Giocare in casa è sempre un vantaggio.
Un romanista sfegatato come Carlo Verdone lo sa di certo tifando una squadra che grazie alla forza del pubblico sugli spalti è in grado di polverizzare qualsiasi avversario.
Chissà se ha pensato anche a questo mentre si accingeva a raccontare la storia della sua famiglia ne La casa sopra i portici facendo rivivere stanze, persone, rumori, odori. Una rievocazione casalinga che, gioco forza, doveva assolutamente far leva sull’unicità dell’aneddoto da raccontare.
A fare la ola per Verdone ci sono Pasolini, Zavattini, Rossellini, Zeffirelli e molti altri, tutti alla corte di Mario Verdone, reggia alto borghese sempre in festa anche se non eternamente felice.
In bilico tra la saga familiare e il diario tardo adolescenziale, però, il regista non spicca il volo. Tra il profumo della cera per pianoforte si muovono gli uomini che hanno fatto la nostra cultura, la nostra storia, con tutte le loro manie, immortalati nei modi di fare che pochi conoscono, nelle abitudini che aprono uno spiraglio sull’intimità di un uomo. Un invito a nozze in un’epoca vouyeristica come la nostra.
Il buco della serratura offerto con tanta naturalezza, con l’immediatezza popolare e un po’ populista che Verdone ha anche nei suoi film, non poteva che generare un libro per molti.
Eppure questo non basta a spiegare lo stile elementare, piuttosto piatto, di queste rimembranze dal tono più commosso che commovente, quasi il flusso di coscienza di Carlo l’uomo desiderasse la carta più per suo proprio piacere che non per un’esigenza narrativa tale da prevedere un lettore. Il risultato sono fotografie su carta, cronache di un tempo e di un mondo che non c’è più, di una casa non più abitata e di affetti destinati a durare per sempre.
Un giro turistico unico, è vero, ma anche un’occasione sprecata perché a partire da un materiale come quello in questione si poteva puntare più in alto: si poteva creare un’emozione che coinvolgesse, struggesse, divertisse e desse nuova vita a pareti ingiallite e volti svaniti invece di limitarsi ad immortalarli.
La colpa, se di colpa si può parlare, è dello stile incerto, della penna che stenta a trovare un modus narrandi spontaneo come in quell’avvincente presentazione fatta in TV da Fabio Fazio. Così il lessico non prende mai una posizione, indeciso se scivolare nel romanesco pulito tipico della classe sociale a cui Verdone appartiene o se salpare le ancore per lidi più lontani dal dialetto. Fortunatamente, comunque, Verdone gioca in casa. E che casa.
fonte http://www.fourzine.it/ di Valeria Roscioni
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