del padre. Riuscendo a superare le difficoltà e i pregiudizi grazie all’aiuto della madre, dopo essersi laureata in Economia, nel 2012 l’attivista pakistana ha cominciato il proprio lavoro da modella, permettendole di recarsi anche all’estero.
“A fronte dei tanti diritti garantiti alle persone omosessuali in Occidente, anche nei Paesi europei e in America le persone trans devono ancora affrontare molti pregiudizi, così come in Pakistan, anche se qualcosa sta cambiando in Asia meridionale, e non proprio in meglio”, sottolinea la modella. “In Pakistan e India esiste un’antica cultura legata alla transessualità degli Hijra e dei Khwaaja Sira, figure familiari alle popolazioni locali, anche grazie ai media, comunità una volta rispettate”.
“Nonostante le nuove norme il rischio è che i diritti attualmente garantiti lo siano solo sulla carta, restando senza una vera applicazione”, prosegue Sid. “Una recente petizione lanciata a Islamabad da parte di alcuni gruppi religiosi conservatori chiede ad esempio di cambiare la legge del 2018 mentre le stesse persone transessuali, in particolare tra le fasce più povere e nelle aree rurali, non sembrano avere ancora piena consapevolezza dei propri diritti”.
Secondo l’ultimo censimento tenuto nel 2017, sono oltre 10 mila le persone transgender registrate in Pakistan secondo l’appartenenza al cosiddetto “terzo genere” su una popolazione di oltre 220 milioni di abitanti, un numero che secondo le associazioni locali per i diritti della comunità LGBTQ+ è sottostimato nell’ordine di alcune centinaia di migliaia.
fonte: www.tpi.it
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