sabato 17 marzo 2012

Lgbt: Lucio Dalla, Marco Alemanno e l’obbligo della privacy (solo per i gay) Intervista a Paola Concia

Lacrime calde e vere, quelle di Marco Alemanno al funerale di Dalla.

Lacrime che hanno commosso l’opinione pubblica scatenando un vivace dibattito sui limiti del diritto di cronaca: se debba venire prima, quando una notizia riguarda la sfera intima di un personaggio pubblico, il diritto di informare oppure la tutela della sua riservatezza.

La parola o il silenzio. Gli italiani, come sempre, si sono divisi in due partiti: da un lato quelli che sostengono che violare il «segreto» che Dalla aveva scelto di custodire per una vita, nel giorno del suo funerale, sarebbe stato uno sfregio gratuito, per di più post-mortem.

Dall’altro coloro che hanno sottolineato quanto sia stato ipocrita «non dirlo» e far finta di nulla, quando in realtà tutti sapevano, tutti ne parlano.

Non solo a Bologna. È davvero meno velenosa per la memoria Dalla la mezza verità, vagamante accennata, della verità conclamata di cui è possibile discutere liberamente? Marco era il compagno di Lucio: e allora? Perché tacere della sua omosessualità?

Di questo si parlerà a Roma, lunedì 19 Marzo alle 15.30, in un incontro intitolato Per gli omosessuali la privacy è un diritto o un obbligo? che hanno organizzato presso presso l’Hotel Nazionale a Piazza Montecitorio due storiche voci del movimento gay: Paola Concia, deputata Pd, e Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia.

Onorevole Concia, perché questa iniziativa?

Questo incontro, cui parteciperanno giornalisti di diversa estrazione come Ferrara, Sallusti, Armeni e Beringuer, pone una serie di domande di cui vorremmo discutere con voi giornalisti.
Domande, non risposte. Siamo sicuri che il silenzio che è calato sugli amori di Lucio Dalla sia ascrivibile al diritto alla privacy?
Non è piuttosto, come io penso, lo specchio di un problema, di una società che fatica a parlare di sé a viso aperto? Di confrontarsi in modo aperto sul tema dell’omosessualità?

Sa già la risposta: perché questa era la volontà di Dalla.

E allora le chiedo: se, anziché chiamarsi Marco, la sua fidanzata si fosse chiamata Maria, i giornali si sarebbero forse astenuti dal fare paginate sulla loro storia d’amore, magari clandestina? Vede, noi in questi anni abbiamo saputo persino quanto ce l’aveva lungo il povero Berlusconi o di quanti centimetri fosse il frigorifero della casa di Montecarlo di Fini. Ora, con la morte di Dalla, tutti che invocano la privacy.
È bizzarro: perché la privacy vale solo per gli omosessuali?
Non c’è in questo silenzio la spia di qualcosa che non va?

Che cosa non va secondo lei?

Le farò un esempio: oggi apro Repubblica e a pagina due, per commentare la sentenza della Corte di Cassazione che riconosce alcuni diritti alle coppie omosex, campeggia in bella vista la foto di un gay pride con un ragazzo con una gonna!
Mi sono cascate le braccia, capisce quanto è pigra questa rappresentazione?
È mai possibile che la stampa si ostini a fare questa rappresentazione riduttiva del nostro mondo, come se tutti noi per fare l’amore ci arrampicassimo sui lampadari?
Sia chiaro: io difendo il gay pride, ma per gli altri 364 giorni in cui non sfilo, sono una noiosissima signora sposata in Germania con la mia compagna!
Perché non partiamo da qui, da quello che siamo tutti i giorni?

Le potrei obiettare che questa rappresentazione che lamenta è figlia anche delle storiche provocazioni del movimento gay quando dovevate uscire dalla clandestinità. Non è che, oggi, dovete fare un po’ di autocritica?

Forse sì. Noi lo diciamo in questa lettera sulla nostra iniziativa.
Ci sono state anche ingenuità che hanno contribuito a creare questa rappresentazione distorta.
Ma è l’ora di guardare oltre.
Anche perché l’omosessualità fa ancora scandalo in Italia: perché se io vado nella mano mano con la mia compagna la gente, anche di sinistra, mi viene a dire che sono un esibizionista.
Mentre se lei va in giro mano nella mano con sua moglie, nessuno le viene a dire che siete due esibizionisti e che avete bisogno di manifestare la vostra eterosessualità.

Alcuni dicono: in pochi anni siete passati dall’orgoglio della diversità all’ambizione della normalità. Dal libero amore di Ferlinghetti alla voglia di matrimonio piccolo-borghese. È questa la rivoluzione?

Guardi, è faticoso essere diversi per una vita. In Germania, dove mi sono sposata con la mia compagna, mi sento una cittadina come tutti gli altri. In Italia, no, anche se i giovani delle grandi città stanno cambiando le cose. La vera rivoluzione in Italia è conquistare la normalità.

A proposito: che cosa cambia per le coppie gay ora che una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che è ormai superata «la differenza di sesso come presupposto naturalistico del matrimonio»?

La definirei una sentenza storica. Il tutto parte dal caso di una coppia sposata all’estero come nel mio caso. Io ho fatto una richiesta di registrazione del matrimonio al comune di Roma. Ovviamente me l’hanno respinto. Ora faremo ricorso a un giudice italiano, come decine di altre coppie gay. Il giudice ora può riconoscerti i tuoi diritti.

È un grande passo in avanti. Non basta. Ci vuole una legislazione sulle unioni civili.
Continuerò la mia battaglia, la più avanzata possibile, sapendo che non sarà facile. Nemmeno per il centrosinistra, la mia coalizione.
fonte http://blog.panorama.it di paolo.papi

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