mercoledì 28 novembre 2012

Lgbt: Identità sessuale, quando la terminologia conta

Visto che le teorie scientifiche della sessualità sono dominate dal modello dualistico maschio/femmina, eterosessuale/omosessuale, il movimento gay e lesbico ha avviato da tempo un processo di ridefinizione di queste nozioni alquanto restrittive, mettendo in discussione l'idea che vi sia una categoria universale di omosessualità trasversale a tutti i tempi e a tutte le società.

Le etichette non descrivono adeguatamente l'identità, le preferenze e l'orientamento sessuale di una persona!

Gay... La parola gay, nasce già dall'antico provenzale "gai": "allegro", "gaio", "che dà gioia". Nella sua variante inglese, questa parola acquisì nel Settecento il senso di "dissoluto", "anticonformista".

Comunque il grande salto nell'uso del termine avvenne solo nel 1969, con la nascita negli USA del nuovo movimento di liberazione omosessuale. I nuovi militanti rifiutarono i termini usati fino a quel momento (come omosessuale e, soprattutto, omofilo) e non volendo più essere definiti con le parole usate dagli eterosessuali, spesso ingiuriose, scelsero di auto-definirsi usando un termine del loro stesso gergo, cioè appunto gay.

Era nato il Gay Liberation Front (GLF).
Al giorno d’oggi il termine gay viene usato, soprattutto nei paesi di lingua inglese per indicare sia gli uomini che le donne. In Italia invece, come nei paesi di lingua spagnola, con gay si indica soprattutto l’uomo, mentre le donne sono indicate con il termine lesbica.

Dal canto loro, sempre negli anni Settanta, le donne omosessuali politicamente impegnate si trovarono a dover promuovere una distinzione tra omosessualità e lesbismo. Parlare di omosessualità significava considerare solamente l’ambito strettamente sessuale.

Questo veniva ritenuto riduttivo o quanto meno insufficiente dalle donne lesbiche che criticavano la società “patriarcale”, una società che nega la possibilità di una sessualità altra rispetto a quella etero-riproduttiva univocamente destinata al piacere/potere dell'uomo.

Lesbica... La parola deriva da Lesbo, l'isola che, tra il VII e il VI secolo a.C. diede i natali a Saffo, la poetessa greca che celebrò il suo amore per le donne; proprio da qui infatti, hanno avuto origine i termini lesbico e saffico. Un'origine molto lontana....

Tuttavia, nonostante la scarsità di documentazione disponibile, le prime tracce di unioni tra donne si possono far risalire addirittura al Codice di Hammurabi (1792 a.C. circa), che cita la figura della salzikrum, la donna-uomo, che poteva contrarre matrimonio con altre donne.

Ad ogni modo, si deve a Charlotte Wolff, una psichiatra di origine tedesca, che nel 1971 ha pubblicato Amore tra donne (il primo studio del lesbismo che si occupi di donne non portatrici di patologie psichiatriche particolari), lo sdoganamento del termine lesbismo per definire quelle donne che preferiscono a livello emozionale, amoroso, affettivo e sessuale le relazioni con altre donne.
Quindi, probabilmente al di là della terminologia preferita, ci sembra che la cosa più importante sia essere e poter esprimere se stessi.

Lo sapevi che...
Cina. Nel XIX secolo le giovani operaie che vivevano e lavoravano insieme nelle fabbriche di seta del delta del Fiume della Perla, a Canton, formavano tra di loro unioni di natura sia erotica che economica che potevano protrarsi per anni, e di solito non si sposavano. Si tratta di un caso particolarmente interessante in quanto nella Cina della dinastia Ch'ing l'omosessualità era proibita, e il lesbismo particolarmente aborrito come violazione della gerarchia patriarcale della società.

Negli Stati Uniti, per esempio, la dimensione demografica del comune di residenza influenza la probabilità di dichiarasi gay o lesbica, di avere o avere avuto rapporti con partners dello stesso sesso, e anche la probabilità di averli desiderati.
Anche in Italia la frequenza con cui le persone dichiarano a se stesse e agli altri di essere gay o lesbiche, oltre ad essere più alta nelle regioni centro-settentrionali che in quelle meridionali, varia, come abbiamo già accennato, al variare del comune di nascita (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 88 ss. e 189 ss.).

Queste differenze dipendono dal fatto che i grandi centri urbani esercitano un'attrazione per l'anonimato che offrono e per il minor grado di controllo sociale sugli individui; essi creano anche le opportunità per lo sviluppo di sentimenti omoerotici e delle identità omosessuali.

La gran parte degli uomini e delle donne omosessuali ha oggi una stabile relazione di coppia con un partner dello stesso sesso. Secondo una recente indagine condotta su un campione di gay e lesbiche, una quota tra il 40 e il 49% dei primi e tra 58 e 70% delle ultime, a seconda dell'età, ha una relazione fissa.
Una percentuale consistente di queste coppie, maggiore tra le lesbiche che tra i gay, convive. Dai trentacinque ai quarant'anni convivono un gay su cinque e una lesbica su tre (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 202-203).

Solo nel 1990, il 17 maggio, come è noto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità fece proprio quest’invito e depennò definitivamente l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (è per questo che il 17 maggio di ogni anno si celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia).
fonte http://www.diregiovani.it

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