Manila Flamini e Giorgio Minisini hanno vinto l'argento
mondiale nel nuoto sincronizzato misto, ma non parteciperanno ai
Giochi. Perché per il CIO quello sport non è per maschi.
Manila Flamini ha 31 anni, ne ha dedicati una ventina al nuoto sincronizzato,
13 buoni alla Nazionale, di cui è diventata capitana e che ora lascerà.
Perché la vita va avanti, prosegue oltre lo sport, e perché a un certo
punto le motivazioni finiscono. Manila Flamini ha gareggiato con la
squadra femminile ma le sue più importanti vittorie le ha ottenute con Giorgio Minisini nel misto, la specialità introdotta nel 2015 per permettere finalmente anche agli uomini di gareggiare.
Nel 2017, in coppia con lui, ha conquistato il primo storico oro mondiale per il nuoto sincronizzato italiano, a Gwangju, quest’anno, ha ottenuto un argento con la solita coda di polemiche per le vecchie gerarchie che tendono sempre a premiare un po’ di più la Russia.
Poi ha salutato, perché l’unica cosa che ancora le manca è una medaglia olimpica, e il misto alle Olimpiadi non c’è.
Quello che subisce Manila Flamini è l’effetto collaterale di una discriminazione che non la tocca direttamente. Perché nel triste panorama degli “sport di genere”, lo stereotipo vuole ancora che il nuoto sincronizzato sia una roba da donne.
I maschi hanno abbattuto il muro dopo decenni di lotta, esibizioni non
competitive e gare semi clandestine, ma ci sono riusciti solo con la FINA, la Federazione internazionale che organizza Europei e Mondiali. Il CIO non si è ancora convinto, e allora niente Olimpiadi. Non a Rio 2016 – ma era troppo presto – non a Tokyo 2020 – e forse poteva pure già essere tempo – per ora nemmeno a Parigi 2024, tra cinque anni. Manila Flamini lo ha detto chiaramente: «Potrei tornare solo per le Olimpiadi».
Lo spera anche Giorgio Minisini, che un’Olimpiade non l’ha mai fatta. Perché se per le bambine è difficilissimo giocare a calcio,
immaginatevi cosa deve essere per un bambino convincere papà a portarlo
in piscina per nuotare seguendo la musica. Una situazione simile è
vissuta anche nella ginnastica ritmica, che esiste anche al maschile sebbene sia poco conosciuta.
I giapponesi la praticano assiduamente nelle scuole, dal 1985 si disputano i Mondiali di specialità, ma è qualcosa che assomiglia di più alla ginnastica acrobatica. Solo in Spagna non presenta nessuna differenza con la versione femminile che siamo abituati a vedere ai Giochi: clavette, cerchi, nastri e palle. La Federazione internazionale di ginnastica ancora non sa bene quale
delle due versioni riconoscere come ufficiale, il Cio non si pone
nemmeno il problema.
D’altra parte, persino in molti sport che oggi rappresentano alla
perfezione la parità, alcune barriere di genere sono state abbattute
solo di recente. Nella scherma, per esempio, si è dovuto attendere Atlanta ’96 per vedere le donne competere nella spada alle Olimpiadi e addirittura Atene 2004 per la sciabola. La boxe femminile ha esordito solo a Londra 2012.
Le donne hanno storicamente subito più limitazioni degli uomini, che
comunque hanno fatto fatica e ne fanno ancora in alcune discipline. I
tempi di Billy Elliot non sono poi così lontani, e non bastano i Nurayev, i Paganini e i Bolle per cancellare di tutto i luoghi comuni sulla danza.
Di certo, però, gli esempi aiutano, e Minisini può fare tanto per il nuoto sincronizzato maschile esattamente come Barbara Bonansea e Cristiana Girelli
stanno facendo tanto per il calcio femminile. Senza un’apertura
completa e la vetrina olimpica, però, gli sforzi rischiano di essere
vani, e i desideri di tanti bambini continueranno a sbattere contro il
muro di gomma degli stereotipi. Il Cio ascolti Manila Flamini: sarebbe
bello vederla tornare in vasca, e stavolta non si tratta solo di stima e
riconoscenza verso una grande atleta che ha fatto la storia dello sport
italiano.
fonte: di Gabriele Lippi per https://www.vanityfair.it/
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