Si è spenta a 87 anni Vittoria Ottolenghi, critica, gran divulgatrice di una danza per tutti.
Era passione pura per Nureyev (con lei nella foto), la Terabust, i Momix...
Si è spenta questa mattina, a 87 anni, Vittoria Ottolenghi, la signora della danza, o meglio della critica di danza in Italia, nel silenzioso ritiro romano dove strenuamente resisteva all’estremo confine.
“So di dover morire - raccontava a chi la andava a trovare – ma non sono pronta”.
E come poteva esserlo, del resto, un concentrato di vitalità ed energia ed entusiasmo quale Vittoria è sempre stata? Sempre in movimento su e giù per l’Italia e per i teatri, inseguendo il nuovo, il bello, l’eccitante nell’arte del movimento per eccellenza, la danza.
Vi si era imbattuta quasi per caso, chiamata da Silvio D’Amico a lavorare per l’Enciclopedia dello spettacolo, un’opera monumentale che la assorbì per dieci anni e la convertì per sempre al mondo di Tersicore.
Procedendo , allo stesso modo, nel suo incedere nell’arte della critica per continui colpi di fulmine.
Dietro al suo aspetto, mantenuto identico nel tempo, da zia bonaria – un filo di perle al collo, i capelli lisci composti da un eterno cerchietto, c’era un vulcano in ebollizione, pronto ad accendersi con un lampo d’azzurro pungente, a tratti malizioso, negli occhi quando gli accadeva di scorgere qualcosa di interessante sul palcoscenico.
Allora era amore, anzi passione pura. Come per Rudolf Nureyev, il tartaro divino che splendeva a teatro e si ricacciava nelle tenebre nel privato, di cui è stata grandissima amica e confidente. O per la nostra Elisabetta Terabust. O ancora per le abbaglianti magie e i giochi ottici di un prestigiatore di danze come Moses Pendleton e i suoi Momix.
Sostenitrice convinta di un’arte democratica, ovvero di una danza che fosse accessibile a tutti, è stata un’eccellente divulgatrice, improntando la sua identità in quelle Maratone televisive – memorabili spazi di intrattenimento intelligente e colto - dove ha fatto conoscere tutti i grandi protagonisti della danza a generazioni intere.
Ma anche portando la danza nelle piazze più belle d’Italia con eventi pensati appositamente e ripresi da Raiuno con la collaborazione di Vittoria Cappelli , in un percorso parallelo che già Béjart aveva intuito e messo a punto: far uscire i danzatori dal chiuso dei teatri e portarli fra la gente.
Tante e fitte le sue collaborazioni sulla carta stampata, da quelle degli esordi per Paese Sera al Mattino, al Resto del Carlino all’Espresso, dove ha scritto fino all’ultimo.
Mantenendo quel suo sguardo curioso, attirato dal nuovo, incurante delle categorie, cosa che le ha permesso – tra l’altro – di intuire senza pregiudizi per una formatasi alla corte del classico, la forza trainante dell’hip hop.
Numerose le sue presenze a sostegno e anima delle cose di danza (le maratone a Spoleto, le rassegne, le conferenze-spettacolo, i saggi, le lezioni, i libri…). Incedeva con passo sicuro, come quando da ragazza era sfuggita per un pelo alle retate degli ebrei a Roma perché era apparsa tanto “ariana”, così bionda, altera e con gli occhi azzurrissimi.
Solo una cosa la faceva retrocedere: gli spazi chiusi e angusti. Soffriva di claustrofobia, una paura assoluta e un po’ bizzarra come quella degli elefanti per i topolini. Anche questo, però, faceva parte della sua natura aperta, sconfinata, fatta per i grandi respiri e gli orizzonti larghi.
Ciao Vittoria, siamo sicuri che la terra non ti sarà di alcun impaccio dato che sei vissuta di levità e di grazia.
Noi di NEWS DAL MOND..Le rendiamo omaggio con un suo ritratto in tre parti andato in onda su RAI STORIA dal titolo "Perchè amo la danza"
fonte www.unita.it/culture Di Rossella Battisti
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