mercoledì 17 novembre 2010

Lgbt Convegni: La minoranza delle minoranze: disabilità, omosessualità e omofobia


Centro Studio di Psicologia “Paul Goodman” Dott. Fabio Meloni

Di seguito, il testo dell’intervento al Convegno “Omofobia. Atteggiamenti, pregiudizi e strategie di intervento“. Napoli, Teatro di San Carlo, 18 Ottobre 2010.

La minoranza delle minoranze: omofobia e disabilità nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale

Fabio Meloni1,2, Maria Laura Mele1,2 Stefano Federici1,3,

1CIRID, Centro Interdisciplinare per la Ricerca Integrata sulla Disabilità, Sapienza Università di Roma,

2Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma

3Dipartimento di Scienze Umane e dell’Educazione, Università di Perugia

Il nostro lavoro “LA MINORANZA DELLE MINORANZE: omofobia e disabilità nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale” illustra l’incarnazione di un ossimoro ovvero una sfida esistenziale: quella dei disabili LGBTQI.

I disabili LGBTQI rappresentano una minaccia al mito culturale della “asessualità del disabile” e sfidano due dei valori fondanti della cultura non solo occidentale: quello della compulsory able bodiedness e quello della compulsory heterosexuality.

La prima indica l’ossessione compulsiva al corpo perfettamente funzionante, perfettamente abile, ed è fondata su una presunzione: se la disabilità non è visibile, allora la persona non è disabile. La seconda, analogamente, afferma che tutte le persone sono, in modo innato, eterosessuali.

Entrambi questi valori, due facce di una stessa medaglia, sono il terreno di coltura, l’humus, su cui prosperano sia l’omofobia sia i pregiudizi contro la disabilità.

Sono due facce di una stessa medaglia, dunque, ma solo dividendole, scindendole, è possibile che accada quanto nella realtà accade: gli omosessuali, per raggiungere l’emancipazione sociale, esaltano l’able bodiedness, sino all’estremo che Tom Shakespeare definisce come “body fascism”, mentre la comunità dei disabili, per conquistare l’accettazione, riproduce al suo interno eterosessismo e omofobia.

Nel mezzo, l’ossimoro, la doppia contradictio in adiecto: il disabile LGBTQI. Il disabile omosessuale non solo è vittima di pregiudizi incrociati da parte delle due comunità ma è perfino, esso stesso, “entità” logicamente impossibile: se si assume che le persone disabili siano asessuate, allora non si può concepire l’esistenza di omosessuali disabili.

Cioè, come dire, se le persone disabili sono considerate come esseri asessuati, e se le identità LGBTQI sono identità sessuate, allora le identità LGTBQI disabili sono concettualmente impossibili (non esistono).

Solo oscurando la profonda embricazione dei due miti o valori che ho esposto sopra è possibile – come avviene, che le due comunità confliggano e che i disabili LGBTQI rimangano confinati in un limbo che Federici definirebbe con Shakespeare del “desiderio inespresso”. In-espresso perché culturalmente in-concepibile e, dunque, desiderio malato, deviante e perverso.

Ma è una perversione che è anche funzionale alla cultura che ufficialmente la rigetta: Nora Groce sottolinea come, specialmente in Asia e in Africa, sia diffusa la credenza che la presunta asessualità e, dunque, verginità, dei disabili consenta di “ripulirsi” dal virus dell’HIV/AIDS se si hanno dei rapporti sessuali con loro.

E questo spiega l’alto numero di abusi e violenze sessuali nei loro confronti. Sempre la Groce riporta che, di solito, i disabili che hanno rapporti sessuali con non disabili nei bagni pubblici non si definiscano omosessuali ma spieghino le loro attività con la solitudine e con l’ansia di piacere a nuovi “amici”.

Non diversamente, insomma – e questo è interessante – da come diversi operatori socio sanitari da me intervistati proprio qui a Napoli qualche mese fa spiegano i rapporti omosessuali tra alcuni loro assistiti.

Per concludere, quali prospettive di sviluppo future?

Sul piano operativo, seguendo gli studi che indicano nel disabile LGBTQI ricoverato nei centri o nelle residenze la persona più sofferente, sarebbe opportuno investire con urgenza in iniziative formative rivolte prevalentemente agli operatori e ai caregivers impiegati in tali centri.

Sul piano teorico, sarebbe invece interessante risalire alle cause dell’eterosessismo e dell’integrità corporea compulsive. La loro diffusione universale potrebbe suggerire qualcosa sul significato evolutivo di questi miti e ciò potrebbe indicare strategie culturalmente efficaci per un loro effettivo superamento.

Ed infine, riprendendo le parole di Stefano Federici, esprimiamo la nostra speranza di studiosi, donne e uomini, che le comunità dei disabili e dei LGBTQI sappiano lottare per “riconoscere bella la diversità altrui, che non ne abusino mai per liberarsi dalle proprie paure, e che non lottino per una qualche uguaglianza, ma per il diritto alla propria, irrepetibile diversità, dei corpi, della sessualità e della mente”.
fonte gaylib.it

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