lunedì 25 gennaio 2010

Libri "Quando in Italia erano tutti maschi"


Quando in Italia erano tutti maschi
il Male Club apre al mondo del fumetto con la presentazione di In Italia sono tutti maschi, vincitore del premio Attilio Micheluzzi 2009. Il volume, edito nel 2008, sarà pubblicato anche in Francia da Dargaud e sarà presentato al prossimo festival di Angouléme 2010
Realizzato da Luca de Santis e Sara Colaone e edito da Kappa edizioni il fumetto affronta il difficile rapporto tra il regime fascista e l’omosessualità, il tutto grazie ai racconti dei confinati che hanno deciso di lottare perché una pagina così amara della nostras toria non venga dimenticata. Dal rischio d’essere inclusi nelle leggi razziali sino al richiamo durante la guerra e alle sanzioni di vario tipo, nel Ventennio la vita fu tutt’altro che facile per gli omosessuali.
Nel nostro Paese, del resto, erano tutti maschi allo stesso modo per cui si stava bene, non c’erano omicidi o fatti di nera, tutti erano felici e i treni arrivavano in orario [bella forza, quando ne hai cinque se ti ritarda un treno vuol dire essere deficienti]. La storia offre uno spunto di riflessione. Cosa è cambiato? A naso direi niente. La caduta dei “tabù sessuali” ha permesso agli omosessuali di uscire dall’ombra e alla società di accettarli [o di provarci, o di fingere di farlo]. Questo però non ha impedito in alcun modo che gli omofobi continuassero a pensarla in un certo modo, alimentando una logica dell’odio che ora riesce ancor più facilmente a trovare il proprio bersaglio.
Leggere il passato per capire il presente, dunque, può essere un buon modo per comprendere a pieno un concetto fondamentale alla base della coesistenza: l’uguaglianza. Temo che questo non farà cambiare idea ai più convinti, allo zoccolo duro delle squadracce omofobe, ma quantomeno permetterà agli altri di considerare la questione con maggiore consapevolezza.
Ne sono convinti anche gli autori, intervistati da Marco Severo:

SARA COLAONE – DISEGNATRICE
Lei è stata già autrice di storie illustrate – come Pranzo di famiglia – e di un volume di vera e propria finzione quale Lupin III. Come è stato lavorare a In Italia sono tutti maschi?, opera di stampo fortemente storico e sociale?
Per me è stata una sfida assai affascinante, visto che per la prima volta mi sono trovata tra le mani storie di persone realmente esistite. E’ stato complesso individuare il giusto linguaggio grafico, calibrare cioè lo stile per una sceneggiatura i cui personaggi – pur essendo reali – non avevano purtroppo un volto, a causa delle difficoltà incontrate nella fase di ricerca. Le foto segnaletiche allora scattate dalla polizia fascista, infatti, non state utili per via della scarsa qualità. Si trattava, peraltro, di sintetizzare in un segno grafico una psicologia più ancora che una fisionomia. Serviva un tratto asciutto, che non indulgesse troppo nel lezioso ma che sapesse anche restituire la carica emotiva delle vicende narrate. L’obiettivo più ambisiozo era garantire un’aderenza storica alla sensibilità dei protagonisti.
La necessità di illustrare una sceneggiatura di matrice storica – e addirittura storiografica – l’ha in qualche modo indotta a rivedere il suo stile narrativo?
Certamente sì. Ho lavorato molto sul mio modo di disegnare, che è diventato per forza di cose più secco. Ho usato solo china e pennello, secondo uno schema dunque molto semplice e tradizionale, che punta più alla psicologia dei giovani perseguitati, i quali – non dimentichiamolo – oltre alle sofferenze materiali dovute al confino dovevano sopportare l’infamia d’un marchio che li avrebbe segnati a vita.
Nel 1938 gli omosessuali venivano mandati al confino, ai nostri giorni vengono picchiati per strada (come successe mesi fa a Roma). Al di là della differenza formale della reazione, viene da pensare che negli ultimi 70 anni non sia cambiato molto. Si può dire che il vostro libro punti il dito anche contro la società contemporanea?
C’è nella sceneggiatura un passaggio che riguarda i nostri giorni, con l’incontro fra un giovane documentarista e un ex deportato per motivi di discriminazione sessuale. Certamente mi verrebbe da dire che sì, ancora oggi esistono difficoltà nell’accettazione e nell’integrazione delle diversità. In questo senso la storia può aiutare e il fumetto può rappresentare un modo nuovo di comunicare la memoria. Nel nostro caso, per esempio, io e Luca De Santis abbiamo lavorato come veri e propri ricercatori presso l’Istituto storico della Resistenza di Bologna, che ci ha messo a disposizione le carte e i fascicoli riguardanti i confinati del fascismo. Credo che il disegno, dunque la graphic novel, si presti bene alla narrazione storica grazie alla sua velocità di comunicazione e alla fedeltà che è in grado di garantire.
Collaborando con Luca De Santis quanta libertà grafica ha avuto? Quanto delle sue idee e della sua visione personale ha potuto mettere nelle tavole?
C’è stata una grossa condivisione nella realizzazione del volume. Gran parte della preparazione è stata condotta, insieme, da me e da Luca. Poi, certo, ci sono stati momenti di maggior isolamento e di lavoro individuale. Ma il libro è stato in tutto e per tutto realizzato a quattro mani.
Lei ha lavorato anche come illustratrice. Quanto le sue passate competenze hanno influito sul lavoro di fumettista?
Il mio trascorso da illustratrice ha sicuramente pesato nella ricerca del colore, che per In Italia sono tutti maschi è stata fatta al computer e che io avevo già sperimentato anni fa. In generale posso dire che l’illustrazione è una buone palestra per un fumettista.
Ci può dare qualche anticipazione sui suoi lavori futuri?
Prossimamente uscirà una graphic novel scritta e disegnata da me, dedicata all’educazione sentimentale di due giovani (stavolta eterosessuali) emigrati in Svizzera negli anni Cinquanta. Anche a livello personale ho avuto molti spunti e parecchio materiale su cui lavorare.

LUCA DE SANTIS – SCENEGGIATORE
Qual è stata la principale difficoltà nella costruzione della sceneggiatura?
Non è stato facile reperire il materiale d’archivio, rintracciabile ancora a fatica. Inoltre non è stato semplice distinguere nelle carte i casi di confino politico da quelli legati a storie di omosessualità. Uno dei criteri usati, nel corso del nostro lavoro, è stato quello della visita medica: quando cioè leggevamo sui documenti che il confinato era stato sottoposto a un controllo sanitario, avevamo già indizi importanti.
Quanto tempo è durato il lavoro preparatorio?
La ricerca è andata vanti per cinque anni, conodotta tra gli scaffali dell’Anpi di Bologna e sulla scorta degli studi precedenti fatti da Giovanni Dall’Orto. Alla carenza di materiale, cui accennavo sopra, va aggiunta anche la fatica incontrata nel tentativo di intervistare i superstiti, difficoltà dovute ad ovvie ragioni di pudore e di privacy.
Una delle caratteristiche che più colpiscono del vostro volume è proprio la raccolta di storie reali
Vero, nel libro c’è solo un elemento di fiction: è l’espediente narrativo del giovane ricercatore che incontra l’anziano ex confinato, funzionale alla storia e alla narrazione delle vicende del Ventennio.
fonte: parmarepubblica, rainews24

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